Happy Days. 50 anni fa la prima puntata della sit-com

Happy Days. 50 anni fa la prima puntata della sit-com

(Happy Days) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Debuttava il 15 gennaio del 1974 una serie televisiva che avrebbe fatto epoca: Happy Days. Una sit-com ambientata a Milwaukee che vedeva protagonista la famiglia Cunningham.

SOMMARIO

Difficilmente qualcuno può dire di non aver mai visto, o almeno sentito parlare di Happy Days.

Non foss’altro per la sua iconica sigla che rimandava direttamente al rock’n’roll degli anni ’50.

O per almeno alcuni dei personaggi che hanno popolato la serie.

Uno su tutti Artur Fonzarelli, detto Fonzie.

Happy Days. Garry Marshall

La sit-com ambientata nella città di Milwaukee è stata ideata da Garry Marshall, uno che di successi ne ha accomulati tanti.

Come attore Marshall lo ricordiamo nella pellicol “Mai stata baciata”, “Corsa a Witch Mountain” e in molte altri film e serie tv.

Della sua ampia filmografia come registra giusto ricordare almeno “L’ospedale più pazzo del mondo”, “Pretty Woman”, “Se scappi, ti sposo”.

Ma anche “Pretty Princess”, “Principe azzurro cercasi”, “Appuntamento con l’amore” e “Capodanno a New York”.

Ma è come produttore che ha lasciato davvero un segno indelebile.

Oltre ad aver prodotto “Lavernie & Shirley” e “Mork & Mindy” deve il suo successo alla fortuna serie “Happy Day”.

Happy Day. La serie

La serie è andata in onda a partire dal 1974 debuttando il 15 gennaio ed è proseguita sino al 24 settembre del 1984.

Ne sono state realizzate 11 stagioni per un totale di 255 puntate della durata di circa 24 minuti ciascuna.

Negli Stati Uniti andò in onda sul canale ABC che ne era anche la casa di produzione.

In Italia è stato trasmesso solo a partire dal 1977 ed è andato in onda consecutivamente sino al 1987.

Happy Days

Precisamente Su Rai 1 le stagioni dalla 1 alla 9 e la stagione 11.

Mentre la stagione 10 è andata in onda sulla rete privata Canale 5 di Mediaset.

Si tratta di una classica sit-com americana, che vede protagonista una famiglia, i Cunningham.

Intorno ai membri di questa famiglia media americana si sviluppano le trame e interagiscono i vari personaggi.

Happy Days. Gli anni ’50

Il punto di forza principale della serie stava nell’ambientazione temporale.

Infatti la sit-com si svolge in una ipotetica Milwaukee degli anni ’50 (sul finire) e poi agli inizi degli anni ’60.

La si arguisce subito grazie all’iconica sigla con il disco che gira e la musica in sottofondo, riconoscibilissima.

Bastano pochi fotogrammi di ogni puntata per osservare i vestiti, le auto, le pettinature.

Tutto riporta a un ideale tempo magico del benessere economico americano.

Quel dopoguerra che si apriva al futuro, che portava i giovani ad uscire dal conformismo dei genitori a suon di rock’n’roll.

I protagonisti sono emblematici del loro tempo e ben idealizzati tanto da esserne diventati delle vere icone.

Happy Days. La famiglia Cunningham

Al centro di tutte le vicende ci sono le vicissitudini della famiglia Cunningham, esempio perfetto del ceto medio americano degli anni ’50.

Milkwakee è una tipica città americana, non piccola ma nemmeno una metropoli.

Dunque perfetta per ospitare la vita degli americani medi del boom economico.

La famiglia Cunningham è composta dal padre (Howard), dalla madre (Marion) e da tre figli (Charles, Richard e Joanie).

Howard Cunningham è il prototipo del padre americano, laborioso, severo ma non troppo, bonaccione, interpretato dall’attore Tom Bosley

Marion è la madre e la moglie ideale di quegli anni. Premurosa ma anche capace di guardare un po’ oltre rispetto al marito, interpretata dall’attrice Marion Ross.

Charles (Chuck) è il figlio maggiore. Si vede poco (stagione 1-2) perché poi parte per il college.

Joanie (Sottiletta) è la figlia più piccola, ancora adolescente all’inizio della serie, interpretata da Erin Moran.

Richard (Richie) è il vero protagonista della serie, insieme ai suoi amici costituisce il nucleo centrale delle storie. Richard è interpretato da Ron Howard

Happy Days. Gli amici

Oltre al ruolo centrale della famiglia Cunningham risultano essere molto importanti anche gli amici di Richie.

A partire da Potsie (Warren Weber, interpretato da Anson Williams), inizialmente il miglior amico di Richard.

Sveglio e disincantato fa da contraltare a Richie che risulta essere invece timido e impacciato.

Nell’evolversi delle serie Potsie viene sostituito man mano, nelle grazie di Richie, da Fonzie e così diventa il miglior amico di Ralph.

Ralph Malph inizialmente era solo una figura ricorrente, ma dalla seconda stagione finì con l’assumure un ruolo importante.

Era il clown della compagnia, scanzonato e un po’ sopra le righe, diventerà il miglior amico di Potsie.

Specialmente dopo che il ruolo di miglior amico di Richie, inizialmente proprio di Potsie, verrà soppiantato da Fonzie.

Happy Days. Fonzie

Inizialmente Artur Fonzarelli avrebbe dovuto essere una figura secondaria nella serie.

Una specie di bullo che si atteggia a James Dean, con tanto di giubbotto in pelle e moto cromata.

L’interpretazione di Henry Winkler diede modo al personaggio di ricavarsi uno spazio ben definito, tanto da esserne diventato uno dei veri protagonisti.

A partire dalla terza stagione Fonzie si trasferisce a vivere sopra il garage dei Cunningham e diventa, via via, il miglior amico di Richie Cunningham.

I due sono quanto di più diverso fra loro possa esistere, eppure nasce un’amicizia profonda e un rispetto reciproco.

Fonzie è un dongiovanni d’altri tempi. Le ragazze cadono ai suoi piedi.

Basta che schiocchi le dita e qualunque “bella” ragazza nei dintorni gli si presenta adorante.

Fonzie rappresenta un personaggio complesso, sicuramente con un’aurea negativa al principio, ma via via sempre più integrato con la società.

Il tutto grazie soprattutto all’amicizia con Richard Cunningham.

Il classico saluto alla “fonzarelli” con i due pollici alzati estendendo entrambe le braccia è diventato iconico anche al di là della serie.

Happy Days. Un cast memorabile

La fortuna della serie è dovuta a tanti fattori, non ultimi gli attori che compongono il cast.

Tom Bosley è perfetto nel ruolo del padre, ironico, scanzonato, premuroso, disincanto. L’americano medio perfetto.

Marion Ross è sublime nel ruolo della madre, sembra davvero la perfetta donna anni ’50.

Arson Wilson incarna benissimo il giovane americano di provincia di quegli anni.

Da notare che l’attore dopo un’onesta carriera come attore è diventato un’importante regista.

Erin Moran ha dato vita al pesonaggio femminile più azzeccato della serie, quello di Joanie “sottiletta” Cunningham.

Disincanta sorellina minore di Richie, la Joanie di Erin Moran è al tempo stesso la classica ragazzina acqua e sapone di quegli anni, non priva però di scaltrezza femminile.

Henry Winkler è arcinoto per il ruolo di Fonzie (Artur Fonzarelli) anche se da tempo ormai si dedica a realizzare libri illustrati per bambini.

Infine Ron Howard che interpretata Richie Cunningham, il fulcro fra tutti i personaggi protagonisti.

Definito l’enfant prodige di Hollywood Ron Howard ha collezionato una filmografia di tutto rispetto fra cinema e televisione come attore.

Ma è stato dietro la macchina da presa, come regista, che ha saputo diventare un vero e proprio gigante.

Era partito con un film il cui titolo dice già tutto: “Attenti a quella pazza Rolls Royce” del 1977.

In ordine cronologico ricordiamo anche “Splash. Una sirena a New York”, “Cocoon. L’energia dell’universo”, “Cuori ribelli”.

Saltando qua e là come dimenticare: “Apollo 13”, “Il Grinch”, “The Missing”, “Il Codice Da Vinci”, senza dimenticare “Rush”.

Happy Days. Spin-off

La serie è stata di così grande successo e i suoi personaggi, protagonisti e comprimari, così azzeccati che ha generato numerosi spin-off.

A partire da quello più famoso di tutti “Mork & Mindy” con un giovanissimo Robin Williams che interpreta l’alieno venuto da Ork.

Fu proprio durante un’episodio di Happy Days che debuttò l’alieno Mork interpretato da Robin Williams.

Un altro spin-off famoso fu Lavernie & Shirley, conosciute in alcuni episodi della sit-com in quanto “ragazze” di Richie e Fonzie.

Jenny e Cachi, ovvero la storia di Joanie “sottiletta” Cunningham e Cachi Arcola (cugino di Fonzie), prima fidanzati e poi marito e moglie nell’ultima stagione della sit-com originale.

Altri due spin-off furono “Le ragazze di Bransky” e “Out of the blue

Curioso sottolineare come lo stesso Happy Days fosse in realtà uno spin-off a sua volta della serie tv “Love, American Style”.

Nell’episodio 22 (ogni episodio era slegato dagli altri) c’è il pilot (puntata 0) di quello che sarebbe diventato happy Days.

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Diomede: poche bracciate di nuoto separano USA e Russia

(Diomede) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Ascolta “Il crogiuolo. Puntata 5 – Isole Diomede, U.S.A. e Russia a poche bracciate di nuoto” su Spreaker.

Solo 3,8 chilometri separano le due isole Diomede, ma oltre ad avere 21 ore di fuso orario appartengono anche a due “mondi” differenti.

SOMMARIO

Quando si pensa alla Guerra Fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica il pensiero va subito al muro di Berlino.

Al ponte delle spie e alla Cortina di Ferra che divideva in due l’Europa, a Ovest con gli Usa, a est con l’URSS.

Pochi sanno che le due superpotenze si spiavano vicendevolmente da pochi chilometri di distanza.

Meno di quattro per l’esattezza, ma da tutt’altra parte del mondo rispetto all’Europa.

Diomede. Lo stretto di Bering

Fino al 1648 nessuno sapeva dell’esistenza di un braccio di mare che separava il continente nordamericano da quello asiatico.

Fu il comandante Semen Dežnëv che esplorò l’estremità orientale della Siberia per conto dello zar a scoprire per primo il braccio di mare.

Ma a quel punto nemmeno se ne rese conto e la scoperta non fu mai dichiarata come tale.

Almeno sino al 1728 quando il comandante Vitus Bering bordeggiò le coste della Kamckacta.

Per questo motivo più tardi a lui fu intitolato lo stretto che porta il suo nome.

Quello stretto braccio di mare (meno di 100 km) risultava spesso ghiacciato e per questo motivo non se ne conosceva l’esistenza.

Diomede. L’Alaska russa

Quello che oggi è lo stato più settentrionale degli USA fino al 1867 era in realtà territorio dell’Impero Russo.

Fu lo zar Alessandro II a vendere l’immenso territorio ghiacciato dell’Alaska agli Stati Uniti.

Quello che nell’Ottocento parve ai russi un affarone potrebbe essere stato l’affare più fallimentare della storia fra nazioni.

Diomede
Diomede Grande (a sinistra) e Diomede Piccola (a destra)

Infatti solo più tardi si sarebbe scoperto che quell’immenso territorio inospitale custodiva nel suo sottosuolo immense ricchezze.

Dall’oro al petrolio, ancora oggi il 49° Stato dell’Unione è uno dei più ricchi nonostante sia soltanto il 48° per numero di popolazione.

Davanti solo a Vermont e Wyoming oltre al District of Columbia.

Diomede. Le isole

Proprio nel mezzo dello stretto di Bering sono poste due piccole isole rocciose.

Una, chiamata Diomede Grande, ha una superficie di circa 29 km².

L’altra, invece, nominata Diomede Piccola, consta di soli 6 km².

Il loro nome non è un omaggio alla mitologia classica ma al martire omonimo di Tarso.

Ricorrenza che gli ortodossi festeggiano il 17 agosto.

E proprio in quella data il comandante Bering documentò l’esistenza delle isole che pertanto furono battezzate con il nome del martire.

Estremamente inospitali le due isole non offrono granché, vista anche la latitudine alla quale sono poste.

Esse sono infatti prossime al Circolo Polare Artico.

Diomede. Divise dalla Guerra Fredda

Quando nel 1867 lo zar Alessandro II vendette agli Stati Uniti d’America il territorio dell’Alaska fu deciso che le due isole fossero separate.

Così l’isola più occidentale, chiamata Diomede Grande, restò alla Russia.

Mentre l’isola più orientale, denominata Diomede Piccola, andò con l’Alaska continentale agli Stati Uniti.

In mezzo fra le isole uno stretto di mare largo circa 3,8 chilometri che le separa.

Quando dopo la seconda Guerra Mondiale scoppiò la cosidetta Guerra Fredda anche le due isole furono coinvolte.

Essendo ognuna delle due isole il territorio “nemico” più vicino per ciascuna nazione entrambe divennero un punto strategico.

Su ognuna delle due isole furono installate apparecchiature di sorveglianza e installazioni militari.

Per questo motivo i nativi Yoruk, che popolavano l’isola russa, furono costretti dal governo sovietico ad abbandonarla.

Essendo diventata l’isola un luogo esclusivamente militare.

Diomede. Così vicine, così lontane

Le due isole distano così poco che un’americana di nome Lynne Cox raggiunse l’altra isola dopo solo due ore di nuotata.

Ma per un certo verso sono anche così lontane giacché sono separate da ben ventuno ore di fuso orario.

Perché quella Grande (russa) è a ovest della Linea del Cambiamento di Data.

Mentre quella Piccola (americana) è a est della medesima linea immaginaria che stabilisce la nascita del nuovo giorno.

Infatti le isole, essendo situate a 169° Est, risultano essere le terre più a Oriente del Meridiano di Greenwich.

Anche se come abbiamo visto a separarle passa la linea immaginaria del cambiamento di data.

Così se quella Piccola è mezzogiorno di sabato su quella Grande saranno le nove del mattino di domenica.

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Rubicone: Alea iacta est o iacta alea est?

(Rubicone) Articolo scritto da Mos Maiorum per Pillole di Cultura

A gennaio dell’anno 49 a.C. Caio Giulio Cesare rompeva gli indugi e varcando il Rubicone in armi dava il via ufficiale alla guerra civile.

SOMMARIO

È senza dubbio uno degli episodi più celebri della storia tanto che è conosciuto anche da chi di storia non se ne intende proprio.

Nella notte fra il 10 e l’11 gennaio (o fra l’11 e il 12 gennaio secondo altre fonti) del 49 a.C. Giulio Cesare varcò il fiume Rubicone.

Con quel gesto all’apparenza insignificante cambiò il suo destino, quello di Roma e del mondo intero.

Rubicone. Un confine invalicabile

Nel I secolo a.C. Roma occupava ormai gran parte del Mediterraneo e tutta la penisola italiana era ormai romanizzata.

Anche se una parte dell’attuale Italia era ancora suddiva in province (ad esempio la Gallia Cisalpina).

Il confine fra la provincia a nord e il territorio “urbano” di Roma era considerato sacro e inviolabile.

E soprattutto non valicabile dai generali in armi con i loro eserciti.

Questo a difesa della città di Roma in modo che nessun generale potesse entrarvi armato con la tentazione di prenderne possesso.

A Roma era ancora fresca la memoria di quanto accaduto solo qualche decennio primo ai tempi di Mario e di Silla!

A ridosso della Via Aemilia scorreva un piccolo corso d’acqua torrentizio chiamato Rubicone.

Un piccolo fiume che nasceva dalle colline romagnole (intorno a Sogliano) e sfociava nel mar Adriatico.

Quel piccolo corso d’acqua di chiamava Rubicone e segnava il confine fra Roma e la provincia della Gallia Cisalpina.

Rubicone. Un gesto eclatante

Ricordiamo che all’inizio di quel 49 a.C. Giulio Cesare era in aperto contrasto con il Senato di Roma.

Quest’ultimo gli aveva intimato di cedere il controllo della Gallia Cisalpina e di fare ritorno a Roma da semplice cittadino.

Rubicone

Cesare, trionfatore dei Galli, aveva ben altri progetti e rifiutò l’ordine del senato accampandosi nei pressi di Cervia.

Proprio a nord del fiume che segnava il confine fra la provincia della Gallia Cisalpina e Roma.

Dopo aver riflettuto a lungo sul da farsi proprio ai primi di gennaio il generale romano ruppe gli indugi varcando il Rubicone.

Ciò significava andare contro il Senato di Roma e di fatto iniziare una guerra civile.

Rubicone. Il dado è tratto

Alea iacta est (o come riporta Svetonio “iacta alea est”) non è altro che una traduzione latina della frase pronunciata in greco da Giulio Cesare.

In italiano può essere tradotta correttamente con “il dato è stato lanciato”.

O nella formulazione più comune con la frase “il dado è tratto”.

Il riferimento ovvio è quello al gioco dei dadi dove si poteva scommettere finché i dadi non venivano lanciati.

A quel punto non si poteva far altro che aspettare che i dadi si fermassero per valutarne il punteggio.

Così fu per quel gesto, compiuto il quale non vi era più possibilità di ripensamenti o di ritorno allo status quo.

Qualunque cosa fosse successa poi, Cesare non sarebbe più potuto tornare quello di prima.

O avrebbe vinto lui oppure il Senato.

Tutti sappiamo come finì, ma in quella fredda notte di gennaio fu davvero come lanciare i dadi in una partita che per lui aveva il valore della vita.

Rubicone. Si ma quale?

Quasi ventuno secoli dopo quella notte ancora oggi è impossibile stabile con certezza dove scorresse il fiume varcato da Cesare.

Sulle cartine dell’Emilia Romagna è segnato un fiume dal nome Rubicone ma secondo molti non si tratta di quello attraversato da Giulio Cesare.

Piuttosto l’antico fiume dovrebbe essere rintracciato nell’odierno Pisciatello (un piccolo corso d’acqua che scorre a fianco del Rubicone).

Il problema è che le fonti di allora non possono essere così precise da non lasciare dubbi.

E in oltre due millenni i fiumi hanno subito variazioni dovute a straripamenti e piene che ne hanno mutato gli alvei.

E a volte anche spostato il letto in modo significativo.

Dunque a tutt’oggi non v’è certezza se il fiume storico corrisponde al fiume che oggi ne porta il nome, al Piasciatello o a un altro corso d’acqua che scorre nei pressi.

Ma poco importa, si tratterebbe solo di posizionare il punto del passaggio del Rubicone di qualche chilometro più in qua o più in là.

Rubicone. Per sempre nella storia

Ciò che conta è il gesto e il suo significato simbolico, tanto da essere entrato per sempre nella storia e nella cultura popolare.

Ancora oggi si usa l’espressione varcare il Rubicone per indicare il compimento di un’azione che ha più vie di ritorno.

Un passo decisivo che non può in alcun modo essere cancellato.

Persino nella lingua inglese è rimasta traccia di quella notte così lontana dalla terra d’Albione.

To cross the Rubicon” significa appunto varcare un punto di non ritorno.

Andare oltre significa non poter più tornare indietro.

Foto di Clemens van Lay su Unsplash

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Guerra Ibrida (le parole per comprendere la guerra)

(Guerra Ibrida) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica

Da quanto è scoppiata la guerra in Ucraina si sente sempre più parlare di Guerra Ibrida, ma cosa si intende con questo termine in verità?

SOMMARIO

La risposta al quesito iniziale è abbastanza semplice.

Ovvero un mix fra guerra convenzionale, guerra cybernetica, campagne di disinformazione, false flags e ogni altra possibile strategia volta a destabilizzare la parte avversaria, a catturare consensi internazionali e a screditare il nemico.

In particolar modo negli ultimi anni il termine di Guerra Ibrida viene molto utilizzato in relazione alla Russia che ne ha fatto una vera e propria dottrina militare.

Guerra Ibrida. Russia campione mondiale

Non è che gli altri stati non ne abbiano mai fatto uso, tutt’altro.

Ma la Federazione Russa ha ultimamente sviluppato vere e proprie tecniche avanzatissime per portare avanti la sua versione di Guerra Ibrida.

La qualeprevede sopratutto l’utilizzo massiccio di hacker informatici per destabilizzare il mondo occidentale.

Colpendolo nel suo punto più vitale e vulnerabile: la rete delle telecomunicazioni.

Da anni ormai assistiamo a rivendicazione da parte di hackers russi di riusciti o tentati attacchi ai sistemi informatici occidentali, ai sistemi di comunicazione, ai siti istituzionali.

Per quanto ne possiamo sapere noi gli effetti di questi attacchi sono sempre stati marginali, temporanei e non fatali.

Grazie anche alle cyber-difese messe in atto dai paesi occidentali.

Ma di sicuro anche solo la possibilità che possano andare a segno fa di questi potenziali attacchi una minaccia di cui occuparsi.

E dunque un elemento di disturbo per chi, come gli alleati dell’Ucraina, devono concentrarsi sulla fornitura di armi al paese aggredito.

Guerra Ibrida. Confondere l’opinione pubblica

Non solo, la Guerra Ibrida prevede anche la disinformazione dell’opinione pubblica, sia quella interna, sia quella internazionale.

E in questi i russi sono maestri avendo ereditato tale capacità dall’ex apparato sovietico.

Apparato che primeggiava nel fornire false narrazioni dei fatti reali, volgendo a proprio favore ogni situazione.

Anche quelle che palesemente porterebbero a un giudizio negativo nei loro confronti.

Basti pensare a come il presidente Putin abbia descritto l’invasione russa dell’Ucaina.

Non come una guerra ma come un’operazione speciale volta a preservare l’integrità russa dall’aggressione ucraina!

Guerra Ibrida. Diplomazia commerciale

Infine la Guerra Ibrida prevede anche l’utilizzo della diplomazia commerciale per avvantaggiarsi sugli avversari e penalizzare i nemici con accordi specifici con paesi terzi.

Ad esempio, per ovviare alle sanzioni internazionali o per impedire ai contendenti l’accesso a risorse importanti per l’economia o lo sviluppo tecnologico e/o militare.

Nel concreto si tratta di condizionare paesi terzi con accordi commerciali che in qualche modo li vincolano alle posizioni politiche della propria nazione.

Insomma, si tratta dell’allargamento del conflitto a tutti i campi della vita umana, spesso senza nemmeno che le persone coinvolte se ne rendano conto!

Guerra Ibrida
Guerra Ibrida

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Rhapsody in blue, 100 anni fa il capolavoro di Gershwin

(Rhapsody) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Il 7 gennaio del 1924 veniva completata la celebre “Rhapsody in blue”, una delle più famose composizioni musicali di George Gershwin.

SOMMARIO

George Gershwin pensò di realizzare un brano che fosse profondamente americano.

Per questo inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi “American Rhapsody” salvo poi optare per il nome che l’ha resa celebre.

Un connubio perfetto fra jazz e musica colta, il brano è senza dubbio uno dei capolavori del compositore nato a Brooklyn.

Rhapsody. George Gershwin

Gerswuin nacque il 26 settembre del 1898 a Brooklyn, cittadina autonoma che soltanto pochi mesi prima era diventata uno dei quartieri di New York.

I genitori erano ebrei di origini ucraine e lituane immigrati negli Stati Uniti.

Il padre originariamente si chiamava Moishe Gershowitz ma poi cambiò nome in Morris Gershwin.

Il figlio da Jacob Bruskin Gershowitz divenne George Jacob Gershwin, passato alla storia come George Gershwin.

Nonostante la precoce passione per il pianoforte il piccolo George non studiò mai seriamente lo strumento.

Prese lezioni di pianoforte solo per un paio d’anni in modo del tutto dilettantistico.

Per il resto imparò tutto in modo autodidatta, soprattutto ascoltando i concerti e cercando di riprodurne le sonorità.

Rhapsody. Paul Whiteman

Fin dal 1917 Gershwin aveva cominciato a scrivere canzoni, alcune anche con un discreto successo.

Il tutto nonostante non avesse una preparazione accademica né alcun titolo di studio musicale.

Nel 1919 con la canzone “Swanee” ottenne il suo primo successo a livello nazionale restando per 18 settimane in vetta alle classifiche di vendita.

Rhapsody

Lo spartito del brano fu stampato con una tiratura record di oltre un milione di copie.

Fu negli anni successivi che Gershwin ebbe modo di conoscere il re del jazz sinfonico Paul Whiteman.

Quest’ultimo gli chiese di scrivergli qualcosa adatto alla sua orchestra, ovvero in stile jazz sinfonico.

Fu da quell’incontro che nacque l’idea di Rhapsody in Blue.

Rhapsody. Il brano

La leggende vuole che il brano sia stato concepito durante un viaggio in treno mentre il compositore era diretto a Boston.


Gershiwn si stava recando alla prima di una sua commedia musicale e pare che lo sferragliare del treno lo abbia ispirato per la rapsodia.

Vera o meno che sia questa ricostruzione sta di fatto che George Gershwin compose il brano in pochissimo tempo visto che doveva consegnarlo a breve.

Pare addirittura che non fosse nemmeno del tutto convinto della bontà del suo lavoro prima di darlo in mano all’orchestra.

Benché il direttore, dopo averlo fatto suonare, si disse sorpreso del fatto che il compositore volesse metterci ancora mano.

Pare infatti che questi abbia esclamato, stupito, come pensava Gershwindi poterla migliorare ancora visto quanto già fosse perfetta.

Rhapsody. Note musicali

Rapsodia in blu è un brano musicale per pianoforte e orchestra anche se inizialmente Gershwin l’aveva pensata per due pianoforti.

Si tratta di un brano che combina mirabilmente musica jazz e musica colta, caratteristica tipica del compositore di Brooklyn.

La composizione della rapsodia combina cinque differenti stili e fu suonata per la prima volta il 12 febbraio 1924 all’Aeolian Hall di New York.

Il brano comincia con un trillo e una lunga scala cromatica ascendente che vede protagonista il clarinetto.

Entra in scena poi il pianoforte e di seguito l’intera orchestra con fraseggi di pianoforte (solista o accompagnato dall’orchestra).

Si giunge quindi al tema maestro dell’orchestra per giungere poi a spegnersi dando spazio al pianoforte solo.

Di nuovo spazio all’orchestra con un Andantino moderato, ripreso successivamente dal pianoforte.

Per giungere poi al ritmo sincopato, incalzante che prelude al finale Grandioso che ripropone il tema principale.

Rhapsody. Al cinema

Come molti brani di successo di quegli anni anche Rhapsody in blue venne preso a prestito dal cinema.

Memorabile l’utilizzo nel film Disney Fantasia 2000 dove fa da colonna sonora a uno degli episodi.

Woody Allen ha voluto la rapdosia come colonna sonora del suo film Manhattan.

La si può ascoltare anche in un episodio di Glee e dei Simpson.

Persino Leonardo di Caprio l’ha voluta per il suo film Il grande Gatsby.

In Italia il brano è stato campionato da Paolo Villaggio che lo ha utilizzato per i suoi film di Fantozzi.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

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Jekyll e Hyde, da 138 anni protagonisti assoluti

(Jekyll) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Il 5 gennaio del 1886 veniva pubblicato uno dei romanzi più famosi di Robert Louis Stevenson dal titolo “Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde”.

SOMMARIO

Robert Louis Stevenson è stato forse il più famoso scrittore scozzese dell’Ottocento e uno fra i romanzieri più letti di tutti i tempi.

Numerosi i suoi scritti, ma uno su tutti spicca in modo particolare.

Anche chi non lo ha letto lo conosce per vie traverse, soprattutto per le trasposizioni cinematografiche.

Jekyll. Non solo “L’isola del tesoro”

Nato nel 1850 a Edimburgo e morto prematuramente nel 1894 Robert Louis Stevenson è a giusta ragione considerato un gigante della letteratura.

Conosciuto troppo spesso come autore per ragazzi grazie al suo capolavoro “L’isola del tesoro”, ha in realtà pubblicato molto altro.

Citando quasi a memoria: La freccia nera, Il master di Ballantrae, Il club dei suicidi, Il trafugatore di salme, Il diavolo in bottiglia

L’elenco sarebbe lunghissimo, ma non è necessario indugiare oltre.

Jekyll

Jekyll. La genesi del testo

L’idea di scrivere “Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde” venne allo Stevenson una notte in sogno e nel giro di tre giorni mise nero su bianco tutto il testo.

Come era sua abitudine sottopose il manoscritto alla moglie, Fanny Ousborne, la quale gli consigliò di riscriverlo.

Da semplice thriller la moglie pensava valesse la pensa di dargli anche una valenza allegorica.

L’autore non fu per nulla contento dei rilievi proposti dalla sua consorte e bruciò l’intero manoscritto.

Lo riscrisse però in tre giorni, questa volta seguendo i consigli di Fanny.

Il testo venne pubblicato ufficialmente in volume il 5 gennaio del 1886 riscuotendo un incredibile successo.

Nel solo Regno Unito riuscì a vendere all’incirca 40.000 copie.
Ma fu solo l’inizio, perché ancora oggi è uno dei testi più letti e conosciuti della letteratura mondiale.

Jekyll. La trama e non solo

Niente paura, nessuno spoiler sulla trama, ci mancherebbe altro!

Alcune riflessioni sulla storia però è doveroso farle.

Dottor Jekyll e Mr. Hyde rappresentano in modo emblematico la dualità della personalità umana.

E come aveva ben intuito la moglie dello Stevenson il racconto valevo molto di più del semplice thriller.

Ecco allora spiegato perché a distanza di così tanto tempo la storia regge ancora ed è assolutamente gobidile anche oggigiorno.

La forza del racconto sta nello scavo profondo della psiche umana, in quell’abisso che si nasconde in fondo a ognuno di noi.

Nella storia è una pozione a svelare l’altra faccia del dottor Jekyll.

Ma spesso il Mr. Hyde che si nascondo dentro ognuno di noi non ha bisogno di intrugli per emergere e mostrarsi.

Oppure no?

Perché una delle domande che ci si pone dopo la lettura di questa storia è se sia inevitabile soccombore all’altra parte.

A quell’io malvagio e incontrollabile che l’autore sembra volerci dire essere in ognuno di noi.

Oppure se si tratta di scelte, magari celate da buoni propositi, a condurre definitivamente l’essere umano sulla via della perdizione.

A ogni lettore la risposta che più gli aggrada.

Jekyll. Un successo anche cinematografico

Come per il romanzo “L’isola del tesoro” (del 1883) anche “Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde” ebbe un grande successo letterario.

E grande fortuna ebbe anche dopo la morte prematura del suo autore.

Già nel 1908 (a soli 22 anni dalla pubblicazioni e a 14 dalla morte dell’autore) Otis Turner realizzò un cortometraggio muto del libro.

Dal 1908 al 1925 vennero girate almeno una dozzina di film muti sempre ispirati al testo di Robert Luois Stevenson.

Compresa una parodia con potragonista Stan Laurel (lo Stanlio di Stanlio e Ollio).

Dal 1931 al 2002 sono state girate una quindicina di pellicole che in vario modo si rifanno alla storia del dottor Jekyll e di Mr. Hyde.

Senza contare che si possono contare almeno altri otto adattamenti televisivi della storia.

Altrettanto sono le parodie, compresa “Le folli notti del dottor Jerryll” interpretato e diretto dal famoso attore comico Jerry Lewis.

Foto di fszalai da Pixabay

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RAI, il 3 gennaio 1954 il debutto delle trasmissioni

(RAI) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Il 3 gennaio del 1954 debuttava ufficialmente la messa in onda della Radiotelevisione Italiana.

SOMMARIO

Le prime trasmissioni televisive erano iniziate il 10 settembre 1952 in forma sperimentale ma soltanto il 3 gennaio 1954 la la tv pubblica iniziò a trasmettere in modo organico

RAI. Il debutto sperimentale

Il 10 settembre 1952 la Radiotelevisione Italiana iniziava le prime trasmissioni sperimentali per trasmettere un canale televisivo.

L’ente nazionale delle televisione nasceva prima come Ente Radiofonico Italiano nel 1924.

RAI

Nel 1927 cambia nome in EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche).

Successivamente divenne Radio Audizioni Italiane nel 1944.

Infine con l’inizio delle trasmissioni televisive nel 1954 assunse la denominazione con la quale tutti quanti la conosciamo.

RAI. Il debutto ufficiale

Dopo quasi due anni di trasmissioni sperimentali, quasi quotidiane a dire il vero, il 3 gennaio 1954 iniziarono ufficialmente le trasmissioni ufficiali.

Fu l’annunciatrice Fulvia Colombo che quel mattino d’inverno diede il via ufficiale alle tramissioni.

La Rai – Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di tramissioni televisive.

Questo quanto disse Fulvia Colombo alle ore 11 del 3 gennaio del 1954.

Il primo programma ad andare in onda fu Arrivi e partenze, un rotocalco di costume della durata di circa 15 minuti.

A condurlo insieme ad Armando Pizzo c’era Mike Bongiorno, proprio il Mike nazionale che non si era ancora specializzato nei quiz.

Da notare che alla regia del programma c’era un giovane Antonello Falqui.

Colui che poi sarebbe diventato famoso per la regia di innumerevoli Canzonissima e Studio Uno.

RAI. Il debutto della Domenica Sportiva

Sempre il 3 gennaio 1954, ma alla andò in onda anche il primo programma sportivo.

Si trattava della Domenica Sportiva che è dunque da considerarsi il programma più longevo e tutt’ora in palinsesto.

Il programma serale dedicato all’approfondimento sportivo della RAI debuttò in realtà qualche mese prima.

Fu infatti durante le trasmissioni sperimentali che l’11 ottobre del 1953 debuttò la Domenica Sportiva.

In quell’occasione andarono in onda le immagini di Inter-Fiorentina del campionato di Calcio di Serie A.

Oltre alle riprese della gara ciclistica della Tre Valli Varesine e del Campionato Italiano di marcia (50 km).

Foto di Christian Dorn da Pixabay

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Capodanno, perché si festeggia il 1 gennaio?

(Capodanno) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Il 1 gennaio nel mondo occidentale, e non solo ormai, è ufficialmente l’inizio del nuovo anno. Ma da quando è così? e chi lo ha stabilito?

SOMMARIO

Il 1 gennaio è sicuramente una delle feste più diffuse e condivise del pianeta.

Iniziare un nuovo anno è certamente un momento simbolicamente importante.

E meritevole di festeggiamenti.

Ma chi ha deciso che il capodanno dovesse essere proprio il 1 gennaio?

Capodanno. Il Calendario Giuliano

Secondo la tradizione fu Giulio Cesare che nel 46 a.C. riformò il calendario dando vita a quello che sarebbe stato conosciuto come Calendario Giuliano.

Fu proprio in quell’occasione che il dittatore Cesare volle far coincidere l’inizio dell’anno con l’entrata in carica dei consoli.

Infatti occorre ricordare che i consoli romani entravano in carica il 1 gennaio.

L’anno però iniziava il 1 marzo.

Giulio Cesare decise dunque di far coincidere l’entrata in carica dei consoli con il primo giorno dell’anno.

Capodanno

Capodanno. Il mese di Giano

Il nome romano del mese di gennaio deriva dal dio Giano, la divinità bifronte.

Secondo alcuni studiosi è proprio grazie al dio Giano che il 1 gennaio è stato scelto come primo giorno dell’anno.

Giano, essendo bifronte, guarda sia avanti che indietro.

Si rivolge dunque al passato come al futuro.

Quale miglior modo per iniziare l’anno se non con il primo giorno del mese dedicato a Giano dunque?

Capodanno. Il caos medievale

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente non vi fu solo l’imbarbarimento dei costumi.

Ne fecero le spese anche le infrastrutture, le città e le strade.

I collegamenti divennero più ardui e la nascita dei comuni portò a volersi distinguere gli uni dagli altri.

Anche nel modo di conteggiare i giorni e dunque persino nello stabilire il primo giorno dell’anno.

A Venezia si riprese l’antica usanza della Roma Repubblicana facendo iniziare l’anno il 1 marzo.

A Pisa e Firenze l’anno iniziava il 25 marzo (ipotetica data del concepimento di Gesù Cristo).

Nell’Impero Romano d’Oriente (e poi anche in Russia e in altre luoghi d’Europa) l’anno iniziava il 1 settembre.

In Francia si usava la data della Pasqua come inizio d’anno.

A tal proposito bisogna tener presente che la ricorrenza pasquale non cade ogni anno nello stesso giorno.

Pertanto la lunghezza degli anni francesi era molto variabile a seconda di come “cadeva” la Pasqua di volta in volta.

Vi era poi chi faceva iniziare l’anno il 25 dicembre, ovvero nel giorno di Natale.

Capodanno. Il Calendario Gregoriano mette tutti d’accordo

Come si è visto durante il medioevo a anche successivamente l’anno iniziava in tempi diversi a secondo dei luoghi.

Questo comportava notevoli problemi man mano che i commerci si intensificavano e le varie nazioni o città interagivano sempre più frequentemente.

La data spartiacque per un riordino generale in merito al Capodanno fu il 1582 con l’adozione del Calendario Gregoriano.

Avendo riallinetato il calendario umano con la posizione astronomica della terra si passò dal 4 al 15 ottobre 1582.

Nel contempo fu stabilito che l’anno sarebbe iniziato il 1 gennaio per tutta la cristianità (almeno quella cattolica).

Progressivamente quasi tutti i paesi si adattarono e di fatto il 1 gennaio è diventato universalmente il primo giorno dell’anno.

Foto di Flash Alexander da Pixabay

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30 dicembre 2011, il giorno che non è mai esistito

(30 dicembre 2011) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Il 30 dicembre 2011 non è mai esistito nelle isole Samoa e Tokelau a causa del passaggio a ovest dei due stati rispetto alla linea del cambiamento di data.

SOMMARIO

Quello delle isole Samoa e Tokelau non è stato il primo caso nella storia di giorni cancellati dal calendario.

Ma le motivazioni che hanno spinto i due arcipelaghi a questa scelta sono assai differenti a quelle del passato.

30 dicembre 2011. Il precedente del Calendario Gregoriano

Non capita spesso che dal calendario venga cancellato un giorno che di fatto risulta non essere mai esistito.

Il caso più clamoroso della storia riguarda l’adozione del Calendario Gregoriano nel 1582 che andò a sostituire il Calendario Giuliano.

Ci si era infatti accorti che c’era uno sfasamento di una decina di giorni fra il Calendario Giuliano e l’effettiva posizione astronomica della Terra.

Si decise quindi che dopo il 4 ottobre del 1582 anziché il 5 ottobre (giovedì) sarebbe seguito il 15 ottobre (venerdì).

Furono dunque cancellati tutti i giorni fra il 5 e il 14 ottobre del 1582 che di fatto non furono mai vissuti.

30 dicembre 2011. Il caso svedese

In Svezia le cose andarono un po’ diversamente e non senza qualche complicazione.

Come in molti paesi di fede protestante anche nell’Impero Svedese si fece resistenza all’adozione del Calendario Gregoriano.

La motivazione era semplice quanto ridicola ai giorni nostri: era considerato un calendario papista.

Sia come sia nel 1699 anche la Svezia decise di adottare il Calendario Gregoriano ma volle farlo a modo suo.

Anziché saltare tutti i giorni in fila come nel 1582 decisero di togliere tutti gli anni bisestili dal 1700 al 1740.

In pratica togliendo il 29 febbraio degli anni bisestili in quarant’anni il calendario svedese di sarebbe allineato a quello gregoriano.

Peccato che già nel 1704, anche a causa della guerra, gli svedesi si dimenticarono del loro proposito e l’anno fu bisestile.

Così come pure il 1708, con buona pace dell’allienamento al Calendario Gregoriano.

A quel punto gli svedesi decisero di ritornare al Calendario Giuliano, al quale però mancava un giorno.

Infatti il 29 febbraio del 1700 non era mai esistito.

Allora decisero che nel 1712 febbraio avrebbe avuto due giorni bisestili e infatti quell’anno febbraio ebbe anche il giorno 30.

Nel 1753 però cambiarono ancora idea e si allinearono al Calendario Gregoriano passando dal 18 al 28 febbraio.

30 dicembre 2011. Samoa e Tokelau

Le isole Samoa sono uno stato indipendente in mezzo all’Oceano Pacifico posizionate grosso modo a nord-ovest della Nuova Zelanda.

Sono famose per la bellezza dei luoghi e per le squadre di rugby che è considerato lo sport nazionale.

30 dicembre 2011

Le isole Tokelau sono un territorio dipendente della Nuova Zelanda dalla quale distano circa 1500 chilometri in linea d’aria.

Sono poste a nord delle isole Samoa e sono costituite da tre atolli abitati da meno di duemila persone.

Cosa hanno in comune questi due piccoli arcipelaghi oltre ad essere nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico?

La risposta è semplice, sono proprio sulla linea del cambiamento di data.

30 dicembre 2011. La linea del cambiamento di data

Sappiamo che la Terra è stata artificialmente suddivisa in 24 fasce orarie detti anche fusi orari.

Per convenzione internazionale è stato stabilito che il fuso orario dove inizia il giorno (ovvero dopo scattata la mezzanotte si cambia la data) doveva trovarsi nel posto meno abitato del pianeta.

Dunque logica la scelta di mettere questa linea immaginaria in mezzo all’Oceano Pacifico.

Pertanto se uno si trova a ovest della linea a mezzanotte e un minuto del 1 gennaio chi sta a est nello stesso istante vivrà invece le ventitré e un minuto del 31 dicembre.

Ovviamente si tratta di convenzioni necessarie perché le date possano essere uniche e riconoscibili in tutto il pianeta.

30 dicembre 2011. Il giorno che non c’è mai stato

Contriamente a quanto accaduto nel 1582 con l’introduzione del Calendario Gregoriano per le Isole Samoa e Tokelau non è trattato di uno sfasamento fra calendario e posizione astronomica della Terra.

Ciò che ha indotto i due arcipelaghi a cancellare una data dal calendario è stata unicamente la volontà politica di spostarsi a ovest della linea del cambiamento di data.

Per fare ciò i due arcipelaghi hanno dovuto rinunciare a vivere un giorno e dal 29 dicembre si è passati al 31 dicembre direttamente.

La causa di questa scelta drastica va ricercata nel mondo lavorativo.

Prima dello spostamento a ovest della linea del cambiamento dell’ora i due arcipelaghi erano un giorno indietro rispetto ad Australia e Nuova Zelanda.

Che di fatto rappresentano i maggiori partner commerciali per le piccole isole del pacifico.

Dunque quanto a Samoa e Tokelau era venerdì (lavorativo) in Australia e Nuova Zelanda era già sabato (festivo o semi-festivo).

Quando a Samoa e Tokelau era domenica (festivo) in Australia e Nuova Zelanda erà già lunedì (lavorativo).

Per eliminare questo sfasamento fra giorni festivi e lavorativi i due arcipelaghi hanno deciso di saltare a ovest della linea del cambiamento di data

Così si sono allineati ai loro partner commerciali (Australia e Nuova Zelanda) ed ora hanno gli stessi giorni.

Con un’ora di fuso orario con la Nuova Zelanda e da tre a cinque ore con l’Australia (che ha più di un fuso orario che l’attraversa).

Foto di Dean Moriarty da Pixabay

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Cecil Hotel ha ispirato “The American Horror Story”

(Cecil Hotel) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 3 – Cecil Hotel” su Spreaker.

Cecil Hotel, l’inquietante albergo che ha ispirato la serie TV “The American Horror Story”

SOMMARIO

640 S Main St, Los Angeles, CA 90014, Stati Uniti: risponde a questo indirizzo il tristemente famoso Cecil Hotel.

Uno dei luoghi più ambigui ed inquietanti che siano noti.

Teatro di omicidi irrisolti, suicidi, brutali incidenti e l’infelice primato di aver ospitato almeno due feroci serial Killer tra le sue stanze.

Cecil Hotel. Costruito negli anni ’20

Una fama che conferma la maledizione del suo nome, tanto d’aver ispirato la famosa serie tv americana “The American Horror Story” .

Da qualche anno è stato classificato come edificio d’interesse storico culturale.

Ma per gli abitanti della città degli Angeli e per il resto del mondo, rimane uno degli alberghi più misteriosi e agghiaccianti della storia.

Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire

il telefono del vento

Costruito nel 1920 soprattutto per appagare le necessità degli imprenditori che erano di passaggio a L.A., l’hotel vanta ben 19 piani e 600 stanze.

Sin dalla sua progettazione il Cecil Hotel doveva essere un esempio dell’industria edile americana, per il quale venne spesa una cifra stratosferica: un milione di dollari.

Ma ben presto s’innescano più fattori che gli fanno perdere prestigio e lustro:

  • la grave e profonda crisi economica iniziata nel 1929
  • l’ubicazione nelle vicinanze di Skid Row, quartiere di pessima fama.

Skid Row ufficialmente conosciuto come Central City East – sin dalla Grande Depressione a oggi – è un sobborgo abitato prevalentemente da senzatetto, emarginati, tossicodipendenti e prostitute.

Ben presto infatti, il Cecil Hotel si convertì da albergo ad affittare camere.

I prezzi modici e la possibilità di soggiornarci a lungo termine, attirarono di fatto una vasta e variegata gamma di clienti.

Cecil Hotel. La maledizione

La maledizione del Cecil Hotel lo rende tristemente famoso negli anni ’50 – ’60 e ’70 come luogo prediletto per i suicidi.

Tanto da venire soprannominato “The Suicide”.

Cecil Hotel

Una lista di nomi (e di vite) che si allunga col passare degli anni:

  • nel 1931 viene registrato il suicidio di W.K. Norton, che decide di togliersi la vita ingerendo delle capsule piene di veleno.
  • nel 1934, il sergente L.D. Borden, si recide la gola con un rasoio.
  • nel Marzo del 1937, Grace E. Magro, cade dal nono piano dello stabile. Non si chiariranno mai le dimaniche dell’incidente per poter stabilire se fosse stato omicidio, o suicidio.
  • nel giugno del 1964, la pensionata soprannominata “Pidgeon Goldie”, viene trovata nella sua stanza: selvaggiamente picchiata, stuprata e accoltellata. Nessun colpevole pagherà per questo efferato crimine.
  • nel 1975, una donna sotto falso nome prenota la stanza 327. Ci rimane chiusa per quattro giorni, salvo poi decidere di suicidarsi buttandosi dal dodicesimo piano. La sua vera identità non verrà mai scoperta.

Non li ho volutamente citati tutti, ma non posso dimenticare uno dei cold case americani più famosi, che ha definitivamente etichettato il Cecil Hotel come “infestato e nefasto”.

Cecil Hotel. La tragedia

La tragedia avvenuta il 31 Gennaio del 2013 ha come protagonista una studentessa canadese di origine asiatiche di nome Elisa Lam.

Della giovane sono stati registrati gli ultimi angoscianti istanti di vita.

Elisa viene ripresa dalla telecamera di sicurezza posta nell’ascensore su cui sale.

Nel filmato è ben visibile la sua inquietudine che si manifesta in atteggiamenti davvero poco chiari o consoni al momento.

È agitata – come se qualcuno la seguisse – muove le mani in modo concitato e quasi innaturale.

Cecil Hotel

Nel video di circa quattro minuti, si evince chiaramente il profondo disagio in cui Elisa versa negli ultimi istanti di vita.

La ragazza lascia l’ascensore che subito dopo riprende la sua corsa, sparendo dall’occhio della telecamera.

Morirà di lì a poco.

Circa due settimane dopo, gli ospiti dell’albergo si lamentano alla reception perché l’acqua che fuoriesce dai rubinetti ha un odore nauseabondo e un colore stranissimo.

Vengono inviati i manutentori a controllare le cisterne sopra il terrazzo dell’hotel.

In una delle cisterne ispezionate, l’agghiacciante scoperta: viene rinvenuto il corpo nudo e in avanzato stato di decomposizione di Elisa Lam.

Cecil Hotel

Mille dubbi e supposizioni si fanno strada tra gli inquirenti.

Soprattutto perché risulta difficile capire come la ragazza sia arrivata ad aprire (e a richiudere) la cisterna e come abbia fatto ad eludere il sistema d’allarme per arrivare sin lassù.

Quello che dichiara l’autopsia è chiaro.

Elisa era sobria e non aveva assunto droghe al momento della morte.

Pur essendo affetta da un disturbo bipolare, il video pubblicato dalla polizia, come il suo tragico decesso lanciano molti dubbi e poche concrete verità.

Inoltre, la polizia ha presto chiuso le indagini, archiviando il caso come: “annegamento accidentale”.

Cecil Hotel. Oggi Stay on Main

Ancora oggi il Cecil Hotel – che è stato rinominato Stay on Main – è un albergo a tre stelle , aperto a tutti.

Conserva immutato nel tempo – tra i chiari scuri delle sue stanze e i lunghi corridoi – verità mai accertate e vite spezzate.


Fonti:

  • La Repubblica: L’albergo degli orrori diventa un monumento. Storia dell’Hotel Cecil e dei suoi misteri
  • Le foto che hanno segnato un’epoca: L’agghiacciante storia del Cecil Hotel, denominato l’Hotel dei suicidi
  • Metropolitan Magazine: Il caso di Elisa Lam: la 15ª morte “sospetta” al Cecil Hotel
AMELIA SETTELE

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