Legnanesi in scena con “7°… non rubare”
(Legnanesi) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura
Ascolta “Il crogiulo. Puntata 2 – Legnanesi in scena con “7°… non rubare”” su Spreaker.Dal 30 dicembre 2023 al 18 febbraio 2024 presso il Teatro Repower di Assago (Milano) la storica compagnia de I Legnanesi propone il nuovo spettacolo dal titolo “7°… non rubare”.
SOMMARIO
- Legnanesi. 7°… non rubare
- Legnanesi. Un successo che arriva da lontano!
- Legnanesi. Un cast consolidato
- Legnanesi. Omaggi alla canzone d’autore
Campioni d’incasso al botteghino teatrale dal lontano 1949, anno di fondazione della compagnia, i Legnanesi tornano con un nuovo spettacolo.
Legnanesi. 7°… non rubare
A partire del 30 dicembre 2023 presso il Teatro Repower di Assago appuntamento con “7°… non rubare”.
Il nuovo spettacolo di una tra le più popolari e longeve compagnie dialettali d’Europa.
Questa volta la famiglia Colombo sarà alle prese con la beneficenza.
La Mabilia vincerà un concorso di beneficenza che le darà il privilegio di poter adottare temporaneamente un ragazzo problematico.
Carmine (Maicol Trotta) farà così il suo ingresso nel cortile dando vita a uno spettacolo tutto nuovo ma nel solco della tradizione.
In scena sino al 18 febbraio 2024 presso il Teatro Repower ad Assago.
Legnanesi. Un successo che arriva da lontano!
La compagnia fondata nel 1949 da Felice Musazzi e Tony Barlocco.
Da quel lontano dopoguerra di tempo ne è passato ma il successo per la compagnia non è mai mancato, anzi!
Con un repertorio di spettacolo da far invidia a Broadway, la compagnia dialettale regala ogni anno un nuovo spettacolo garanzia di successo.
Prova ne sia che anche quest’anno le date previste per il suo debutto ad Assago coprono quasi due mesi!
Senza contare gli spettacoli che poi si terranno in giro per l’Italia a riempire teatri un po’ ovunque.
E non solo in Italia, peraltro!
Legnanesi. Un cast consolidato
Come ormai da tradizione la Mabilia sarà interpretata da Enrico Dalceri.
Teresa sarà impersonata da Antonio Provasio.
Italo Giglioli invece vestirà i panni di Giovanni.
E come già accennato Carmine avrà il volto di Maicol Trotta.
La regia è di Antonio Provasio mentre il testo è di Mitia Del Brocco e le coreografie di Valentina Bordi.
Legnanesi. Omaggi alla canzone d’autore
A chiudere il primo atto un omaggio a Giorgio Gaber e alla sua “Barbera e Champagne” con scenografie da lasciar di stucco.
Mabilia aprirà il secondo atto interpretando “La vita” di Antonio Amurri e Bruno Canfora, nel 1968 interpretato da Elio Gandolfi e Shirley Bassey al Festival di Sanremo.
E tanto altro ancora, tutto da gustare e da vedere a partire dal 30 dicembre 2023 presso il Teatro Repower di Assago.
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Fumone, ghost and legend in the castle
(Fumone) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili
Famoso è il suo Castello che ha tutti gli ingredienti per definirsi “magico”, non solo per bellezza strutturale ma anche perché intriso di storia, leggende e… fantasmi!
SOMMARIO
- Fumone. Castello in posizione strategica
- Fumone. Le origini
- Fumone. La famiglia Longhi
- Fumone. La leggenda del marchesino e di sua madre
Fumone è un piccolo paese in provincia di Frosinone.
Il centro storico è situato su un colle rialzato e ben visibile anche da notevoli distanze.
Tanto che nelle giornate di cielo terso e limpido si possa ammirare un panorama spettacolare.
Si riesce a scorgere Roma e (addirittura) il profilo del Vesuvio.
È “incastrato” tra Fiuggi e Alatri e le sue origini sono antichissime.
Fonti attendibili narrano che la sua fondazione risalga a Tarquinio Il Superbo (V secolo a.C.) il quale vi trovò rifugio, dopo essere stato bandito da Roma.
Fumone. Castello in posizione strategica
La sua posizione rialzata (e privilegiata) permise ai suoi abitanti di avere un ruolo fondamentale nella difesa del territorio circostante.
Tanto da venir forgiato un antico detto popolare che racconta l’importanza strategica che nei secoli, ha avuto questo luogo:
«Se Fumone fuma, tutta la Campagna trema!»
A voler significare che all’avvistare del fumo – messaggero esiziale di devastazione e pericolo – dalle alte torri del paese, le città vicine dovevano prepararsi a difendersi.
Per Campagna – in latino: Campaniæ Maritimæque provincia – invece, s’intende una divisione amministrativa dello Stato Pontificio.
Famoso è il suo Castello che ha tutti gli ingredienti per definirsi “magico”.
Non solo per bellezza strutturale ma anche perché intriso di storia, leggende e… fantasmi!
Il Castello Longhi è infatti il luogo più noto del paese e attira da anni molti turisti e curiosi.
Visitatori che s’inoltrano tra le stanze della fortezza accompagnati da guide preparate e competenti in grado di portare il visitatore tra i luoghi della roccaforte come se fossero “a spasso nel tempo”.
Fumone. Le origini
Le origini del Castello sono avvolte nel mistero e cavalcano la storia.
Nel X secolo d.C. attraverso la donazione dell’Imperatore di Germania – Ottone I – la Santa Sede, nella persona dell’allora Pontefice Giovanni XII, divenne proprietaria della Rocca.
Per oltre 500 anni, il Castello fu adibito e usato come prigione Pontificia per prigionieri politici e avamposto militare di controllo.
Tra i molti (sfortunati) reclusi ci furono: Maurizio Bordino – antipapa noto con il nome di Gregorio VIII – giustiziato e sepolto nel Castello, il cui suo corpo non fu mai ritrovato.
Il più celebre prigioniero fu Papa Celestino V (conosciuto anche come Pietro l’eremita da Morrone) che venne fatto prigioniero nel 1295.
L’anziano Pontefice – eletto alla veneranda età di 86 anni – per un puro gioco di potere tra le famiglie cardinalizie dei Colonna e gli Orsini, si arrese presto alla pressante vita da vicario di Cristo e decise di abdicare.
Non era mai accaduto prima nella storia della Chiesa.
Al suo posto venne eletto Papa Bonifacio VIII, il quale presto si rese conto che la sua elezione era illegittima e pertanto trovò come unica soluzione l’arresto dell’anziano Pontefice.
Celestino V visse in una cella angusta, quasi murato vivo e perì il 12 Maggio 1296. Da allora il Castello non venne identificato solo come fortezza militare, ma anche come luogo spirituale vista la presenza della tomba di Celestino.
Fumone. La famiglia Longhi
Col tempo la roccaforte perse prestigio e la trascuratezza iniziò ad essere visibile su tutta la struttura.
Solo nel 1584, Papa Sisto V decise di affidare il Castello ai Marchesi Longhi, famiglia aristocratica romana.
I nuovi proprietari decisero di apportare migliorie al Castello.
Crearono un bellissimo e grandissimo giardino pensile (secondo per estensione e primo in altezza, in Europa).
Il bellissimo “giardino sospeso” ha al suo centro una pietra che se calpestata si narra, porti fortuna.
Il Castello Longhi custodisce ed espone anche un bozzetto della statua di Paolina Bonaparte, lavorato dal Canova.
Fumone. La leggenda del marchesino e di sua madre
Se visita il Maniero si passeggia nella storia e nelle leggende, come quella del Marchesino Francesco Longhi e della madre Emilia.
Nel 1851, i Marchesi Giovanni Longhi ed Emilia Caetani subirono la perdita del loro amatissimo ultimogenito, Francesco.
Il piccolo – di appena 3 anni – perì nel suo letto dopo atroci sofferenze senza nessuna diagnosi certa.
La madre, folle di dolore, impedì la classica sepoltura perché impensabile per lei allontanarsi da quel corpicino esanime.
Lo fece imbalsamare e il dolore la lacerò fino alla morte.
Tutt’oggi il corpo del piccolo riposa in una teca, ben conservato, insieme ai suoi giocattoli preferiti.
Solo successivamente si scoprì che a uccidere il Marchesino non fu nessuna malattia, ma la cattiveria e l’invidia delle sorelle più grandi.
Per questioni d’eredità decisero di avvelenarlo, contagiando il cibo del fratellino con piccole dosi di veleno e frammenti di vetro finemente sminuzzato.
Una morte inspiegabile e atroce accompagna la leggenda del suo fantasma che si manifesterebbe ancora all’interno del castello.
Alla perenne ricerca dell’amata mamma Emilia.
Testimonianze raccontano che anche il fantasma di quest’ultima si aggiri ogni notte tra le mura del maniero per far visita al corpo del figlio.
Per accudirlo e proteggerlo.
Avendo avuto il privilegio di visitarlo posso scrivere con certezza che tra quelle mura il mistero come l’austerità della storia, non lasciano indifferenti nessun visitatore che entra cosciente di fare un salto nel tempo tra magia e spiritualità.
Skid Row, the other side of Los Angeles
(Skid Row) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura, Persone e Storie, Fatti e società e La Forza di indignarsi Ancora
Ascolta “La Forza di Indignarsi Ancora. Puntata 6 – Skid Row, the other side of Los Angeles” su Spreaker.La città di Los Angeles – dopo New York City – è la seconda metropoli più grande d’America.
SOMMARIO
- Skid Row. Accesso all’inferno
- Skid Row. Casa di 3000/5000 clochard
- Skid Row. Sembra impossibile da recuperare
- Skid Row. Ma come nasce?
La città è celebre per essere il fulcro dell’industria cinematografica, per i quartieri lussuosi, la ricchezza ostentata. Senza dimenticare la celebre collina dove spicca l’iconico cartello “Hollywood”. Ma cela anche un lato oscuro e inquietante.
Skid Row. Accesso all’inferno
La mia penna aveva già sfiorato l’argomento, mentre vi raccontavo del Cecil Hotel e della sua triste storia.
Ora è giunto il momento di portarvi a Skid Row: il ghetto di Los Angeles.
Il suo nome – Los Angeles, la città degli Angeli – può trarvi in inganno.
Perché questa metropoli possiede anche le chiavi per le porte dell’inferno e Skid Row, è uno degli accessi.
Ufficialmente conosciuto come Central City East è un distretto della Downtown (centro amministrativo e geografico della città).
Ospita la più grande comunità di senzatetto stabili degli Stati Uniti.
Skid Row. Casa di 3000/5000 clochard
Nel quartiere vive una gremita comunità di clochard che si aggira tra le 3000 e le 5000 persone.
Qui governa la violenza, la coercizione e il pressante disagio di uno specchio sociale.
Che si scontra con vite graffiate, interrotte, consumate da droga, alcool, squilibrio mentale ed estrema povertà.
Le luci e i sogni di Los Angeles s’infrangono a Skid Row dove non si vive, si sopravvive.
Dove non si sogna, ma si lotta per mangiare e continuare ad avere almeno uno sputo di marciapiede da occupare e chiamare “casa”.
Ricettacolo e degrado.
Droga, alcool, prostituzione, giro di vite e lotta intestina per la sopravvivenza.
È fortunato chi può permettersi come alloggio al coperto una tenda da campeggio.
Mentre la maggior parte dei clochard scompare di notte in cartoni ammassati agli angoli più bui per cercare di proteggersi le carni e la dignità.
Skid Row. Sembra impossibile da recuperare
In questa realtà sociale sopravvive non solo solo chi ha ceduto tutto alle dipendenze delle droghe, oppure ai vizi che offre l’alcool.
Ci sono anche ex veterani di guerra, disabili mentali non pericolosi per gli altri.
E gente “semplicemente” sfortunata che ha perso: lavoro, casa, risparmi e la possibilità di poter ricominciare.
Da anni ormai il quartiere – un agglomerato di isolati a pochi minuti dai quartieri “bene” – sembra impossibile da recuperare.
Ci sono vicoli impraticabili da transitare per la sporcizia e l’indigenza imperante.
Feci ed urine appestano l’aria, dove banchettano mosche e prolificano batteri.
E il popolo di Skid Row continua ad arrancare e a sopravvivere.
Ombre umane simbolo del decadimento di una società troppo caotica e occupata a non osservare queste creature sopraffatte dagli eventi e incapaci di recuperare.
Un perfetto set per i film sugli zombie.
Skid Row, ma come nasce?
Già nell’800 l’area urbana era presente a Los Angeles.
Il nome Skid Row indicava la strada utilizzata dai taglialegna per far arrivare i tronchi verso la costa.
Laddove poi venivano caricati sulle navi e spediti.
Con la grande depressione alla fine del 1929 – e il relativo crollo di Wall Street – il quartiere brulicava sempre più di emarginati, alcolizzati e di bordelli.
Con gli anni la popolazione aumentava, il degrado con lei.
Anche la fine della guerra in Vietnam (1975) e il ritorno a casa dei veterani, permise al quartiere di prosperare.
Perché molti reduci rientrati con fardelli insopportabili da gestire, non riuscirono a reinserirsi nella società e trovarono facile rifugio nel quartiere.
Nel corso degli anni, diverse amministrazioni comunali hanno cercato d’intervenire.
Rendendo la presenza massiccia delle forze dell’ordine un monito per gli abitanti del quartiere.
Ma quello che accade a Skid Row è pesante, pressante e non è di facile risoluzione.
Gli anni infatti passano, ma lo scenario non cambia.
Ancora oggi osservare Skid Row e i suoi “ospiti” rende chiaro che il girone infernale che rappresentano non può essere dimenticato né sottovalutato.
Visto che rappresenta non solo il fallimento di una metropoli, ma della società tutta.
Noi compresi.
Fonti:
- La Stampa: Skid Row, il quartiere fantasma che assedia le luci di Los Angeles
- Los Angeles Times: L.A. settles homeless rights case, likely limiting ability to clear skid row streets
- Company People: Skid Row la zombie area di Los Angeles
Dame de Fourly. Homage from the French to Caterina Sforza
(Dame de Fourly) Articolo scritto da Mos Maiorum per Pillole di Cultura
Alla fine del XV secolo una donna italiana riuscì a tenere in scacco le truppe francesi a tal punto che le intitolarono persino un nuovo pezzo d’artiglieria.
SOMMARIO
- Dame de Fourly. Il Valentino
- Dame de Fourly. Caterina Sforza Riario
- Dame de Fourly. L’omaggio dei francesi
Caterina Sforza vedova Riario, signora di Imola e Forlì, è stata una delle protagoniste della vita politica e militare della fine del XV secolo.
Tanto che i francesi, ammirati del suo coraggio e della sua valenza militare, vollero intitolarle un loro nuovissimo pezzo d’artiglieria.
È infatti in suo onore che diedero a uno dei loro nuovissimi cannoni il nome di Dame de Fourly.
Dame de Fourly. Il Valentino
Nonostante la sconfitta militare patita all’inizio dell’anno 1500 la signora di Imola e Forlì tenne testa all’esercito invasore.
La strenua resistenza di Caterina Sforza diede modo ai francesi assedianti di omaggiarne il coraggio intitolandole un loro nuovissimo cannone.
La storia è fatta di grandi eventi ma anche di piccole curiosità che però danno il segno di quanto accade nel tempo in questione.
Fra l’autunno del 1499 e l’inizio del 1500 l’esercito francese scese in Italia coadiuvando le mire del Duca di Valentinois.
Il duca, detto il Valentino (al secolo Cesare Borgia) voleva conquistare la Romagna.
In tale azione le truppe francesi trovarono la più tenace resistenza in una piccola rocca posta a difesa della città di Forlì.
Ovvero la Rocca di Ravaldino.
Rocca che resistette agli assalti nemici a lungo prima di soccombere.
Probabilmente sotto l’azione di un traditore interno.
Niente di nuovo, verrebbe da dire, se non fosse che a comandare le truppe asserragliate all’interno dei bastioni c’era una donna, e che donna!
Dame de Fourly. Caterina Sforza Riario
A quel tempo Imola e Forlì formavano un unico stato la cui signoria era nominalmente in capo a Ottaviano Riario, figlio del defunto padre Girolamo.
Ma di fatto il comando era nelle mani della madre del giovane, ovvero Caterina Sforza, vedova Riario.
Caterina era nata figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza, poi adottata dallo stesso dopo il matrimonio con Bona di Savoia e data in sposa al nipote di papa Sisto IV, Girolamo Riario.
Dame de Fourly. L’omaggio dei francesi
Tale fu la determinazione della giovane erede Sforza nel difendere il suo piccolo feudo che i francesi, tanto ammirati dal coraggio e dalla determinazione e tenacia della donna, vollero intitolarle poi un loro nuovissimo cannone che da lei prese il nome di Dame de Fourly.
Altro che sesso debole!
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Il telefono del vento. The phone online with Death!
(telefono del vento) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili
In Giappone – nel giardino privato di Bell Gardia – c’è una cabina telefonica per “parlare” con i morti.
Esistono molti luoghi nel mondo dove commemorare i defunti.
Uno dei posti più inconsueti e originali si trova in Giappone, nella città di Ōtsuchi.
Un centro abitato a Nord Est dell’isola, nella prefettura di Iwate e più precisamente in un giardino privato chiamato Bell Gardia.
Il monumento si chiama 風の電話 kaze no denwa, il cui significato è Telefono del Vento.
SOMMARIO
- Il telefono del vento. Ma chi ha ideato il Kaze no Denwa e perché?
- Il telefono del vento. La storia del Telefono del Vento è intensa, importante e nasce perché
- Il telefono del vento. Il terremoto e maremoto di Tōhoku
- Il telefono del vento. Silenzioso cordone umano a Bell Gardia
È una cabina telefonica che spicca tra la bellezza naturalistica del giardino.
Cabina al cui interno è installato un vecchio modello di telefono in bachelite, privo di linea, attraverso il quale si può “dialogare” con i morti.
Il visitatore che decide di entrare nella cabina, può intrattenere una chiacchierata onirica o rimanere nel più assoluto silenzio.
Cullato dall’abbraccio del vento che sferza e rafforza l’atmosfera preziosa e unica dell’opera.
La cabina è di legno bianco e pannelli di vetro, mentre il telefono è sistemato sopra una mensola.
Accanto vi è un quaderno, dove gli ospiti possono lasciare un segno del loro passaggio: una firma, un pensiero.
Il telefono del vento. Ma chi ha ideato il Kaze no Denwa e perché?
Il Telefono del Vento è stato progettato nel 2010 da Itaru Sasaki, progettista di giardini che ha creato l’opera dopo la scomparsa di suo cugino.
La cabina telefonica è diventata, col tempo, una sorte di portale immaginario.
Dove poter parlare con i defunti, in un dialogo chimerico e profondamente commovente.
Alzando la cornetta si può immaginare di colloquiare con chiunque si desideri, anche con sé stessi, come e soprattutto con chi non è più con noi.
Sognare di dialogare attraverso quel telefono privo di linea è come pregare e sperare.
Ponendosi dinnanzi a uno dei sentimenti più profondi e laceranti che caratterizzano l’essere umano: il dolore del lutto.
Il Telefono del Vento permette di credere almeno per un istante di poter essere in contatto con chi non ci è più accanto.
Il telefono del vento. La storia del Telefono del Vento è intensa, importante e nasce perché
Itaru Sasaki dopo il grave lutto che colpì lui e i suoi parenti, immaginò un luogo dove poter continuare a “parlare” col suo familiare deceduto.
E per farlo pensò a due elementi soltanto: il telefono e il vento.
“Poiché i miei pensieri non potevano essere trasmessi su una normale linea telefonica, volli che fossero portati dal vento.” (I. Sasaki)
Il Signor Sasaki era sicuro che la sua opera l’avrebbe aiutato a metabolizzare il dolore.
Ma quello che non poteva minimamente immaginare, accadde appena un anno dopo.
Un evento di tali proporzioni da cambiare le venture – e le vite – di migliaia di persone come della storia stessa del Telefono del Vento.
Tanto da trasformandolo in un vero e proprio luogo di pellegrinaggio, ancora più toccante e mistico.
L’evento che modifica per sempre la storia che vi sto narrando avviene l’11 Marzo 2011, quando un potentissimo terremoto colpisce il Giappone.
Il telefono del vento. Il terremoto e maremoto di Tōhoku
Nord del Giappone – Isola di Honshū – 11 Marzo 2011, ore 14:46 (le 6:46 in Italia).
La terra inizia a tremare.
Un terremoto di magnitudo 9.1 matura e deflagra a largo delle coste dell’isola più grande della nazione nipponica.
Dopo pochi minuti sopraggiunge un mostruoso tsunami che colpisce e devasta soprattutto le coste della regione di Tōhoku.
Il sisma avvertito, risulta essere da subito violentissimo e viene catalogato come uno dei cinque più potenti mai registrati nella storia del mondo dal 1900.
Oltre a essere, ancora oggi, quello più forte mai rilevato in Giappone.
La scossa è intensa ma lontana dalla terra ferma pertanto, l’elemento che porta distruzione e morte è il maremoto generatosi pochi istanti dopo.
Onde alte più di 10 metri si abbattono sulla costa con una tale violenza da spazzare via ogni cosa.
Oltre 15.000 vittime
Solo a Tōhoku le vittime sono più di 15.000… trasportati via da un’onda irrefrenabile che ha lacerato vite, sogni e realtà.
La centrale nucleare di Fukushima esplode.
L’enorme onda creatasi a seguito del terremoto, arriva a danneggiare la struttura in modo irreparabile.
La tragedia verrà ricordata proprio con il nome della regione più colpita, Tōhoku.
La conta delle vittime lascia il mondo attonito, dinnanzi agli occhi dei sopravvissuti si palesa la potenza di una natura devastante e distruttrice.
Un terremoto che scuote letteralmente il mondo e ferisce pesantemente il Giappone.
Morte, disastro e dolore restano le conseguenze più tangibili di questa catastrofe.
È proprio a seguito di questo evento che Itaru Sasaki decide di aprire il suo giardino privato ai familiari e agli amici delle vittime dello tsunami.
Dialogare con i cari scomparsi
Mette a loro disposizione la cabina e lascia che utilizzino il Telefono del Vento per cercare un dialogo non solo con i propri cari scomparsi.
Ma anche con quel dolore sordido e martellante che li stringe ormai in una morsa senza fine e che lui conosce bene.
Da quel momento, grazie anche al passaparola, il Telefono del Vento diventa una vera e propria meta.
In più di 12 anni, le persone che hanno visitato il luogo sono state davvero molte, le stime ne dichiarano circa 30.000!
Il telefono del vento. Silenzioso cordone umano a Bell Gardia
Un rispettoso e silenzioso cordone umano ha continuato ad andare a Bell Gardia, oramai ribattezzata “la collina del telefono del vento”.
Per potersi immergere in quell’atmosfera profondamente toccante che si annida tra le sferzate di vento e il bianco candore della cabina.
Chi ha visitato l’opera di Sasaki ha intrapreso un viaggio personale intenso e significativo.
L’opera del garden designer è stata ripresa in altre parti del mondo.
Con lo stesso significato e lo stesso rispetto verso il dolore di chi deve convivere con la pesante assenza di una persona cara che non c’è più.
Cercando rifugio e sollievo tra i fili di un telefono privo di linea e l’ascendente della natura.
Non posso chiudere quest’articolo senza citare il bellissimo romanzo di Laura Imai Messina: “Quel che affidiamo al vento” (edito da Piemme).
Romanzo grazie al quale ho conosciuto questa storia e che vi suggerisco di leggere almeno una volta nella vita.
“In fondo era quanto ci si augurava per tutti, che un posto dove curare il dolore e rimarginarsi la vita, ognuno se lo fabbricasse da sé, in un luogo che ognuno individuava diverso.” Laura Imai Messina
Ricordatevi sempre che il tempo batte ritmi incessanti e non arresta mai il suo scorrere.
Mentre il Telefono del Vento continua a custodire migliaia di parole, lacrime e ricordi, cullato e protetto da una natura maestosa. E da sentimenti che non muoiono mai.
- Sempre dire Banzai: “Il telefono del vento: in Giappone esiste una cabina per “parlare” con i morti
- Internazionale: “Il telefono del vento per parlare con le vittime dello tsunami”
- IO Donna: “In Giappone c’è una cabina telefonica per parlare con i defunti”
- Wikipedia: “Telefono del vento”
- Studio Bellesi: “Il giardino di Bell Gardia e il telefono del vento”
Hei Zhy Gou, la foresta del non ritorno
(Hei Zhy Gou) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili
In Cina, nella regione del Sichuan, si trova uno dei luoghi più misteriosi e inquietanti del pianeta. È la foresta di Hei Zhy Gou, soprannominata anche: “Foresta del non ritorno”.
SOMMARIO
- Hei Zhy Gou. La foresta del non ritorno
- Hei Zhy Gou. La foresta non restituisce neppure i cadaveri
- Hei Zhy Gou. Abitata da un enorme drago a due teste
Gli abitanti delle zone limitrofe la chiamano “La terrificante valle della morte”.
Se tradotto, il suo significato dovrebbe essere: “La gola del Bambù nero”.
Hei Zhy Gou. La foresta del non ritorno
Immersa in una gola profonda, avvolta quasi perennemente da fitti banchi di nebbia la “foresta del non ritorno”, è affascinante ma nefasta.
Sembra sospesa nel tempo, lontana dalla realtà e sprofondata in un mondo parallelo.
Da anni si narra che nessun essere umano sia capace di esplorarla e … di tornare indietro sano e salvo!
Numerose sparizioni infatti, accompagnano la storia di questo labirinto di bambù.
Si ritiene che la “foresta del non ritorno” sia letteralmente in grado d’inghiottire uomini e veicoli.
Coraggiosi esploratori e persino alcuni aerei che sorvolavano la zona sono svaniti nel nulla, appena entrati in contatto con la foresta.
Sembra proprio che sia maledetta e non permetta a niente e nessuno di trovare la via del ritorno e di poter quindi, raccontare cosa (o chi) si celi al suo interno.
Hei Zhy Gou. La foresta non restituisce neppure i cadaveri
Quando il fitto fogliame viene inondato dal calore del sole, la foresta appare nei suoi ancestrali colori vivi ed intensi.
I profumi della natura rendono l’area un vero e proprio polmone verde, fulcro e culla di pace, spennellato di bruma e sinistro incanto.
Ma di notte tutto cambia.
Il buio padroneggia nelle sue tinte più cupe e impenetrabili, donando al luogo un’aurea spaventosa.
Antiche leggende e angoscianti storie hanno come protagonista proprio la foresta.
Hei Zhy Gou si trasforma infatti in un antro intricato e pericoloso.
Da anni, chi si addentra tra i suoi sentieri non fa più ritorno.
Hei Zhy Gou. Abitata da un enorme drago a due teste
La sua impenetrabilità non ha mai reso concrete e sicure le notizie inerenti la sua formazione e storia.
Alcune leggende locali giustificano i misteri che aleggiano sulla foresta raccontando che, sia abitata dal “Grande Uccello”.
Uno spaventoso mostro mitologico descritto come un enorme drago a due teste.
Certo è che – essendo il Drago un importante simbolo della cultura cinese, protagonista da millenni di storie e miti – nessuno ha mai cercato di scoprire cosa dominerebbe davvero “la foresta del non ritorno”, anteponendo a qualsiasi spiegazione logica, il rispetto della forza della natura e delle antiche tradizioni che hanno reso questo lembo di terra, uno dei luoghi più sventurati e maledetti che l’uomo conosca.
Fonti:
- Travelglobe: La foresta di Hei Zhy Gou, tra bambù e misteri
- Urban Post: Cina: Foresta di Hei Zhy Gou, la valle dei bambù dalla quale nessuno torna
- Curiosando708090.altervista: Luoghi misteriosi: Foresta di Hei Zhy Gou (Cina)
25 novembre SPECIALE. Giulia, come le Altre
(25 novembre) Articolo scritto da Amelia Settele per Fatti e Società
25 novembre. In collaborazione per la rubrica La Forza di Indignarsi Ancora Radio C.S.D.R. trasmette l’audio lettura di questo articolo dal titolo Giulia, come le Altre, pezzo dedicato a tutte le donne vittime di femminicidio.
SOMMARIO
- 25 novembre. Giulia, un’altra vita spezzata che ingrossa le file dei femminicidi
- 25 novembre. Chi sono queste donne così apparentemente diverse tra loro? E perché fanno parte di questa storia?
- 25 novembre. Cos’è il Femminicidio?
- 25 novembre. Il Femminicidio in Italia fa sempre più vittime
25 novembre. Giulia, un’altra vita spezzata che ingrossa le file dei femminicidi
Vigonovo, provincia di Padova: Giulia Cecchettin è una Dottoressa, laureata in ingegneria Biomedica. Lei, suo padre e i suoi fratelli – Elena e Davide – sono una famiglia molto unita, costretta a vivere anche nel dolore nato dalla prematura scomparsa della madre. Giulia ha un ex fidanzato, Filippo Turutta.
Roma: l’avvocata Martina Scialdone ha 35 anni, professa il suo lavoro con passione ed è specializzata in diritto di famiglia. Ha un rapporto solido e forte con i suoi familiari. Ha da poco interrotto una relazione sentimentale con Costantino Bonaiuti.
Cerreto d’Esi, provincia di Ancona: Concetta Marruocco è un’infermiera di 53 anni da tutti chiamata Titti. Originaria di Torre del Greco (Napoli) continua a vivere nell’appartamento nel centro cittadino anche dopo la separazione dal suo compagno, Franco Panariello.
25 novembre. Chi sono queste donne così apparentemente diverse tra loro? E perché fanno parte di questa storia?
L’unico triste denominatore che le accomuna – come molte altre donne che riempiono ogni giorno una lista sempre più lunga – è quella di essere state vittime di femminicidio da parte dei loro rispettivi ex compagni. Ad armare le mani di chi ha strappato loro le vite, i sogni, gli affetti sono sempre questi uomini (o pseudo tali) che con maligna determinazione irrompono un’ultima sanguinosa volta nelle loro esistenze, per cercare di estorcere attenzione e possesso, fino a stringerle nel loro ultimo respiro.
So bene di averle descritte utilizzando un tempo presente, come se le loro vite fossero cristallizzate in un flash temporale in cui neppure la ferocia dei loro assassini, può alterarne il destino che avrebbero avuto il diritto di vivere. Ma c’ho non toglie che la verità è un’altra, che ci conduce verso una sola triste realtà che purtroppo conosciamo tutti: il femminicidio.
25 novembre. Cos’è il Femminicidio?
Il Femminicidio è la forma più estrema di violenza di genere contro le donne. Pertanto tutti gli omicidi dolosi o preterintenzionali in cui una donna viene assassinata da un uomo per motivi basati sul genere, devono essere identificati come tali. Per forma di genere, invece, s’intende qualsiasi forma di violenza contro una persona solo per il fatto di appartenere al genere femminile.
25 novembre. Il Femminicidio in Italia fa sempre più vittime
Secondo i dati rilasciati dal Viminale solo nel 2023 nel nostro paese sono stati commessi ben 286 omicidi di cui 103 sono donne. 54 di loro sono state ammazzate da chi diceva di amarle, dai loro compagni o ex.
Una lista lunghissima che si alimenta di donne e del loro sangue, della loro fiducia verso chi, invece, voleva solo possederle fino alla morte.
Con un ritmo di quasi 1 femminicidio ogni 3 giorni, questi omicidi continuano ad appesantire gli occhi di lacrime e la coscienza di tutti noi, allungando una lista di vite spezzate che non dovremmo mai dimenticare.
La recente tragedia di Giulia Cecchettin ha riacceso il dibattito su questa vera e propria piaga sociale che delinea uno scenario per le donne, sempre più difficile da vivere e affrontare.
Mentre l’indignazione e il cordoglio si uniscono ancor di più in questo giorno di novembre, dedicato proprio alle vittime di femminicidio, nessuna donna è al sicuro. Spetta a noi tutti ricordarle non solo adesso, ma sempre. Giulia come tutte le Altre sono lo specchio di un disastro mimetizzato in una relazione sentimentale tossica e malata, tale da condurle alla morte. In memoria di queste madri, figlie, sorelle, nipoti dobbiamo trovare tutti noi la giusta dose di forza per aiutarle a fuggire e a denunciare chi finge di amarle mentre impugna un’arma sempre più affilata che distrugge i loro sogni, la loro dignità e il loro futuro. Per ogni femminicidio, la nostra società perde filamenti di luce e umanità.
Le donne hanno una voce e troppo spesso, invece, sono costrette a gridare in silenzio. Spezziamo questa catena in nome di Giulia come delle Altre.
“Se domani sono io, se domani non torno, mamma distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.” (Cristina Torres Caceres. Perù, 2011)
- Femminicidioitalia.info
- Notizie.it: Femminicidi
- Rainews: Omicidio Giulia Cecchettin
25 novembre. NUMERI E INDIRIZZI UTILI
Rete Nazionale Antiviolenza a sostegno delle donne vittime di violenza
- Numero verde 1522
- Carabinieri – 112
- Polizia di Stato – 113
- Emergenza sanitaria – 118
25 novembre. Diciamo STOP alla violenza sulle donne
(25 novembre) a cura di Ileana Aprea e Cecilia S.D. Rossi per Fatti e Società
25 novembre. Oggi come ogni anno ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne e oggi, come ogni anno, anche noi ci uniamo al coro che urla STOP ALLA VIOLENZA SULLE DONNE!
Quest’anno Radio C.S.D.R. e Words & More Network hanno realizzato una puntata radiofonica speciale interamente dedicata a questa tematica. La dottoressa Ileana Aprea e Cecilia Simona Domenica Rossi affrontano la tematica della violenza insieme a due ospiti: Suajens Miazzo autrice del libro “La mia rosa bianca” edito da Kimerik Casa Editrice e la dottoressa Vincenza Palmieri Presidente dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare e fondatore dell’Associazione Nazionale dei Pedagogisti Familiari.
25 novembre. La piaga del femminicidio sempre più viva
Le notizie che ci informano di femminicidi avvenuti nel nostro Paese sono sempre più numerose, un fenomeno che sembra impossibile da arrestare. I numeri, infatti, sono sempre più allarmanti. Il femminicidio, però, è l’ultimo passaggio di una spirale di violenza che parte da lontano e, spesso, sottotraccia. Le forme più gravi di violenza sono quelle domestiche, esercitate da partner, parenti o amici. Le peggiori situazioni in cui oltre al dolore e alla sofferenza fisica e psichica si sviluppa la delusione di essere state in qualche modo tradite da chi avrebbe dovuto proteggere o amare.
Ma cosa accade realmente all’interno di un rapporto vittima/carnefice? come è possibile riconoscere che si sta vivendo una situazione di violenza? e come difendersi e impedire che anche altre donne possano trasformarsi da compagne in vittime sacrificali?
A tutte queste domande le conduttrici cercano di rispondere con l’aiuto delle ospiti e delle loro testimonianze e competenze. Una trasmissione, questo speciale, fortemente voluta dalla nostra redazione tutta anche se siamo coscienti che si tratta di una piccola goccia in mezzo a un immenso mare. Noi di C.S.D.R. e di Words & More, però, siamo profondamente convinti che anche una singola goccia può erodere la roccia e se tante singole gocce si uniscono in questa battaglia la frase STOP ALLA VIOLENZA non sarà più solo una frase!
25 novembre. Ascolta la trasmissione completa
Ascolta “SPECIALE 25 novembre. Diciamo STOP alla violenza sulle donne” su Spreaker.25 novembre. NUMERI E INDIRIZZI UTILI
Rete Nazionale Antiviolenza a sostegno delle donne vittime di violenza
- Numero verde 1522
- Carabinieri – 112
- Polizia di Stato – 113
- Emergenza sanitaria – 118
25 novembre. Al messaggio lanciato con questa trasmissione si uniscono tutti i collaboratori delle nostre redazioni: Stefano F., Amelia Settele, Cecilia S.D. Rossi, Ileana Aprea, E.T.A. Egeskov e tutti i tecnici che ringraziamo per il preziosissimo aiuto che forniscono per la realizzazione delle trasmissioni radiofoniche e televisive.
25 novembre. VISITA LA PAGINA DELLA NOSTRA RADIO
Hai una storia da raccontare ai nostri microfoni? oppure vorresti essere ospite di una delle nostre rubriche? contatta la redazione della Radio all’indirizzo:
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Minoranze Etniche (parole per capire la Guerra in Ucraina)
(Minoranze Etniche) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica
La guerra in Ucraina ha riportato alla luce l’annoso problema delle minoranze etniche che spesso sono state usate a pretesto per scatenare crisi internazionali se non vere e proprie guerre.
SOMMARIO
- Minoranze Etniche. Il precedente della ex Jugoslavia
- Minoranze Etniche. Divide et Impera
- Minoranze Etniche. Le vere ragioni dei russi
A causa di una scellerata politica di spostamenti di intere popolazioni dai territori di origine ad altre zone dell’allora URSS gli ex stati della disciolta Unione Sovietica devono quasi tutti fare i conti con l’ingombrante problema delle minoranze etniche.
Specialmente quelle di lingua e cultura russa che aspirano sempre a ricongiungersi alla madrepatria, la Grande Russia di Mosca.
Minoranze Etniche. Il precedente della ex Jugoslavia
Chi ha già passato gli “anta” ricorderà senza dubbio la terribile guerra dei Balcani che sconvolse l’Europa nel pieno degli anni ’90.
Guerra scaturita dallo scioglimento della Federazione Jugoslava e la contemporanea nascita degli stati nazionali, primi fra tutti Serbia e Croazia.
E fu proprio per questioni etnico religiose che Serbia e Croazia si trovarono in conflitto.
Con l’aggiunta di quel crogiuolo di etnie e religioni che è la Bosnia-Erzegovina con la città martire di Sarajevo prima fra tutte.
Frutto della storia, del crocevia di conquiste e di dominazioni stratificatesi nei secoli.
Ma anche frutto, il mescolarsi di popoli ed etnie, di precise scelte politiche dell’allora dittatore della ex-Jugoslavia, Tito.
Minoranze Etniche. Divide et Impera
Divide et Impera è sempre stato un buon adagio per chi comanda.
Spostare gruppi di popolazioni in territori occupati da altri popoli è stato ritenuto dalla dirigenza jugoslava un buon sistema per tenere insieme un paese che non era una nazione.
Almeno finché non è crollato tutto, finché il regime comunista non si è sfaldato e ha lasciato il posto alle istanze nazionalistiche-religiose che hanno portato inevitabilmente al conflitto.
Anche nell’ex Unione Sovietica Stalin, dittatore de facto se non di nome, utilizzò lo stesso sistema.
“Deportò” milioni di persone da un territorio all’altro con le stesse modalità che Tito aveva operato in Jugoslavia.
Oppure spostando i confini delle Repubbliche Socialiste che componevano l’URSS inglobando porzioni di territorio che storicamente erano appartenute ad altri popoli.
Ecco dunque che la Crimea, da sempre legata alla Russia, diventa parte dell’Ucraina.
Mentre la Transnistria, sconosciuta regione orientale della Moldavia, viene popolata da genti russi.
Finché resse il regime sovietico cambiava poco, tanto tutto il potere era centralizzato a Mosca e nell’Organo del Partito Comunista.
Ma dopo la dissoluzione dell’URSS e la nascita degli stati nazionali ecco che le questioni etniche hanno cominciato a esplodere.
In Ucraina la questione più spinosa è sempre stata il Donbass.
Territorio all’estremo orientale dell’Ucraina, abitato da popolazioni russofone e russofile in gran parte, e dunque fonte di contesa fra Russia e Ucraina per questioni etniche.
Minoranze Etniche. Le vere ragioni dei russi
Anche se a dire il vero le ragioni ultime della contesa sono soprattutto economiche, ovvero le miniere di cui il Donbass è ricco.
Tanto che nella città di Mariupol, ormai completamente distrutta dai russi, esisteva la più grande acciaieria d’Europa.
L’Azovstal è divenuta tristemente famosa per l’eroica resistenza del Battaglione Azov.
Là asserragliatosi per settimane nel vano tentativo di difendere quel presidio ucraino accerchiato da soverchianti forze armate russe.
La difesa delle popolazioni russe in ucraina ha dato modo a Putin di trovare una scusante, almeno per la sua opinione pubblica interna, per invadere l’Ucraina.
Quando si arriverà a trattare la pace occorrerà tener presente la tutela delle minoranze etniche.
In Ucraina ma non solo, il tema dovrà essere posto in cima alla lista per evitare nuove guerre future.
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Mangia Peccati, una figura storica tra leggenda e oblio
(Mangia Peccati) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili
“Chi tra di voi è senza peccato scagli la pietra per primo.” Vangelo secondo Giovanni: 8.3
Tra il XVIII e il XIX secolo si concretizzò la figura simil-religiosa del Mangia Peccati – Sin Eater – che aveva il compito di assorbire le colpe del defunto, attraverso l’assunzione di cibo sul letto del moribondo.
SOMMARIO
- Mangia Peccati. Le origini
- Mangia Peccati. Chi era?
- Mangia Peccati. Se non era possibile la confessione o l’estrema unzione
- Mangia Peccati. Un reietto con l’anima pesante
- Mangia Peccati. Richard Munslow l’ultimo
Irrimediabilmente quando si narra del Mangia Peccati si è costretti a pensare agli ultimi istanti di vita di una persona.
Perché per chi crede, i peccati commessi devono essere redenti prima di esalare l’ultimo respiro, così da permettere alla propria anima un sicuro viaggio per l’aldilà.
Mangia Peccati. Le origini
Per molto tempo, in alcune parti del mondo il Mangia Peccati ne ha rappresentato un valido aiuto.
Figura emblematica e ormai dai contorni poco nitidi, ha preso principalmente piede nell’entroterra Inglese e in alcune zone del Galles e della Scozia.
Soprattutto nei luoghi più isolati e remoti.
Sulle origini del Mangia Peccati ci sono poche notizie, ma quelle più concrete datano la sua nascita nel periodo del basso medioevo.
Anche se alcune fonti sono portate a dichiarare che nasca insieme al Cristianesimo stesso.
Certo è che se la storia lo ha oramai relegato solo nelle nicchie dei ricordi.
In alcune zone del pianeta (come l’Alabama) rappresenta ancora oggi il protagonista di cupe storie folkloristiche.
Mangia Peccati. Chi era?
Il Mangia Peccati – o Sin Eater, in Inglese – la maggior parte delle volte, era un uomo che veniva chiamato dalla famiglia del moribondo sul letto di morte per praticare questo rito.
Rito nel quale le pietanze offerte al Sin Eater rappresentavano i peccati commessi dal defunto.
Il Mangia Peccati assumeva quelle pietanze e l’anima del defunto si alleggeriva, permettendo un trapasso sereno.
Un rito e una figura quella del Sin Eater che incarnano in modo chiaro e tangibile l’importanza per gli uomini, di affrancarsi l’anima dai peccati, restando altresì coscienti di gravare su quella di un altro.
Sicuramente non era un lavoro ambito da molti.
Nella maggior parte dei casi, erano uomini poveri ai margini della società che – davvero per fame – intraprendevano questo mestiere.
Mangia Peccati. Se non era possibile la confessione o l’estrema unzione
Quando l’estrema unzione o l’ultima confessione non erano possibili, ci si rivolgeva al Sin Eater.
Sicuramente nelle zone rurali era più facile usufruire dei servigi di un Mangia Peccati, rispetto alle grandi città dove, invece, era più facile reperire un sacerdote per una “classica” estrema unzione o ultima confessione.
La maggior parte delle volte il Sin Eater – veniva contattato dalla famiglia del morente – e sotto un minimo compenso raggiungeva l’uomo in fin di vita al suo capezzale, per ascoltare le ultime confessioni.
In quel lasso di tempo veniva anche preparato il pasto frugale, che il Mangia Peccati ingeriva o sul letto del defunto o addirittura sul suo petto.
Ascoltando e mangiando, permetteva all’anima del morente di lasciare le spoglie terrene, alleggerita dalle colpe commesse e dichiarate e di trovare pace in eterno.
Il defunto aveva l’anima redenta, ma il Mangia peccati allo stesso tempo appesantiva la sua, aggravandola di oscure e impenetrabili memorie.
Qualora fosse arrivato troppo tardi, ad accoglierlo sul letto ci sarebbe stato solo il pasto simbolico e il silenzio.
Nella maggior parte dei casi, il pasto era composto dal pane in quanto simbolicamente associato all’anima dei defunti.
Anche se al Sin Eater si poteva offrire anche del sale e un piatto di stufato o minestra.
Mangia Peccati. Un reietto con l’anima pesante
La confessione come il parco convivio erano fasi di un vero e proprio rituale, intervallato da preghiere sussurrate e arcaiche formule:
“The ease and rest of the soul are gone” (La facilità e il riposo dell’anima se ne sono andati) Brand’s popular Antiquities of Great Britain
Un cerimoniale che ha i toni ancestrali, che si perdono nella notte dei tempi…
Intorno alla figura del Mangia Peccati, aleggia la costante comprensione di quanto sia stata dura ricoprire questo ruolo.
Solitamente era un uomo senza famiglia che per pochi penny (di solito non più di 4) e un tozzo di pagnotta, non esitava a venire a patti con i peccati degli altri, per poter avere lo stomaco pieno.
Era considerato un vero professionista, ma allo stesso tempo messo agli angoli dalla società del tempo.
Un reietto con l’anima pesante e la solitudine come compagna.
Infatti il tempo e le superstizioni, avvicinarono la figura del Sin Eater alla stregoneria e al satanismo.
Un alone di mistero e maledizione aggravato anche dalla convinzione popolare che il Sin Eater fosse l’unico in grado d’impedire ai morti viventi di risorgere!!
Una figura storica e religiosa che è stata presente sino agli inizi del XX secolo.
Mangia Peccati. Richard Munslow l’ultimo
L’ultimo Mangia Peccati che la storia ci riporti è Richard Munslow (1838 – 1906) che onorò il suo compito nella Contea di Shropshire sino agli inizi del ‘900.
Il suo menù, contrariamente alla tradizione, prevedeva: torta alla ricotta, fondi di carciofi e trippa… senza mai dimenticare i sei pence previsti per la prestazione.
Al contrario di molti suoi colleghi e predecessori, ad avvicinare Munslow alla professione di Mangia Peccati, non fu l’indigenza o la fame, ma il lutto per la perdita di quattro suoi figli.
Di cui tre, nella stessa settimana.
Profondamente turbato da questa drammatica esperienza, scelse di diventare un Sin Eater per vivere questa professione, come forma di lutto.
Della figura enigmatica del Mangia Peccati restano poche concrete testimonianze.
Il silenzio e la solitudine che ne hanno rappresentato gli elementi più concreti, ci permettono di immaginarlo come un triste compagno che segue la Morte nelle sue peregrinazioni, tra un’anima e l’altra.
Capace ancora di accogliere il mistero degli ultimi istanti di vita dell’essere umano, tra sussurri e briciole di pane.
- Blog. Necrologi: “Sin Eater: colui che mangia i peccati”
- Altroevo: “Il Mangia Peccati, la storia e la leggenda del mangiatore di peccati”
- The Weird Side: “Il Mangia Peccati e l’Accabador”