Ottone I e Adelaide, imperatori del Sacro Romano Impero

Ottone I e Adelaide, imperatori del Sacro Romano Impero

(Ottone) Articolo scritto da Mos Maiorum per Pillole di Cultura

Ottone I e la moglie Adelaide di Borgogna vennero unti da papa Giovanni XII per diventare imperatori del rinato Sacro Romano Impero.

SOMMARIO

Il 2 febbraio dell’anno 962 papa Giovanni XII incoronò a Roma imperatori del Sacro Romano Impero Ottone I ed Adelaide di Borgogna, sua moglie.

Fu la prima volta nella storia del Sacro Romano Impero che una moglie venisse incoronata imperatrice insieme al marito.

Ottone I. Un impero da ricostruire

Ottone I era re dei Franchi Orientali (ovvero della Germania) quando sposò Adelaide di Borgogna.

Grazie a questo matrimonio il re sassone poté indossare la corona di ferro e dunque fregiarsi del titolo di re d’Italia.

Il Sacro Romano Impero in quella seconda metà del X secolo si era ormai sfaldato e diviso in tre grandi regni più altri piccoli stati.

Il Regno dei Franchi Occidentali (Francia), quello dei Franchi Orientali (Germania) e il regno d’Italia.

Riunendo sotto lo stesso trono Germania e Italia il nuovo imperatore ricostituiva almeno in parte l’impero voluto da Carlo Magno.

E tutto ciò fu possibile anche grazie al matrimonio con Adelaide di Borgogna, già vedova del re d’Italia Lotario.

Ottone I. Un corona imperiale per due

L’incoronazione del 2 febbraio 962 costituì una novità sotto molti punti di vista.

Anzitutto perché ad essere unti dal papa furono marito e moglie che dunque divennero imperatori entrambi.

Mai prima d’allora un’imperatore aveva condiviso il trono con la propria moglie.

D’altro canto Adelaide di Borgogna non fu certo una semplice moglie, seppur imperiale.

Donna tenace e volitiva seppe tener testa all’usurpatore Berengario II che aveva fatto assassinare il marito di lei.

Adelaide

Usurpatore che avrebbe voluto farla sposare al proprio figlio Adalberto, ma Adelaide fuggì dalla prigionia.

Dopo una fuga rocambolesca si rifugiò a Canossa da dove chiese aiuto proprio a Ottone I.

Il quale scese in Italia, liberò la vedova di Lotario e la sposò a Pavia indossando con lei la corona del regno d’Italia.

Non stupisce dunque che il sassone abbia voluto associare al trono la sua giovane moglie Adelaide.

Ottone I. Privilegium Othonis

Con l’incoronazione a imperatore da parte di papa Giovanni XII il sassone Ottone I aveva di fatto legato in modo indissolubile la Chiesa di Roma al Sacro Romano Impero.

Ottone

Se è vero che almeno formalmente venivano ceduti alcuni territori al papa di contro lo stesso papa doveva giurare fedeltà all’imperatore.

Con il Privilegium Othonis del febbraio 962 l’imperatore garantiva che l’elezione al soglio pontificio fosse determinata dal clero e dal popolo di Roma.

Salvo poi specificare che il papa eletto avrebbe dovuto giurare fedeltà proprio alla figura dell’imperatore.

Tutto ciò portò ben presto a scontri anche violenti fra Chiesa di Roma e Sacro Romano Impero, persino pochi anni dopo l’incoronazione.

Per poi sfociare nel violento contrasto fra l’imperatore Enrico IV e papa Gregorio VII con il famoso episodio di Canossa nel 1077.

Ottone I. L’avvio di una dinastia

Con il ristabilimento del Sacro Romano Impero a seguito dell’incoronazione di Ottone I e Adelaide di Borgona di fatto si creò una vera e propria dinastia.

Infatti il figlio della coppia, Ottone II, venne associato al trono dal padre e gli succedette dopo la morte.

Ottone II seguendo l’esempio paterno associò al trono imperiale la moglie Teofano (principessa bizantina).

Successivamente anche il figlio della coppia, Ottone III, venne associato al trono e succedette al padre alla morte di quest’ultimo.

Essendo solo un bambino regnò dapprima con la reggenza di Teofano (madre) e Adelaide di Borgogna (nonna).

Poi con la reggenza della sola Teofano e dopo la morte prematura di quest’ultima con la reggenza della nonna Adelaide.

Solo una volta raggiunta la maggiore età (14 anni) Ottone III regnò in autonomia.

Nel frattempo Adelaide si ritirò in convento in Alsazia dove morì e circa un secolo più tardi fu dichiarata santa.

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I film per non dimenticare

(Film per non dimenticare) Articolo scritto della dottoressa Ilena Aprea per Pillole di Cultura e La Forza di indignarsi Ancora

Ascolta “La Forza di Indignarsi Ancora. Puntata 2 – I film per non dimenticare” su Spreaker.

Nel giorno della memoria alcuni film per non dimenticare e far sì che rimanga scolpito nei nostri cuori il ricordo di quanto accaduto.

SOMMARIO

In questa giornata così importante per il mondo intero, oggi scriverò il mio articolo in veste di appassionata di film e di cinema.

Non si possono non ricordare quelli che possono essere considerati dei capolavori sul tema della Shoah come Schindler’s list, La vita è bella e Il diario di Anna Frank.

Film per non dimenticare. Schindler’s List

Il primo è un film del 1993 diretto da Steven Spielberg e magistralmente interpretato da Liam Neeson (Oskar Schindler) Ben Kingsley (Itzhak Stern) e Ralph Fiennes (Amon Göth).

È ispirato al romanzo La lista di Schindler di Thomas Keneally, basato sulla storia vera di Oskar Schindler.

Con questo film Spielberg ottenne il definitivo riconoscimento internazionale e assurse all’olimpo dei registi di Hollywood.

Tanto che gli valse la conquista di ben sette statuette ai Premi Oscar su dodici nonination.

Tra le quali quelle per il miglior film e per la miglior regia.

A tutt’oggi Schindler’s list viene considerato uno dei film più riusciti e più importanti di tutta la filmografia americana.

Grazie a una parte degli incassi del film Spielberg costituì la Survivors of the Shoah Visual History Foundation.

Un’organizzazione no-profit che ha come scopo la raccolta e la conservazione grazie ad audio e video delle testimonianze di oltre cinquantamila sopravvissuti all’Olocausto.

Film per non dimenticare

Alcune di esse si ritrovano nei contenuti extra del DVD.

Peculiarità del film è quella di essere stato girato interamente in bianco e nero.

Tranne che per quattro scene, a partire da quella iniziale, nella quale si vedono due candele che si spengono.

La storia è ambientata nel 1939 a Cracovia, poco dopo l’inizio della Seconda Guerra Mondiale.

Nella Polonia occupata dai nazisti gli ebrei vengono radunati nei ghetti, tra i quali proprio quello di Cracovia.

Quella concentrazione di manodopera a basso costo diede l’idea all’imprenditore tedesco Oskar Schindler di aprire un’attività nella città polacca.

Approfittando del divieto imposto agli ebrei di avere o gestire attività commerciali Schindler s’ingegnò per trovare il denaro necessario ad aprire un’azienda.

La sua idea era quella di produrre pentole e tegami grazie a un appalto ottenuto dall’esercito tedesco.

Grazie a quell’attività Schindler riuscì nel tempo ad assumere un gran numero di ebrei salvandoli così dai lager nazisti.

Film per non dimenticare. La vita è bella

La vita è bella è un film del 1997 diretto e interpretato da Roberto Benigni.

Su sette candidature ha vinto ben tre Premi Oscar.

Film per non dimenticare

Come Miglior Film Straniero.

Come Miglior Attore Protagonista (Benigni stesso).

Come Miglior Colonna Sonora (Nicola Piovani).

Ha avuto così tanto successo da essere considerato uno dei film italiani più noti e apprezzati nel mondo.

Inoltre è la pellicola che ha permesso a Roberto Benigni di essere riconosciuto anche a livello internazionale.

Il film narra le vicende di un ebreo italiano di nome Guido, il quale viene deportato in un campo di concentramento nazista insieme alla famiglia.

Di spirito allegro Guido s’ingegna per cercare di proteggere il figlio piccolo dagli orri del lager.

Inventa così un gioco nel quale tutto ciò che vedono all’interno di quel campo diviene parte di un grande gioco fantastico che li vede protagonisti.

Lo scopo del gioco è quello di riuscire a supere ardue prove dimostrando così di poter ambire a conquistare il premio spettante a chi riesca a giungere alla fine.

Film per non dimenticare. Il diario di Anna Frank

Infine un altro film degno di nota è Il diario di Anna Frank del 1959 diretto da George Stevens.

Presentato in concorso al 12º Festival di Cannes e vincitore di tre Premi Oscar (migliore attrice non protagonista, migliore fotografia b/n, migliore scenografia b/n).

Il film, basato sull’adattamento teatrale del diario, è stato girato a 14 anni di distanza dalla morte di Anna Frank ed è ambientato ad Amsterdam.

Film per non dimenticare

Siamo nel 1945 e Otto Frank, l’unico sopravvissuto della sua famiglia, ritorna dal campo di sterminio in cui era stato deportato.

Arrivato nella soffitta dove si era nascosto pochi anni prima insieme alle figlie Anna e Margot e alla moglie Edith ritrova il diario scritto da sua figlia Anna.

Nel leggerlo i suoi pensieri tornano al 1942.

Quando cercarono di sfuggire alla polizia nazista, chiamata polizia verde, nome non ufficiale della polizia ordinaria.

Si rifugiarono, grazie all’aiuto di Miep e del signor Kraler, amici e suoi ex dipendenti, in una soffitta che si trovava sopra una fabbrica di spezie, di sua proprietà nel centro di Amsterdam.

Curioso sottolineare come Millie Perkins, l’attrice che interpretò Anna Frank, sia stata scelta.

Pare che fosse a Parigi per lavorare come una modella quando ricevette l’invito del regista per un provino.

George Stevens l’aveva infatti notata su una copertina e subito aveva pensato che fosse l’attrice giusta per il ruolo

La Perkins non voleva partecipare alle riprese anche perché dichiarò di non aver mai letto il libro e di non sapere nulla sulla Shoah.

Nonostante ciò fu indotta dalla famiglia e dal fidanzato a sostenere quel provino che la consacrò al cinema nei panni di Anna Frank.

In verità la prima scelta per quel ruolo avrebbe dovuto essere Audrey Hepburn, a quel tempo già una diva di Hollywood.

La Hepburn rifiutò il ruolo per via dell’età poco congrua con quella della giovanissima Anna Frank che avrebbe dovuto interpretare.

Inoltre l’attrice asserì di sentirsi troppo coinvolta dalla vicenda avendo vissuto proprio ad Amsterdam durante la Seconda Guerra Mondiale.

E avendo vissuto le restrizioni dei nazisti in prima persona girare quella pellicola sarebbe stato troppo doloroso per lei.

Avrebbe riaperto una ferita interna che l’attrice preferì invece non toccare rievocando quei ricordi.

Film per non dimenticare. Altri film da non perdere

Molti altri altri sarebbero i film dedicati al tema della Shoah che varrebbe la pena vedere.

Ne cito solo alcuni tra i quali Il pianista, Il bambino con il pigiama a righe e La scelta di Sophie con una intensa interpretazione della bravissima Maryl Streep.

Vorrei concludere con l’incipit di un libro di Liliana Segre dal titolo Scolpitelo nel vostro cuore del 2018.

“Se sono qui, a raccontare questa lunga storia, è per i ragazzi. Solo per loro. E vorrei vedervi uno a uno, voi, lettori giovani, vorrei guardare i vostri occhi, che sono così importanti.”

(Liliana Segre 2018)

Fonti:

  • https://it.m.wikipedia.org/wiki/Schindler’s List
  • https://it.m.wikipedia.org/wiki/La_vita è_bella
  • https://it.m.wikipedia.org/wiki/ IlDiario_di_Anna_Frank
  • Liliana Segre, Scolpiscilo nel tuo cuore, 2018

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Extended Families, directly from the Italian Renaissance

(Extended Families) Article written by Mos Maiorum for Culture Pills

Many believe that the concept of extended families is a prerogative of our modern times.

History teaches us that it is actually a much older and more deep-rooted concept than we think.

A textbook example of extended families that comes directly from Renaissance Milan

It is well known that throughout the Middle Ages and even in the Renaissance, nobles had illegitimate children.

Children who were sometimes legitimized later.

Especially when they needed an heir because maybe there wasn’t a legitimate one ready to inherit the noble title.

Extended families

In that case, the so-called “bastards” could have been part of the family in their own right.

In other cases, it was not just a male heir’s discourse that led to the legitimization of children born out of wedlock.

Extended families such as that of Galezzo Maria Sforza

The case of Galeazzo Maria Sforza is a bit peculiar also for the time since everyone at the court of Milan knew that he had a permanent mistress, Lucrezia Landriani.

A lover with whom he had four children (including Caterina Sforza, the Tygre of Forlì), a lover whom Galeazzo Maria himself had married to one of his most faithful subordinates, Gian Piero Landriani.

All to give a surname and a future to those children he had not wanted to recognize.

After Galeazzo Maria’s marriage to Bona di Savoia, she not only recognized the four children she had with Landriani, but also Bona of Savoy herself adopted them and treated them as her own children.

Including Catherine, who would later become the granddaughter of Papa Sisto IV.

The modernity of the Middle Ages

An example of how prejudices are sometimes misleading is when people are told that the Middle Ages were a dark and repressive time.

Perhaps the example of the Sforza court could make us reflect on how even today there are prejudices against extended families.

Prejudices that certainly had no reason to exist in that fifteenth century.

Photo by Dimitris Vetsikas from Pixabay

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Happy Days. 50 anni fa la prima puntata della sit-com

(Happy Days) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Debuttava il 15 gennaio del 1974 una serie televisiva che avrebbe fatto epoca: Happy Days. Una sit-com ambientata a Milwaukee che vedeva protagonista la famiglia Cunningham.

SOMMARIO

Difficilmente qualcuno può dire di non aver mai visto, o almeno sentito parlare di Happy Days.

Non foss’altro per la sua iconica sigla che rimandava direttamente al rock’n’roll degli anni ’50.

O per almeno alcuni dei personaggi che hanno popolato la serie.

Uno su tutti Artur Fonzarelli, detto Fonzie.

Happy Days. Garry Marshall

La sit-com ambientata nella città di Milwaukee è stata ideata da Garry Marshall, uno che di successi ne ha accomulati tanti.

Come attore Marshall lo ricordiamo nella pellicol “Mai stata baciata”, “Corsa a Witch Mountain” e in molte altri film e serie tv.

Della sua ampia filmografia come registra giusto ricordare almeno “L’ospedale più pazzo del mondo”, “Pretty Woman”, “Se scappi, ti sposo”.

Ma anche “Pretty Princess”, “Principe azzurro cercasi”, “Appuntamento con l’amore” e “Capodanno a New York”.

Ma è come produttore che ha lasciato davvero un segno indelebile.

Oltre ad aver prodotto “Lavernie & Shirley” e “Mork & Mindy” deve il suo successo alla fortuna serie “Happy Day”.

Happy Day. La serie

La serie è andata in onda a partire dal 1974 debuttando il 15 gennaio ed è proseguita sino al 24 settembre del 1984.

Ne sono state realizzate 11 stagioni per un totale di 255 puntate della durata di circa 24 minuti ciascuna.

Negli Stati Uniti andò in onda sul canale ABC che ne era anche la casa di produzione.

In Italia è stato trasmesso solo a partire dal 1977 ed è andato in onda consecutivamente sino al 1987.

Happy Days

Precisamente Su Rai 1 le stagioni dalla 1 alla 9 e la stagione 11.

Mentre la stagione 10 è andata in onda sulla rete privata Canale 5 di Mediaset.

Si tratta di una classica sit-com americana, che vede protagonista una famiglia, i Cunningham.

Intorno ai membri di questa famiglia media americana si sviluppano le trame e interagiscono i vari personaggi.

Happy Days. Gli anni ’50

Il punto di forza principale della serie stava nell’ambientazione temporale.

Infatti la sit-com si svolge in una ipotetica Milwaukee degli anni ’50 (sul finire) e poi agli inizi degli anni ’60.

La si arguisce subito grazie all’iconica sigla con il disco che gira e la musica in sottofondo, riconoscibilissima.

Bastano pochi fotogrammi di ogni puntata per osservare i vestiti, le auto, le pettinature.

Tutto riporta a un ideale tempo magico del benessere economico americano.

Quel dopoguerra che si apriva al futuro, che portava i giovani ad uscire dal conformismo dei genitori a suon di rock’n’roll.

I protagonisti sono emblematici del loro tempo e ben idealizzati tanto da esserne diventati delle vere icone.

Happy Days. La famiglia Cunningham

Al centro di tutte le vicende ci sono le vicissitudini della famiglia Cunningham, esempio perfetto del ceto medio americano degli anni ’50.

Milkwakee è una tipica città americana, non piccola ma nemmeno una metropoli.

Dunque perfetta per ospitare la vita degli americani medi del boom economico.

La famiglia Cunningham è composta dal padre (Howard), dalla madre (Marion) e da tre figli (Charles, Richard e Joanie).

Howard Cunningham è il prototipo del padre americano, laborioso, severo ma non troppo, bonaccione, interpretato dall’attore Tom Bosley

Marion è la madre e la moglie ideale di quegli anni. Premurosa ma anche capace di guardare un po’ oltre rispetto al marito, interpretata dall’attrice Marion Ross.

Charles (Chuck) è il figlio maggiore. Si vede poco (stagione 1-2) perché poi parte per il college.

Joanie (Sottiletta) è la figlia più piccola, ancora adolescente all’inizio della serie, interpretata da Erin Moran.

Richard (Richie) è il vero protagonista della serie, insieme ai suoi amici costituisce il nucleo centrale delle storie. Richard è interpretato da Ron Howard

Happy Days. Gli amici

Oltre al ruolo centrale della famiglia Cunningham risultano essere molto importanti anche gli amici di Richie.

A partire da Potsie (Warren Weber, interpretato da Anson Williams), inizialmente il miglior amico di Richard.

Sveglio e disincantato fa da contraltare a Richie che risulta essere invece timido e impacciato.

Nell’evolversi delle serie Potsie viene sostituito man mano, nelle grazie di Richie, da Fonzie e così diventa il miglior amico di Ralph.

Ralph Malph inizialmente era solo una figura ricorrente, ma dalla seconda stagione finì con l’assumure un ruolo importante.

Era il clown della compagnia, scanzonato e un po’ sopra le righe, diventerà il miglior amico di Potsie.

Specialmente dopo che il ruolo di miglior amico di Richie, inizialmente proprio di Potsie, verrà soppiantato da Fonzie.

Happy Days. Fonzie

Inizialmente Artur Fonzarelli avrebbe dovuto essere una figura secondaria nella serie.

Una specie di bullo che si atteggia a James Dean, con tanto di giubbotto in pelle e moto cromata.

L’interpretazione di Henry Winkler diede modo al personaggio di ricavarsi uno spazio ben definito, tanto da esserne diventato uno dei veri protagonisti.

A partire dalla terza stagione Fonzie si trasferisce a vivere sopra il garage dei Cunningham e diventa, via via, il miglior amico di Richie Cunningham.

I due sono quanto di più diverso fra loro possa esistere, eppure nasce un’amicizia profonda e un rispetto reciproco.

Fonzie è un dongiovanni d’altri tempi. Le ragazze cadono ai suoi piedi.

Basta che schiocchi le dita e qualunque “bella” ragazza nei dintorni gli si presenta adorante.

Fonzie rappresenta un personaggio complesso, sicuramente con un’aurea negativa al principio, ma via via sempre più integrato con la società.

Il tutto grazie soprattutto all’amicizia con Richard Cunningham.

Il classico saluto alla “fonzarelli” con i due pollici alzati estendendo entrambe le braccia è diventato iconico anche al di là della serie.

Happy Days. Un cast memorabile

La fortuna della serie è dovuta a tanti fattori, non ultimi gli attori che compongono il cast.

Tom Bosley è perfetto nel ruolo del padre, ironico, scanzonato, premuroso, disincanto. L’americano medio perfetto.

Marion Ross è sublime nel ruolo della madre, sembra davvero la perfetta donna anni ’50.

Arson Wilson incarna benissimo il giovane americano di provincia di quegli anni.

Da notare che l’attore dopo un’onesta carriera come attore è diventato un’importante regista.

Erin Moran ha dato vita al pesonaggio femminile più azzeccato della serie, quello di Joanie “sottiletta” Cunningham.

Disincanta sorellina minore di Richie, la Joanie di Erin Moran è al tempo stesso la classica ragazzina acqua e sapone di quegli anni, non priva però di scaltrezza femminile.

Henry Winkler è arcinoto per il ruolo di Fonzie (Artur Fonzarelli) anche se da tempo ormai si dedica a realizzare libri illustrati per bambini.

Infine Ron Howard che interpretata Richie Cunningham, il fulcro fra tutti i personaggi protagonisti.

Definito l’enfant prodige di Hollywood Ron Howard ha collezionato una filmografia di tutto rispetto fra cinema e televisione come attore.

Ma è stato dietro la macchina da presa, come regista, che ha saputo diventare un vero e proprio gigante.

Era partito con un film il cui titolo dice già tutto: “Attenti a quella pazza Rolls Royce” del 1977.

In ordine cronologico ricordiamo anche “Splash. Una sirena a New York”, “Cocoon. L’energia dell’universo”, “Cuori ribelli”.

Saltando qua e là come dimenticare: “Apollo 13”, “Il Grinch”, “The Missing”, “Il Codice Da Vinci”, senza dimenticare “Rush”.

Happy Days. Spin-off

La serie è stata di così grande successo e i suoi personaggi, protagonisti e comprimari, così azzeccati che ha generato numerosi spin-off.

A partire da quello più famoso di tutti “Mork & Mindy” con un giovanissimo Robin Williams che interpreta l’alieno venuto da Ork.

Fu proprio durante un’episodio di Happy Days che debuttò l’alieno Mork interpretato da Robin Williams.

Un altro spin-off famoso fu Lavernie & Shirley, conosciute in alcuni episodi della sit-com in quanto “ragazze” di Richie e Fonzie.

Jenny e Cachi, ovvero la storia di Joanie “sottiletta” Cunningham e Cachi Arcola (cugino di Fonzie), prima fidanzati e poi marito e moglie nell’ultima stagione della sit-com originale.

Altri due spin-off furono “Le ragazze di Bransky” e “Out of the blue

Curioso sottolineare come lo stesso Happy Days fosse in realtà uno spin-off a sua volta della serie tv “Love, American Style”.

Nell’episodio 22 (ogni episodio era slegato dagli altri) c’è il pilot (puntata 0) di quello che sarebbe diventato happy Days.

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Diomede: poche bracciate di nuoto separano USA e Russia

(Diomede) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Ascolta “Il crogiuolo. Puntata 5 – Isole Diomede, U.S.A. e Russia a poche bracciate di nuoto” su Spreaker.

Solo 3,8 chilometri separano le due isole Diomede, ma oltre ad avere 21 ore di fuso orario appartengono anche a due “mondi” differenti.

SOMMARIO

Quando si pensa alla Guerra Fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica il pensiero va subito al muro di Berlino.

Al ponte delle spie e alla Cortina di Ferra che divideva in due l’Europa, a Ovest con gli Usa, a est con l’URSS.

Pochi sanno che le due superpotenze si spiavano vicendevolmente da pochi chilometri di distanza.

Meno di quattro per l’esattezza, ma da tutt’altra parte del mondo rispetto all’Europa.

Diomede. Lo stretto di Bering

Fino al 1648 nessuno sapeva dell’esistenza di un braccio di mare che separava il continente nordamericano da quello asiatico.

Fu il comandante Semen Dežnëv che esplorò l’estremità orientale della Siberia per conto dello zar a scoprire per primo il braccio di mare.

Ma a quel punto nemmeno se ne rese conto e la scoperta non fu mai dichiarata come tale.

Almeno sino al 1728 quando il comandante Vitus Bering bordeggiò le coste della Kamckacta.

Per questo motivo più tardi a lui fu intitolato lo stretto che porta il suo nome.

Quello stretto braccio di mare (meno di 100 km) risultava spesso ghiacciato e per questo motivo non se ne conosceva l’esistenza.

Diomede. L’Alaska russa

Quello che oggi è lo stato più settentrionale degli USA fino al 1867 era in realtà territorio dell’Impero Russo.

Fu lo zar Alessandro II a vendere l’immenso territorio ghiacciato dell’Alaska agli Stati Uniti.

Quello che nell’Ottocento parve ai russi un affarone potrebbe essere stato l’affare più fallimentare della storia fra nazioni.

Diomede
Diomede Grande (a sinistra) e Diomede Piccola (a destra)

Infatti solo più tardi si sarebbe scoperto che quell’immenso territorio inospitale custodiva nel suo sottosuolo immense ricchezze.

Dall’oro al petrolio, ancora oggi il 49° Stato dell’Unione è uno dei più ricchi nonostante sia soltanto il 48° per numero di popolazione.

Davanti solo a Vermont e Wyoming oltre al District of Columbia.

Diomede. Le isole

Proprio nel mezzo dello stretto di Bering sono poste due piccole isole rocciose.

Una, chiamata Diomede Grande, ha una superficie di circa 29 km².

L’altra, invece, nominata Diomede Piccola, consta di soli 6 km².

Il loro nome non è un omaggio alla mitologia classica ma al martire omonimo di Tarso.

Ricorrenza che gli ortodossi festeggiano il 17 agosto.

E proprio in quella data il comandante Bering documentò l’esistenza delle isole che pertanto furono battezzate con il nome del martire.

Estremamente inospitali le due isole non offrono granché, vista anche la latitudine alla quale sono poste.

Esse sono infatti prossime al Circolo Polare Artico.

Diomede. Divise dalla Guerra Fredda

Quando nel 1867 lo zar Alessandro II vendette agli Stati Uniti d’America il territorio dell’Alaska fu deciso che le due isole fossero separate.

Così l’isola più occidentale, chiamata Diomede Grande, restò alla Russia.

Mentre l’isola più orientale, denominata Diomede Piccola, andò con l’Alaska continentale agli Stati Uniti.

In mezzo fra le isole uno stretto di mare largo circa 3,8 chilometri che le separa.

Quando dopo la seconda Guerra Mondiale scoppiò la cosidetta Guerra Fredda anche le due isole furono coinvolte.

Essendo ognuna delle due isole il territorio “nemico” più vicino per ciascuna nazione entrambe divennero un punto strategico.

Su ognuna delle due isole furono installate apparecchiature di sorveglianza e installazioni militari.

Per questo motivo i nativi Yoruk, che popolavano l’isola russa, furono costretti dal governo sovietico ad abbandonarla.

Essendo diventata l’isola un luogo esclusivamente militare.

Diomede. Così vicine, così lontane

Le due isole distano così poco che un’americana di nome Lynne Cox raggiunse l’altra isola dopo solo due ore di nuotata.

Ma per un certo verso sono anche così lontane giacché sono separate da ben ventuno ore di fuso orario.

Perché quella Grande (russa) è a ovest della Linea del Cambiamento di Data.

Mentre quella Piccola (americana) è a est della medesima linea immaginaria che stabilisce la nascita del nuovo giorno.

Infatti le isole, essendo situate a 169° Est, risultano essere le terre più a Oriente del Meridiano di Greenwich.

Anche se come abbiamo visto a separarle passa la linea immaginaria del cambiamento di data.

Così se quella Piccola è mezzogiorno di sabato su quella Grande saranno le nove del mattino di domenica.

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Rubicone: Alea iacta est o iacta alea est?

(Rubicone) Articolo scritto da Mos Maiorum per Pillole di Cultura

A gennaio dell’anno 49 a.C. Caio Giulio Cesare rompeva gli indugi e varcando il Rubicone in armi dava il via ufficiale alla guerra civile.

SOMMARIO

È senza dubbio uno degli episodi più celebri della storia tanto che è conosciuto anche da chi di storia non se ne intende proprio.

Nella notte fra il 10 e l’11 gennaio (o fra l’11 e il 12 gennaio secondo altre fonti) del 49 a.C. Giulio Cesare varcò il fiume Rubicone.

Con quel gesto all’apparenza insignificante cambiò il suo destino, quello di Roma e del mondo intero.

Rubicone. Un confine invalicabile

Nel I secolo a.C. Roma occupava ormai gran parte del Mediterraneo e tutta la penisola italiana era ormai romanizzata.

Anche se una parte dell’attuale Italia era ancora suddiva in province (ad esempio la Gallia Cisalpina).

Il confine fra la provincia a nord e il territorio “urbano” di Roma era considerato sacro e inviolabile.

E soprattutto non valicabile dai generali in armi con i loro eserciti.

Questo a difesa della città di Roma in modo che nessun generale potesse entrarvi armato con la tentazione di prenderne possesso.

A Roma era ancora fresca la memoria di quanto accaduto solo qualche decennio primo ai tempi di Mario e di Silla!

A ridosso della Via Aemilia scorreva un piccolo corso d’acqua torrentizio chiamato Rubicone.

Un piccolo fiume che nasceva dalle colline romagnole (intorno a Sogliano) e sfociava nel mar Adriatico.

Quel piccolo corso d’acqua di chiamava Rubicone e segnava il confine fra Roma e la provincia della Gallia Cisalpina.

Rubicone. Un gesto eclatante

Ricordiamo che all’inizio di quel 49 a.C. Giulio Cesare era in aperto contrasto con il Senato di Roma.

Quest’ultimo gli aveva intimato di cedere il controllo della Gallia Cisalpina e di fare ritorno a Roma da semplice cittadino.

Rubicone

Cesare, trionfatore dei Galli, aveva ben altri progetti e rifiutò l’ordine del senato accampandosi nei pressi di Cervia.

Proprio a nord del fiume che segnava il confine fra la provincia della Gallia Cisalpina e Roma.

Dopo aver riflettuto a lungo sul da farsi proprio ai primi di gennaio il generale romano ruppe gli indugi varcando il Rubicone.

Ciò significava andare contro il Senato di Roma e di fatto iniziare una guerra civile.

Rubicone. Il dado è tratto

Alea iacta est (o come riporta Svetonio “iacta alea est”) non è altro che una traduzione latina della frase pronunciata in greco da Giulio Cesare.

In italiano può essere tradotta correttamente con “il dato è stato lanciato”.

O nella formulazione più comune con la frase “il dado è tratto”.

Il riferimento ovvio è quello al gioco dei dadi dove si poteva scommettere finché i dadi non venivano lanciati.

A quel punto non si poteva far altro che aspettare che i dadi si fermassero per valutarne il punteggio.

Così fu per quel gesto, compiuto il quale non vi era più possibilità di ripensamenti o di ritorno allo status quo.

Qualunque cosa fosse successa poi, Cesare non sarebbe più potuto tornare quello di prima.

O avrebbe vinto lui oppure il Senato.

Tutti sappiamo come finì, ma in quella fredda notte di gennaio fu davvero come lanciare i dadi in una partita che per lui aveva il valore della vita.

Rubicone. Si ma quale?

Quasi ventuno secoli dopo quella notte ancora oggi è impossibile stabile con certezza dove scorresse il fiume varcato da Cesare.

Sulle cartine dell’Emilia Romagna è segnato un fiume dal nome Rubicone ma secondo molti non si tratta di quello attraversato da Giulio Cesare.

Piuttosto l’antico fiume dovrebbe essere rintracciato nell’odierno Pisciatello (un piccolo corso d’acqua che scorre a fianco del Rubicone).

Il problema è che le fonti di allora non possono essere così precise da non lasciare dubbi.

E in oltre due millenni i fiumi hanno subito variazioni dovute a straripamenti e piene che ne hanno mutato gli alvei.

E a volte anche spostato il letto in modo significativo.

Dunque a tutt’oggi non v’è certezza se il fiume storico corrisponde al fiume che oggi ne porta il nome, al Piasciatello o a un altro corso d’acqua che scorre nei pressi.

Ma poco importa, si tratterebbe solo di posizionare il punto del passaggio del Rubicone di qualche chilometro più in qua o più in là.

Rubicone. Per sempre nella storia

Ciò che conta è il gesto e il suo significato simbolico, tanto da essere entrato per sempre nella storia e nella cultura popolare.

Ancora oggi si usa l’espressione varcare il Rubicone per indicare il compimento di un’azione che ha più vie di ritorno.

Un passo decisivo che non può in alcun modo essere cancellato.

Persino nella lingua inglese è rimasta traccia di quella notte così lontana dalla terra d’Albione.

To cross the Rubicon” significa appunto varcare un punto di non ritorno.

Andare oltre significa non poter più tornare indietro.

Foto di Clemens van Lay su Unsplash

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Rhapsody in blue, 100 anni fa il capolavoro di Gershwin

(Rhapsody) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Il 7 gennaio del 1924 veniva completata la celebre “Rhapsody in blue”, una delle più famose composizioni musicali di George Gershwin.

SOMMARIO

George Gershwin pensò di realizzare un brano che fosse profondamente americano.

Per questo inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi “American Rhapsody” salvo poi optare per il nome che l’ha resa celebre.

Un connubio perfetto fra jazz e musica colta, il brano è senza dubbio uno dei capolavori del compositore nato a Brooklyn.

Rhapsody. George Gershwin

Gerswuin nacque il 26 settembre del 1898 a Brooklyn, cittadina autonoma che soltanto pochi mesi prima era diventata uno dei quartieri di New York.

I genitori erano ebrei di origini ucraine e lituane immigrati negli Stati Uniti.

Il padre originariamente si chiamava Moishe Gershowitz ma poi cambiò nome in Morris Gershwin.

Il figlio da Jacob Bruskin Gershowitz divenne George Jacob Gershwin, passato alla storia come George Gershwin.

Nonostante la precoce passione per il pianoforte il piccolo George non studiò mai seriamente lo strumento.

Prese lezioni di pianoforte solo per un paio d’anni in modo del tutto dilettantistico.

Per il resto imparò tutto in modo autodidatta, soprattutto ascoltando i concerti e cercando di riprodurne le sonorità.

Rhapsody. Paul Whiteman

Fin dal 1917 Gershwin aveva cominciato a scrivere canzoni, alcune anche con un discreto successo.

Il tutto nonostante non avesse una preparazione accademica né alcun titolo di studio musicale.

Nel 1919 con la canzone “Swanee” ottenne il suo primo successo a livello nazionale restando per 18 settimane in vetta alle classifiche di vendita.

Rhapsody

Lo spartito del brano fu stampato con una tiratura record di oltre un milione di copie.

Fu negli anni successivi che Gershwin ebbe modo di conoscere il re del jazz sinfonico Paul Whiteman.

Quest’ultimo gli chiese di scrivergli qualcosa adatto alla sua orchestra, ovvero in stile jazz sinfonico.

Fu da quell’incontro che nacque l’idea di Rhapsody in Blue.

Rhapsody. Il brano

La leggende vuole che il brano sia stato concepito durante un viaggio in treno mentre il compositore era diretto a Boston.


Gershiwn si stava recando alla prima di una sua commedia musicale e pare che lo sferragliare del treno lo abbia ispirato per la rapsodia.

Vera o meno che sia questa ricostruzione sta di fatto che George Gershwin compose il brano in pochissimo tempo visto che doveva consegnarlo a breve.

Pare addirittura che non fosse nemmeno del tutto convinto della bontà del suo lavoro prima di darlo in mano all’orchestra.

Benché il direttore, dopo averlo fatto suonare, si disse sorpreso del fatto che il compositore volesse metterci ancora mano.

Pare infatti che questi abbia esclamato, stupito, come pensava Gershwindi poterla migliorare ancora visto quanto già fosse perfetta.

Rhapsody. Note musicali

Rapsodia in blu è un brano musicale per pianoforte e orchestra anche se inizialmente Gershwin l’aveva pensata per due pianoforti.

Si tratta di un brano che combina mirabilmente musica jazz e musica colta, caratteristica tipica del compositore di Brooklyn.

La composizione della rapsodia combina cinque differenti stili e fu suonata per la prima volta il 12 febbraio 1924 all’Aeolian Hall di New York.

Il brano comincia con un trillo e una lunga scala cromatica ascendente che vede protagonista il clarinetto.

Entra in scena poi il pianoforte e di seguito l’intera orchestra con fraseggi di pianoforte (solista o accompagnato dall’orchestra).

Si giunge quindi al tema maestro dell’orchestra per giungere poi a spegnersi dando spazio al pianoforte solo.

Di nuovo spazio all’orchestra con un Andantino moderato, ripreso successivamente dal pianoforte.

Per giungere poi al ritmo sincopato, incalzante che prelude al finale Grandioso che ripropone il tema principale.

Rhapsody. Al cinema

Come molti brani di successo di quegli anni anche Rhapsody in blue venne preso a prestito dal cinema.

Memorabile l’utilizzo nel film Disney Fantasia 2000 dove fa da colonna sonora a uno degli episodi.

Woody Allen ha voluto la rapdosia come colonna sonora del suo film Manhattan.

La si può ascoltare anche in un episodio di Glee e dei Simpson.

Persino Leonardo di Caprio l’ha voluta per il suo film Il grande Gatsby.

In Italia il brano è stato campionato da Paolo Villaggio che lo ha utilizzato per i suoi film di Fantozzi.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

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Jekyll e Hyde, da 138 anni protagonisti assoluti

(Jekyll) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Il 5 gennaio del 1886 veniva pubblicato uno dei romanzi più famosi di Robert Louis Stevenson dal titolo “Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde”.

SOMMARIO

Robert Louis Stevenson è stato forse il più famoso scrittore scozzese dell’Ottocento e uno fra i romanzieri più letti di tutti i tempi.

Numerosi i suoi scritti, ma uno su tutti spicca in modo particolare.

Anche chi non lo ha letto lo conosce per vie traverse, soprattutto per le trasposizioni cinematografiche.

Jekyll. Non solo “L’isola del tesoro”

Nato nel 1850 a Edimburgo e morto prematuramente nel 1894 Robert Louis Stevenson è a giusta ragione considerato un gigante della letteratura.

Conosciuto troppo spesso come autore per ragazzi grazie al suo capolavoro “L’isola del tesoro”, ha in realtà pubblicato molto altro.

Citando quasi a memoria: La freccia nera, Il master di Ballantrae, Il club dei suicidi, Il trafugatore di salme, Il diavolo in bottiglia

L’elenco sarebbe lunghissimo, ma non è necessario indugiare oltre.

Jekyll

Jekyll. La genesi del testo

L’idea di scrivere “Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde” venne allo Stevenson una notte in sogno e nel giro di tre giorni mise nero su bianco tutto il testo.

Come era sua abitudine sottopose il manoscritto alla moglie, Fanny Ousborne, la quale gli consigliò di riscriverlo.

Da semplice thriller la moglie pensava valesse la pensa di dargli anche una valenza allegorica.

L’autore non fu per nulla contento dei rilievi proposti dalla sua consorte e bruciò l’intero manoscritto.

Lo riscrisse però in tre giorni, questa volta seguendo i consigli di Fanny.

Il testo venne pubblicato ufficialmente in volume il 5 gennaio del 1886 riscuotendo un incredibile successo.

Nel solo Regno Unito riuscì a vendere all’incirca 40.000 copie.
Ma fu solo l’inizio, perché ancora oggi è uno dei testi più letti e conosciuti della letteratura mondiale.

Jekyll. La trama e non solo

Niente paura, nessuno spoiler sulla trama, ci mancherebbe altro!

Alcune riflessioni sulla storia però è doveroso farle.

Dottor Jekyll e Mr. Hyde rappresentano in modo emblematico la dualità della personalità umana.

E come aveva ben intuito la moglie dello Stevenson il racconto valevo molto di più del semplice thriller.

Ecco allora spiegato perché a distanza di così tanto tempo la storia regge ancora ed è assolutamente gobidile anche oggigiorno.

La forza del racconto sta nello scavo profondo della psiche umana, in quell’abisso che si nasconde in fondo a ognuno di noi.

Nella storia è una pozione a svelare l’altra faccia del dottor Jekyll.

Ma spesso il Mr. Hyde che si nascondo dentro ognuno di noi non ha bisogno di intrugli per emergere e mostrarsi.

Oppure no?

Perché una delle domande che ci si pone dopo la lettura di questa storia è se sia inevitabile soccombore all’altra parte.

A quell’io malvagio e incontrollabile che l’autore sembra volerci dire essere in ognuno di noi.

Oppure se si tratta di scelte, magari celate da buoni propositi, a condurre definitivamente l’essere umano sulla via della perdizione.

A ogni lettore la risposta che più gli aggrada.

Jekyll. Un successo anche cinematografico

Come per il romanzo “L’isola del tesoro” (del 1883) anche “Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde” ebbe un grande successo letterario.

E grande fortuna ebbe anche dopo la morte prematura del suo autore.

Già nel 1908 (a soli 22 anni dalla pubblicazioni e a 14 dalla morte dell’autore) Otis Turner realizzò un cortometraggio muto del libro.

Dal 1908 al 1925 vennero girate almeno una dozzina di film muti sempre ispirati al testo di Robert Luois Stevenson.

Compresa una parodia con potragonista Stan Laurel (lo Stanlio di Stanlio e Ollio).

Dal 1931 al 2002 sono state girate una quindicina di pellicole che in vario modo si rifanno alla storia del dottor Jekyll e di Mr. Hyde.

Senza contare che si possono contare almeno altri otto adattamenti televisivi della storia.

Altrettanto sono le parodie, compresa “Le folli notti del dottor Jerryll” interpretato e diretto dal famoso attore comico Jerry Lewis.

Foto di fszalai da Pixabay

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RAI, il 3 gennaio 1954 il debutto delle trasmissioni

(RAI) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Il 3 gennaio del 1954 debuttava ufficialmente la messa in onda della Radiotelevisione Italiana.

SOMMARIO

Le prime trasmissioni televisive erano iniziate il 10 settembre 1952 in forma sperimentale ma soltanto il 3 gennaio 1954 la la tv pubblica iniziò a trasmettere in modo organico

RAI. Il debutto sperimentale

Il 10 settembre 1952 la Radiotelevisione Italiana iniziava le prime trasmissioni sperimentali per trasmettere un canale televisivo.

L’ente nazionale delle televisione nasceva prima come Ente Radiofonico Italiano nel 1924.

RAI

Nel 1927 cambia nome in EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche).

Successivamente divenne Radio Audizioni Italiane nel 1944.

Infine con l’inizio delle trasmissioni televisive nel 1954 assunse la denominazione con la quale tutti quanti la conosciamo.

RAI. Il debutto ufficiale

Dopo quasi due anni di trasmissioni sperimentali, quasi quotidiane a dire il vero, il 3 gennaio 1954 iniziarono ufficialmente le trasmissioni ufficiali.

Fu l’annunciatrice Fulvia Colombo che quel mattino d’inverno diede il via ufficiale alle tramissioni.

La Rai – Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di tramissioni televisive.

Questo quanto disse Fulvia Colombo alle ore 11 del 3 gennaio del 1954.

Il primo programma ad andare in onda fu Arrivi e partenze, un rotocalco di costume della durata di circa 15 minuti.

A condurlo insieme ad Armando Pizzo c’era Mike Bongiorno, proprio il Mike nazionale che non si era ancora specializzato nei quiz.

Da notare che alla regia del programma c’era un giovane Antonello Falqui.

Colui che poi sarebbe diventato famoso per la regia di innumerevoli Canzonissima e Studio Uno.

RAI. Il debutto della Domenica Sportiva

Sempre il 3 gennaio 1954, ma alla andò in onda anche il primo programma sportivo.

Si trattava della Domenica Sportiva che è dunque da considerarsi il programma più longevo e tutt’ora in palinsesto.

Il programma serale dedicato all’approfondimento sportivo della RAI debuttò in realtà qualche mese prima.

Fu infatti durante le trasmissioni sperimentali che l’11 ottobre del 1953 debuttò la Domenica Sportiva.

In quell’occasione andarono in onda le immagini di Inter-Fiorentina del campionato di Calcio di Serie A.

Oltre alle riprese della gara ciclistica della Tre Valli Varesine e del Campionato Italiano di marcia (50 km).

Foto di Christian Dorn da Pixabay

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Capodanno, perché si festeggia il 1 gennaio?

(Capodanno) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Il 1 gennaio nel mondo occidentale, e non solo ormai, è ufficialmente l’inizio del nuovo anno. Ma da quando è così? e chi lo ha stabilito?

SOMMARIO

Il 1 gennaio è sicuramente una delle feste più diffuse e condivise del pianeta.

Iniziare un nuovo anno è certamente un momento simbolicamente importante.

E meritevole di festeggiamenti.

Ma chi ha deciso che il capodanno dovesse essere proprio il 1 gennaio?

Capodanno. Il Calendario Giuliano

Secondo la tradizione fu Giulio Cesare che nel 46 a.C. riformò il calendario dando vita a quello che sarebbe stato conosciuto come Calendario Giuliano.

Fu proprio in quell’occasione che il dittatore Cesare volle far coincidere l’inizio dell’anno con l’entrata in carica dei consoli.

Infatti occorre ricordare che i consoli romani entravano in carica il 1 gennaio.

L’anno però iniziava il 1 marzo.

Giulio Cesare decise dunque di far coincidere l’entrata in carica dei consoli con il primo giorno dell’anno.

Capodanno

Capodanno. Il mese di Giano

Il nome romano del mese di gennaio deriva dal dio Giano, la divinità bifronte.

Secondo alcuni studiosi è proprio grazie al dio Giano che il 1 gennaio è stato scelto come primo giorno dell’anno.

Giano, essendo bifronte, guarda sia avanti che indietro.

Si rivolge dunque al passato come al futuro.

Quale miglior modo per iniziare l’anno se non con il primo giorno del mese dedicato a Giano dunque?

Capodanno. Il caos medievale

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente non vi fu solo l’imbarbarimento dei costumi.

Ne fecero le spese anche le infrastrutture, le città e le strade.

I collegamenti divennero più ardui e la nascita dei comuni portò a volersi distinguere gli uni dagli altri.

Anche nel modo di conteggiare i giorni e dunque persino nello stabilire il primo giorno dell’anno.

A Venezia si riprese l’antica usanza della Roma Repubblicana facendo iniziare l’anno il 1 marzo.

A Pisa e Firenze l’anno iniziava il 25 marzo (ipotetica data del concepimento di Gesù Cristo).

Nell’Impero Romano d’Oriente (e poi anche in Russia e in altre luoghi d’Europa) l’anno iniziava il 1 settembre.

In Francia si usava la data della Pasqua come inizio d’anno.

A tal proposito bisogna tener presente che la ricorrenza pasquale non cade ogni anno nello stesso giorno.

Pertanto la lunghezza degli anni francesi era molto variabile a seconda di come “cadeva” la Pasqua di volta in volta.

Vi era poi chi faceva iniziare l’anno il 25 dicembre, ovvero nel giorno di Natale.

Capodanno. Il Calendario Gregoriano mette tutti d’accordo

Come si è visto durante il medioevo a anche successivamente l’anno iniziava in tempi diversi a secondo dei luoghi.

Questo comportava notevoli problemi man mano che i commerci si intensificavano e le varie nazioni o città interagivano sempre più frequentemente.

La data spartiacque per un riordino generale in merito al Capodanno fu il 1582 con l’adozione del Calendario Gregoriano.

Avendo riallinetato il calendario umano con la posizione astronomica della terra si passò dal 4 al 15 ottobre 1582.

Nel contempo fu stabilito che l’anno sarebbe iniziato il 1 gennaio per tutta la cristianità (almeno quella cattolica).

Progressivamente quasi tutti i paesi si adattarono e di fatto il 1 gennaio è diventato universalmente il primo giorno dell’anno.

Foto di Flash Alexander da Pixabay

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