Legnanesi in scena con “7°… non rubare”

Legnanesi in scena con “7°… non rubare”

(Legnanesi) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Ascolta “Il crogiulo. Puntata 2 – Legnanesi in scena con “7°… non rubare”” su Spreaker.

Dal 30 dicembre 2023 al 18 febbraio 2024 presso il Teatro Repower di Assago (Milano) la storica compagnia de I Legnanesi propone il nuovo spettacolo dal titolo “7°… non rubare”.

SOMMARIO

Campioni d’incasso al botteghino teatrale dal lontano 1949, anno di fondazione della compagnia, i Legnanesi tornano con un nuovo spettacolo.

Legnanesi. 7°… non rubare

A partire del 30 dicembre 2023 presso il Teatro Repower di Assago appuntamento con “7°… non rubare”.

Il nuovo spettacolo di una tra le più popolari e longeve compagnie dialettali d’Europa.

Questa volta la famiglia Colombo sarà alle prese con la beneficenza.

Legnanesi

La Mabilia vincerà un concorso di beneficenza che le darà il privilegio di poter adottare temporaneamente un ragazzo problematico.

Carmine (Maicol Trotta) farà così il suo ingresso nel cortile dando vita a uno spettacolo tutto nuovo ma nel solco della tradizione.

In scena sino al 18 febbraio 2024 presso il Teatro Repower ad Assago.

Legnanesi. Un successo che arriva da lontano!

La compagnia fondata nel 1949 da Felice Musazzi e Tony Barlocco.

Da quel lontano dopoguerra di tempo ne è passato ma il successo per la compagnia non è mai mancato, anzi!

Con un repertorio di spettacolo da far invidia a Broadway, la compagnia dialettale regala ogni anno un nuovo spettacolo garanzia di successo.

Legnanesi

Prova ne sia che anche quest’anno le date previste per il suo debutto ad Assago coprono quasi due mesi!

Senza contare gli spettacoli che poi si terranno in giro per l’Italia a riempire teatri un po’ ovunque.

E non solo in Italia, peraltro!

Legnanesi. Un cast consolidato

Come ormai da tradizione la Mabilia sarà interpretata da Enrico Dalceri.

Teresa sarà impersonata da Antonio Provasio.

Italo Giglioli invece vestirà i panni di Giovanni.

Legnanesi

E come già accennato Carmine avrà il volto di Maicol Trotta.

La regia è di Antonio Provasio mentre il testo è di Mitia Del Brocco e le coreografie di Valentina Bordi.

Legnanesi. Omaggi alla canzone d’autore

A chiudere il primo atto un omaggio a Giorgio Gaber e alla sua “Barbera e Champagne” con scenografie da lasciar di stucco.

Mabilia aprirà il secondo atto interpretando “La vita” di Antonio Amurri e Bruno Canfora, nel 1968 interpretato da Elio Gandolfi e Shirley Bassey al Festival di Sanremo.

Legnanesi

E tanto altro ancora, tutto da gustare e da vedere a partire dal 30 dicembre 2023 presso il Teatro Repower di Assago.

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Fumone, ghost and legend in the castle

(Fumone) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Famoso è il suo Castello che ha tutti gli ingredienti per definirsi “magico”, non solo per bellezza strutturale ma anche perché intriso di storia, leggende e… fantasmi!

SOMMARIO

Fumone è un piccolo paese in provincia di Frosinone.

Il centro storico è situato su un colle rialzato e ben visibile anche da notevoli distanze.

Tanto che nelle giornate di cielo terso e limpido si possa ammirare un panorama spettacolare.

Si riesce a scorgere Roma e (addirittura) il profilo del Vesuvio. 

È “incastrato” tra Fiuggi e Alatri e le sue origini sono antichissime.

Fonti attendibili narrano che la sua fondazione risalga a Tarquinio Il Superbo (V secolo a.C.) il quale vi trovò rifugio, dopo essere stato bandito da Roma.

Fumone. Castello in posizione strategica

La sua posizione rialzata (e privilegiata) permise ai suoi abitanti di avere un ruolo fondamentale nella difesa del territorio circostante.

Tanto da venir forgiato un antico detto popolare che racconta l’importanza strategica che nei secoli, ha avuto questo luogo:

«Se Fumone fuma, tutta la Campagna trema!»

A voler significare che all’avvistare del fumo – messaggero esiziale di devastazione e pericolo – dalle alte torri del paese, le città vicine dovevano prepararsi a difendersi.

Fumone

Per Campagna – in latino: Campaniæ Maritimæque provincia – invece, s’intende una divisione amministrativa dello Stato Pontificio.

Famoso è il suo Castello che ha tutti gli ingredienti per definirsi “magico”.

Non solo per bellezza strutturale ma anche perché intriso di storia, leggende e… fantasmi!

Il Castello Longhi è infatti il luogo più noto del paese e attira da anni molti turisti e curiosi.

Visitatori che s’inoltrano tra le stanze della fortezza accompagnati da guide preparate e competenti in grado di portare il visitatore tra i luoghi della roccaforte come se fossero a spasso nel tempo”.

Fumone. Le origini

Le origini del Castello sono avvolte nel mistero e cavalcano la storia.

Nel X secolo d.C. attraverso la donazione dell’Imperatore di Germania – Ottone I – la Santa Sede, nella persona dell’allora Pontefice Giovanni XII, divenne proprietaria della Rocca.

Per oltre 500 anni, il Castello fu adibito e usato come prigione Pontificia per prigionieri politici e avamposto militare di controllo. 

Tra i molti (sfortunati) reclusi ci furono: Maurizio Bordino – antipapa noto con il nome di Gregorio VIII – giustiziato e sepolto nel Castello, il cui suo corpo non fu mai ritrovato.

Il più celebre prigioniero fu Papa Celestino V (conosciuto anche come Pietro l’eremita da Morrone) che venne fatto prigioniero nel 1295.

Fumone

L’anziano Pontefice – eletto alla veneranda età di 86 anni – per un puro gioco di potere tra le famiglie cardinalizie dei Colonna e gli Orsini, si arrese presto alla pressante vita da vicario di Cristo e decise di abdicare.

Non era mai accaduto prima nella storia della Chiesa.

Al suo posto venne eletto Papa Bonifacio VIII, il quale presto si rese conto che la sua elezione era illegittima e pertanto trovò come unica soluzione l’arresto dell’anziano Pontefice.

Celestino V visse in una cella angusta, quasi murato vivo e perì il 12 Maggio 1296. Da allora il Castello non venne identificato solo come fortezza militare, ma anche come luogo spirituale vista la presenza della tomba di Celestino.

Fumone. La famiglia Longhi

Col tempo la roccaforte perse prestigio e la trascuratezza iniziò ad essere visibile su tutta la struttura.

Solo nel 1584, Papa Sisto V decise di affidare il Castello ai Marchesi Longhi, famiglia aristocratica romana.

Fumone

I nuovi proprietari decisero di apportare migliorie al Castello.

Crearono un bellissimo e grandissimo giardino pensile (secondo per estensione e primo in altezza, in Europa).

Il bellissimo “giardino sospeso” ha al suo centro una pietra che se calpestata si narra, porti fortuna.

Il Castello Longhi custodisce ed espone anche un bozzetto della statua di Paolina Bonaparte, lavorato dal Canova.

Fumone. La leggenda del marchesino e di sua madre

Se visita il Maniero si passeggia nella storia e nelle leggende, come quella del Marchesino Francesco Longhi e della madre Emilia.

Nel 1851, i Marchesi Giovanni Longhi ed Emilia Caetani subirono la perdita del loro amatissimo ultimogenito, Francesco.

Il piccolo – di appena 3 anni – perì nel suo letto dopo atroci sofferenze senza nessuna diagnosi certa.

La madre, folle di dolore, impedì la classica sepoltura perché impensabile per lei allontanarsi da quel corpicino esanime.

Lo fece imbalsamare e il dolore la lacerò fino alla morte.

Fumone

Tutt’oggi il corpo del piccolo riposa in una teca, ben conservato, insieme ai suoi giocattoli preferiti.

Solo successivamente si scoprì che a uccidere il Marchesino non fu nessuna malattia, ma la cattiveria e l’invidia delle sorelle più grandi.

Per questioni d’eredità decisero di avvelenarlo, contagiando il cibo del fratellino con piccole dosi di veleno e frammenti di vetro finemente sminuzzato.

Una morte inspiegabile e atroce accompagna la leggenda del suo fantasma che si manifesterebbe ancora all’interno del castello.

Alla perenne ricerca dell’amata mamma Emilia.

Testimonianze raccontano che anche il fantasma di quest’ultima si aggiri ogni notte tra le mura del maniero per far visita al corpo del figlio.

Per accudirlo e proteggerlo.

Avendo avuto il privilegio di visitarlo posso scrivere con certezza che tra quelle mura il mistero come l’austerità della storia, non lasciano indifferenti nessun visitatore che entra cosciente di fare un salto nel tempo tra magia e spiritualità.

AMELIA SETTELE

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Skid Row, the other side of Los Angeles

(Skid Row) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura, Persone e StorieFatti e società e La Forza di indignarsi Ancora

Ascolta “La Forza di Indignarsi Ancora. Puntata 6 – Skid Row, the other side of Los Angeles” su Spreaker.

La città di Los Angeles – dopo New York City – è la seconda metropoli più grande d’America.

SOMMARIO

La città è celebre per essere il fulcro dell’industria cinematografica, per i quartieri lussuosi, la ricchezza ostentata. Senza dimenticare la celebre collina dove spicca l’iconico cartello “Hollywood”. Ma cela anche un lato oscuro e inquietante.

Skid Row. Accesso all’inferno

La mia penna aveva già sfiorato l’argomento, mentre vi raccontavo del Cecil Hotel e della sua triste storia.

Ora è giunto il momento di portarvi a Skid Row: il ghetto di Los Angeles.

Il suo nome – Los Angeles, la città degli Angeli – può trarvi in inganno.

Perché questa metropoli possiede anche le chiavi per le porte dell’inferno e Skid Row, è uno degli accessi.

Ufficialmente conosciuto come Central City East è un distretto della Downtown (centro amministrativo e geografico della città).

Ospita la più grande comunità di senzatetto stabili degli Stati Uniti.

il telefono del vento

Skid Row. Casa di 3000/5000 clochard

Nel quartiere vive una gremita comunità di clochard che si aggira tra le 3000 e le 5000 persone.

Qui governa la violenza, la coercizione e il pressante disagio di uno specchio sociale.

Che si scontra con vite graffiate, interrotte, consumate da droga, alcool, squilibrio mentale ed estrema povertà.

Le luci e i sogni di Los Angeles s’infrangono a Skid Row dove non si vive, si sopravvive.

Dove non si sogna, ma si lotta per mangiare e continuare ad avere almeno uno sputo di marciapiede da occupare e chiamare “casa”.

Ricettacolo e degrado.

Droga, alcool, prostituzione, giro di vite e lotta intestina per la sopravvivenza.

È fortunato chi può permettersi come alloggio al coperto una tenda da campeggio.

Mentre la maggior parte dei clochard scompare di notte in cartoni ammassati agli angoli più bui per cercare di proteggersi le carni e la dignità.

Skid Row. Sembra impossibile da recuperare

In questa realtà sociale sopravvive non solo solo chi ha ceduto tutto alle dipendenze delle droghe, oppure ai vizi che offre l’alcool.

Ci sono anche ex veterani di guerra, disabili mentali non pericolosi per gli altri.

E gente “semplicemente” sfortunata che ha perso: lavoro, casa, risparmi e la possibilità di poter ricominciare.

Da anni ormai il quartiere – un agglomerato di isolati a pochi minuti dai quartieri “bene” – sembra impossibile da recuperare.

Ci sono vicoli impraticabili da transitare per la sporcizia e l’indigenza imperante.

Feci ed urine appestano l’aria, dove banchettano mosche e prolificano batteri.

E il popolo di Skid Row continua ad arrancare e a sopravvivere. 

Ombre umane simbolo del decadimento di una società troppo caotica e occupata a non osservare queste creature sopraffatte dagli eventi e incapaci di recuperare.

Un perfetto set per i film sugli zombie.

SKid Row

Skid Row, ma come nasce?

Già nell’800 l’area urbana era presente a Los Angeles.

Il nome Skid Row indicava la strada utilizzata dai taglialegna per far arrivare i tronchi verso la costa.

Laddove poi venivano caricati sulle navi e spediti.

Con la grande depressione alla fine del 1929 – e il relativo crollo di Wall Street – il quartiere brulicava sempre più di emarginati, alcolizzati e di bordelli.

Con gli anni la popolazione aumentava, il degrado con lei.

Anche la fine della guerra in Vietnam (1975) e il ritorno a casa dei veterani, permise al quartiere di prosperare.

Perché molti reduci rientrati con fardelli insopportabili da gestire, non riuscirono a reinserirsi nella società e trovarono facile rifugio nel quartiere.

Nel corso degli anni, diverse amministrazioni comunali hanno cercato d’intervenire.

Rendendo la presenza massiccia delle forze dell’ordine un monito per gli abitanti del quartiere.

Ma quello che accade a Skid Row è pesante, pressante e non è di facile risoluzione.

Gli anni infatti passano, ma lo scenario non cambia.

Ancora oggi osservare Skid Row e i suoi “ospiti” rende chiaro che il girone infernale che rappresentano non può essere dimenticato né sottovalutato.

Visto che rappresenta non solo il fallimento di una metropoli, ma della società tutta.

Noi compresi.

Skid Row


Fonti:

  • La Stampa: Skid Row, il quartiere fantasma che assedia le luci di Los Angeles
  • Los Angeles Times: L.A. settles homeless rights case, likely limiting ability to clear skid row streets
  • Company People: Skid Row la zombie area di Los Angeles
AMELIA SETTELE

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Dame de Fourly. Homage from the French to Caterina Sforza

(Dame de Fourly) Articolo scritto da Mos Maiorum per Pillole di Cultura

Alla fine del XV secolo una donna italiana riuscì a tenere in scacco le truppe francesi a tal punto che le intitolarono persino un nuovo pezzo d’artiglieria.

SOMMARIO

Caterina Sforza vedova Riario, signora di Imola e Forlì, è stata una delle protagoniste della vita politica e militare della fine del XV secolo.

Tanto che i francesi, ammirati del suo coraggio e della sua valenza militare, vollero intitolarle un loro nuovissimo pezzo d’artiglieria.

È infatti in suo onore che diedero a uno dei loro nuovissimi cannoni il nome di Dame de Fourly.

Dame de Fourly. Il Valentino

Nonostante la sconfitta militare patita all’inizio dell’anno 1500 la signora di Imola e Forlì tenne testa all’esercito invasore.

La strenua resistenza di Caterina Sforza diede modo ai francesi assedianti di omaggiarne il coraggio intitolandole un loro nuovissimo cannone.

La storia è fatta di grandi eventi ma anche di piccole curiosità che però danno il segno di quanto accade nel tempo in questione.

Fra l’autunno del 1499 e l’inizio del 1500 l’esercito francese scese in Italia coadiuvando le mire del Duca di Valentinois.

Il duca, detto il Valentino (al secolo Cesare Borgia) voleva conquistare la Romagna.

In tale azione le truppe francesi trovarono la più tenace resistenza in una piccola rocca posta a difesa della città di Forlì.

Ovvero la Rocca di Ravaldino.

Rocca che resistette agli assalti nemici a lungo prima di soccombere.

Probabilmente sotto l’azione di un traditore interno.

Niente di nuovo, verrebbe da dire, se non fosse che a comandare le truppe asserragliate all’interno dei bastioni c’era una donna, e che donna!

Dame de Fourly. Caterina Sforza Riario

A quel tempo Imola e Forlì formavano un unico stato la cui signoria era nominalmente in capo a Ottaviano Riario, figlio del defunto padre Girolamo.

Ma di fatto il comando era nelle mani della madre del giovane, ovvero Caterina Sforza, vedova Riario.

Caterina era nata figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza, poi adottata dallo stesso dopo il matrimonio con Bona di Savoia e data in sposa al nipote di papa Sisto IVGirolamo Riario.

Dame de Fourly

Dame de Fourly. L’omaggio dei francesi

Tale fu la determinazione della giovane erede Sforza nel difendere il suo piccolo feudo che i francesi, tanto ammirati dal coraggio e dalla determinazione e tenacia della donna, vollero intitolarle poi un loro nuovissimo cannone che da lei prese il nome di Dame de Fourly.

Altro che sesso debole!

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Il telefono del vento. The phone online with Death!

(telefono del vento) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

In Giappone – nel giardino privato di Bell Gardia – c’è una cabina telefonica per “parlare” con i morti.

Esistono molti luoghi nel mondo dove commemorare i defunti.

Uno dei posti più inconsueti e originali si trova in Giappone, nella città di Ōtsuchi.

Un centro abitato a Nord Est dell’isola, nella prefettura di Iwate e più precisamente in un giardino privato chiamato Bell Gardia.

Il monumento si chiama 風の電話 kaze no denwa, il cui significato è Telefono del Vento.

SOMMARIO

È una cabina telefonica che spicca tra la bellezza naturalistica del giardino.

Cabina al cui interno è installato un vecchio modello di telefono in bachelite, privo di linea, attraverso il quale si può “dialogare” con i morti.

Il visitatore che decide di entrare nella cabina, può intrattenere una chiacchierata onirica o rimanere nel più assoluto silenzio.

Cullato dall’abbraccio del vento che sferza e rafforza l’atmosfera preziosa e unica dell’opera.

La cabina è di legno bianco e pannelli di vetro, mentre il telefono è sistemato sopra una mensola.

Accanto vi è un quaderno, dove gli ospiti possono lasciare un segno del loro passaggio: una firma, un pensiero.

Il telefono del vento. Ma chi ha ideato il Kaze no Denwa e perché?

Il Telefono del Vento è stato progettato nel 2010 da Itaru Sasaki, progettista di giardini che ha creato l’opera dopo la scomparsa di suo cugino.

La cabina telefonica è diventata, col tempo, una sorte di portale immaginario.

Dove poter parlare con i defunti, in un dialogo chimerico e profondamente commovente.

Alzando la cornetta si può immaginare di colloquiare con chiunque si desideri, anche con sé stessi, come e soprattutto con chi non è più con noi.

Sognare di dialogare attraverso quel telefono privo di linea è come pregare e sperare.

Ponendosi dinnanzi a uno dei sentimenti più profondi e laceranti che caratterizzano l’essere umano: il dolore del lutto.

Il Telefono del Vento permette di credere almeno per un istante di poter essere in contatto con chi non ci è più accanto.

il telefono del vento

Il telefono del vento. La storia del Telefono del Vento è intensa, importante e nasce perché

Itaru Sasaki dopo il grave lutto che colpì lui e i suoi parenti, immaginò un luogo dove poter continuare a “parlare” col suo familiare deceduto.

E per farlo pensò a due elementi soltanto: il telefono e il vento.

Poiché i miei pensieri non potevano essere trasmessi su una normale linea telefonica, volli che fossero portati dal vento.” (I. Sasaki)

Il Signor Sasaki era sicuro che la sua opera l’avrebbe aiutato a metabolizzare il dolore.

Ma quello che non poteva minimamente immaginare, accadde appena un anno dopo.

Un evento di tali proporzioni da cambiare le venture – e le vite – di migliaia di persone come della storia stessa del Telefono del Vento.

Tanto da trasformandolo in un vero e proprio luogo di pellegrinaggio, ancora più toccante e mistico.

L’evento che modifica per sempre la storia che vi sto narrando avviene l’11 Marzo 2011, quando un potentissimo terremoto colpisce il Giappone.

Il telefono del vento. Il terremoto e maremoto di Tōhoku

Nord del Giappone – Isola di Honshū – 11 Marzo 2011, ore 14:46 (le 6:46 in Italia).

La terra inizia a tremare.

Un terremoto di magnitudo 9.1 matura e deflagra a largo delle coste dell’isola più grande della nazione nipponica.

Dopo pochi minuti sopraggiunge un mostruoso tsunami che colpisce e devasta soprattutto le coste della regione di Tōhoku

Il sisma avvertito, risulta essere da subito violentissimo e viene catalogato come uno dei cinque più potenti mai registrati nella storia del mondo dal 1900.

Oltre a essere, ancora oggi, quello più forte mai rilevato in Giappone.

La scossa è intensa ma lontana dalla terra ferma pertanto, l’elemento che porta distruzione e morte è il maremoto generatosi pochi istanti dopo.

Onde alte più di 10 metri si abbattono sulla costa con una tale violenza da spazzare via ogni cosa.

Oltre 15.000 vittime

Solo a Tōhoku le vittime sono più di 15.000… trasportati via da un’onda irrefrenabile che ha lacerato vite, sogni e realtà.

La centrale nucleare di Fukushima esplode.

L’enorme onda creatasi a seguito del terremoto, arriva a danneggiare la struttura in modo irreparabile.

La tragedia verrà ricordata proprio con il nome della regione più colpita, Tōhoku.

La conta delle vittime lascia il mondo attonito, dinnanzi agli occhi dei sopravvissuti si palesa la potenza di una natura devastante e distruttrice.

Un terremoto che scuote letteralmente il mondo e ferisce pesantemente il Giappone.

Morte, disastro e dolore restano le conseguenze più tangibili di questa catastrofe.

È proprio a seguito di questo evento che Itaru Sasaki decide di aprire il suo giardino privato ai familiari e agli amici delle vittime dello tsunami.

telefono del vento

Dialogare con i cari scomparsi

Mette a loro disposizione la cabina e lascia che utilizzino il Telefono del Vento per cercare un dialogo non solo con i propri cari scomparsi.

Ma anche con quel dolore sordido e martellante che li stringe ormai in una morsa senza fine e che lui conosce bene.

Da quel momento, grazie anche al passaparola, il Telefono del Vento diventa una vera e propria meta.

In più di 12 anni, le persone che hanno visitato il luogo sono state davvero molte, le stime ne dichiarano circa 30.000!

Il telefono del vento. Silenzioso cordone umano a Bell Gardia

Un rispettoso e silenzioso cordone umano ha continuato ad andare a Bell Gardia, oramai ribattezzata “la collina del telefono del vento”.

Per potersi immergere in quell’atmosfera profondamente toccante che si annida tra le sferzate di vento e il bianco candore della cabina.

Chi ha visitato l’opera di Sasaki ha intrapreso un viaggio personale intenso e significativo.

L’opera del garden designer è stata ripresa in altre parti del mondo.

Con lo stesso significato e lo stesso rispetto verso il dolore di chi deve convivere con la pesante assenza di una persona cara che non c’è più.

Cercando rifugio e sollievo tra i fili di un telefono privo di linea e l’ascendente della natura.

Non posso chiudere quest’articolo senza citare il bellissimo romanzo di Laura Imai Messina: “Quel che affidiamo al vento” (edito da Piemme).

Romanzo grazie al quale ho conosciuto questa storia e che vi suggerisco di leggere almeno una volta nella vita.

In fondo era quanto ci si augurava per tutti, che un posto dove curare il dolore e rimarginarsi la vita, ognuno se lo fabbricasse da sé, in un luogo che ognuno individuava diverso.” Laura Imai Messina

Ricordatevi sempre che il tempo batte ritmi incessanti e non arresta mai il suo scorrere.

Mentre il Telefono del Vento continua a custodire migliaia di parole, lacrime e ricordi, cullato e protetto da una natura maestosa. E da sentimenti che non muoiono mai.


Fonti:

  • Sempre dire Banzai: “Il telefono del vento: in Giappone esiste una cabina per “parlare” con i morti
  • Internazionale: “Il telefono del vento per parlare con le vittime dello tsunami”
  • IO Donna: “In Giappone c’è una cabina telefonica per parlare con i defunti”
  • Wikipedia: “Telefono del vento”
  • Studio Bellesi: “Il giardino di Bell Gardia e il telefono del vento”
AMELIA SETTELE

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Hei Zhy Gou, la foresta del non ritorno

(Hei Zhy Gou) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

In Cina, nella regione del Sichuan, si trova uno dei luoghi più misteriosi e inquietanti del pianeta. È la foresta di Hei Zhy Gou, soprannominata anche: “Foresta del non ritorno”.

SOMMARIO

Gli abitanti delle zone limitrofe la chiamano “La terrificante valle della morte”.

Se tradotto, il suo significato dovrebbe essere: “La gola del Bambù nero”.

Hei Zhy Gou. La foresta del non ritorno

Immersa in una gola profonda, avvolta quasi perennemente da fitti banchi di nebbia la foresta del non ritorno”, è affascinante ma nefasta.

Sembra sospesa nel tempo, lontana dalla realtà e sprofondata in un mondo parallelo.

Da anni si narra che nessun essere umano sia capace di esplorarla e … di tornare indietro sano e salvo!

Numerose sparizioni infatti, accompagnano la storia di questo labirinto di bambù.

Si ritiene che la “foresta del non ritorno” sia letteralmente in grado d’inghiottire uomini e veicoli.

Coraggiosi esploratori e persino alcuni aerei che sorvolavano la zona sono svaniti nel nulla, appena entrati in contatto con la foresta.

Sembra proprio che sia maledetta e non permetta a niente e nessuno di trovare la via del ritorno e di poter quindi, raccontare cosa (o chi) si celi al suo interno.

Hei Zhy Gou. La foresta non restituisce neppure i cadaveri

Quando il fitto fogliame viene inondato dal calore del sole, la foresta appare nei suoi ancestrali colori vivi ed intensi.

I profumi della natura rendono l’area un vero e proprio polmone verde, fulcro e culla di pace, spennellato di bruma e sinistro incanto.

Ma di notte tutto cambia.

Hei Zhy Gou

Il buio padroneggia nelle sue tinte più cupe e impenetrabili, donando al luogo un’aurea spaventosa.

Antiche leggende e angoscianti storie hanno come protagonista proprio la foresta.

Hei Zhy Gou si trasforma infatti in un antro intricato e pericoloso.

Da anni, chi si addentra tra i suoi sentieri non fa più ritorno.

Hei Zhy Gou. Abitata da un enorme drago a due teste

La sua impenetrabilità non ha mai reso concrete e sicure le notizie inerenti la sua formazione e storia.

Alcune leggende locali giustificano i misteri che aleggiano sulla foresta raccontando che, sia abitata dal Grande Uccello”.

Uno spaventoso mostro mitologico descritto come un enorme drago a due teste.

Certo è che – essendo il Drago un importante simbolo della cultura cinese, protagonista da millenni di storie e miti – nessuno ha mai cercato di scoprire cosa dominerebbe davvero “la foresta del non ritorno”, anteponendo a qualsiasi spiegazione logica, il rispetto della forza della natura e delle antiche tradizioni che hanno reso questo lembo di terra, uno dei luoghi più sventurati e maledetti che l’uomo conosca.

Fonti:
  • Travelglobe: La foresta di Hei Zhy Gou, tra bambù e misteri
  • Urban Post: Cina: Foresta di Hei Zhy Gou, la valle dei bambù dalla quale nessuno torna
  • Curiosando708090.altervista: Luoghi misteriosi: Foresta di Hei Zhy Gou (Cina)
AMELIA SETTELE

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Mangia Peccati, una figura storica tra leggenda e oblio

(Mangia Peccati) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Chi tra di voi è senza peccato scagli la pietra per primo.” Vangelo secondo Giovanni: 8.3

Tra il XVIII e il XIX secolo si concretizzò la figura simil-religiosa del Mangia Peccati – Sin Eater – che aveva il compito di assorbire le colpe del defunto, attraverso l’assunzione di cibo sul letto del moribondo.

SOMMARIO

Irrimediabilmente quando si narra del Mangia Peccati si è costretti a pensare agli ultimi istanti di vita di una persona.

Perché per chi crede, i peccati commessi devono essere redenti prima di esalare l’ultimo respiro, così da permettere alla propria anima un sicuro viaggio per l’aldilà. 

Mangia Peccati. Le origini

Per molto tempo, in alcune parti del mondo il Mangia Peccati ne ha rappresentato un valido aiuto.

Figura emblematica e ormai dai contorni poco nitidi, ha preso principalmente piede nell’entroterra Inglese e in alcune zone del Galles e della Scozia.

Soprattutto nei luoghi più isolati e remoti.

Sulle origini del Mangia Peccati ci sono poche notizie, ma quelle più concrete datano la sua nascita nel periodo del basso medioevo.

Anche se alcune fonti sono portate a dichiarare che nasca insieme al Cristianesimo stesso.

Certo è che se la storia lo ha oramai relegato solo nelle nicchie dei ricordi.

In alcune zone del pianeta (come l’Alabama) rappresenta ancora oggi il protagonista di cupe storie folkloristiche.

Mangia Peccati. Chi era?

Il Mangia Peccati – o Sin Eater, in Inglese – la maggior parte delle volte, era un uomo che veniva chiamato dalla famiglia del moribondo sul letto di morte per praticare questo rito.

Rito nel quale le pietanze offerte al Sin Eater rappresentavano i peccati commessi dal defunto.

Mangia Peccati

Il Mangia Peccati assumeva quelle pietanze e l’anima del defunto si alleggeriva, permettendo un trapasso sereno.

Un rito e una figura quella del Sin Eater che incarnano in modo chiaro e tangibile l’importanza per gli uomini, di affrancarsi l’anima dai peccati, restando altresì coscienti di gravare su quella di un altro.

Sicuramente non era un lavoro ambito da molti. 

Nella maggior parte dei casi, erano uomini poveri ai margini della società che – davvero per fame – intraprendevano questo mestiere.

Mangia Peccati. Se non era possibile la confessione o l’estrema unzione

Quando l’estrema unzione o l’ultima confessione non erano possibili, ci si rivolgeva al Sin Eater.

Sicuramente nelle zone rurali era più facile usufruire dei servigi di un Mangia Peccati, rispetto alle grandi città dove, invece, era più facile reperire un sacerdote per una “classica” estrema unzione o ultima confessione.

La maggior parte delle volte il Sin Eater – veniva contattato dalla famiglia del morente – e sotto un minimo compenso raggiungeva l’uomo in fin di vita al suo capezzale, per ascoltare le ultime confessioni.

In quel lasso di tempo veniva anche preparato il pasto frugale, che il Mangia Peccati ingeriva o sul letto del defunto o addirittura sul suo petto. 

Ascoltando e mangiando, permetteva all’anima del morente di lasciare le spoglie terrene, alleggerita dalle colpe commesse e dichiarate e di trovare pace in eterno.

Il defunto aveva l’anima redenta, ma il Mangia peccati allo stesso tempo appesantiva la sua, aggravandola di oscure e impenetrabili memorie.

Qualora fosse arrivato troppo tardi, ad accoglierlo sul letto ci sarebbe stato solo il pasto simbolico e il silenzio.

Nella maggior parte dei casi, il pasto era composto dal pane in quanto simbolicamente associato all’anima dei defunti.

Anche se al Sin Eater si poteva offrire anche del sale e un piatto di stufato o minestra.

Mangia Peccati. Un reietto con l’anima pesante

La confessione come il parco convivio erano fasi di un vero e proprio rituale, intervallato da preghiere sussurrate e arcaiche formule:

The ease and rest of the soul are gone” (La facilità e il riposo dell’anima se ne sono andati) Brand’s popular Antiquities of Great Britain

Un cerimoniale che ha i toni ancestrali, che si perdono nella notte dei tempi…

Intorno alla figura del Mangia Peccati, aleggia la costante comprensione di quanto sia stata dura ricoprire questo ruolo.

Solitamente era un uomo senza famiglia che per pochi penny (di solito non più di 4) e un tozzo di pagnotta, non esitava a venire a patti con i peccati degli altri, per poter avere lo stomaco pieno.

Era considerato un vero professionista, ma allo stesso tempo messo agli angoli dalla società del tempo. 

Un reietto con l’anima pesante e la solitudine come compagna.

Infatti il tempo e le superstizioni, avvicinarono la figura del Sin Eater alla stregoneria e al satanismo.

Un alone di mistero e maledizione aggravato anche dalla convinzione popolare che il Sin Eater fosse l’unico in grado d’impedire ai morti viventi di risorgere!!

Una figura storica e religiosa che è stata presente sino agli inizi del XX secolo.

Mangia Peccati. Richard Munslow l’ultimo

L’ultimo Mangia Peccati che la storia ci riporti è Richard Munslow (1838 – 1906) che onorò il suo compito nella Contea di Shropshire sino agli inizi del ‘900.

Il suo menù, contrariamente alla tradizione, prevedeva: torta alla ricotta, fondi di carciofi e trippa… senza mai dimenticare i sei pence previsti per la prestazione.

Al contrario di molti suoi colleghi e predecessori, ad avvicinare Munslow alla professione di Mangia Peccati, non fu l’indigenza o la fame, ma il lutto per la perdita di quattro suoi figli.

Di cui tre, nella stessa settimana.

Profondamente turbato da questa drammatica esperienza, scelse di diventare un Sin Eater per vivere questa professione, come forma di lutto.

Della figura enigmatica del Mangia Peccati restano poche concrete testimonianze.

Il silenzio e la solitudine che ne hanno rappresentato gli elementi più concreti, ci permettono di immaginarlo come un triste compagno che segue la Morte nelle sue peregrinazioni, tra un’anima e l’altra.

Capace ancora di accogliere il mistero degli ultimi istanti di vita dell’essere umano, tra sussurri e briciole di pane.

Fonti:

  • Blog. Necrologi: “Sin Eater: colui che mangia i peccati”
  • Altroevo: “Il Mangia Peccati, la storia e la leggenda del mangiatore di peccati”
  • The Weird Side: “Il Mangia Peccati e l’Accabador”
AMELIA SETTELE

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Edward mani di forbice. Dark and love by Tim Burton.

(Edward mani di forbice) Articolo scritto da Cecilia S.D. Rossi per Pillole di Cultura e Arte e Sentimenti

Ascolta “Arte e sentimenti. Puntata 1 – Edward mani di forbice di Tim Burton” su Spreaker.

Parlando di Tim Burton non si può assolutamente evitare di pensare a quell’atmosfera gotico fiabesca dei suoi film.

Film che sono rimasti nel cuore di tutti noi e, almeno a nostro avviso, da considerarsi indimenticabili. Partendo fin dal lungometraggio che ha dato il via anche al lungo e proficuo sodalizio del regista con l’attore Johnny Depp.

SOMMARIO

Tim Burton in Edward mani di forbice si avvale della collaborazione di due stelle (Johnny Deep e Winona Ryder) che sarebbero state poi destinate a brillare nel firmamento del cinema.

Due stelle supportate da un’icona storica della cinematografia horror come Vincent Price. Qui nella sua penultima apparizione cinematografica prima di morire.

Edward mani di forbice. Una fiaba natalizia

Il film di fatto è una fiaba. Una fiaba natalizia ma non solo, young adult ma non solo. Una favola dolcissima ma anche amara.

Una fiaba drammatica che vuole essere una denuncia sociale.

Miscela i cliché e gli stili della cinematografia anni Cinquanta, Sessanta e Ottanta del Novecento.

Edward mani di forbice

E narra una panoramica stereotipata sulla vita del tipico sobborgo americano oltre che della famiglia tipo.

I temi trattati, e il suo concetto profondo ovviamente, si avvicinano moltissimo il romanzo gotico classico inglese.

Con fortissimi richiami a classici come Frankenstein e alla fiaba classica Belle e la bestia.

Anch’essa testo che tocca la tematica della diversità e della tolleranza (o intolleranza se la si guarda dal punto di vista opposto).

Il film è stato acclamato dalla critica e considerato forse il miglior film di Burton. 

Anche se al botteghino ha dato risultati decisamente modesti se rapportati al costo di realizzazione.

Un film che affonda le sue radici nel passato. Infatti le origini di Edward mani di forbice risalgono addirittura all’infanzia del regista.

Edward mani di forbice. Le origini

Forse non tutti sanno che Tim Burton è stato un bimbo caratterialmente chiuso.

Soffriva del suo stesso isolamento e delle difficoltà di comunicare con le persone che lo circondavano.

Egli stesso ha dichiarato che intrattenere amicizie era per lui un vero problema.

Forse proprio a causa di questa solitudine.

Di quella sensazione di abbandono che spesso ha dichiarato di provare.

Edward mani di forbice

Forse per le emozioni di paura, pericolo e incorporeità (che lui stesso ha dichiarato essere ripetitive nella sua esistenza).

Forse per una commistione di tutti quegli elementi Tim Burton bambino disegnava.

Nei suoi disegni rifletteva i suoi sentimenti.

E proprio da alcuni schizzi buttati giù dal regista durante l’infanzia risalgono le origini di Edward mani di forbice.

Galeotti per cui furono i disegni di un bimbo che soffriva alla base di un capolavoro della cinematografia.

I disegni di Tim Burton stesso e l’influenza, durante la sua crescita, di letture come Frankenstein di Mary Shelley, Il Fantasma dell’Opera di Leroux, King Kong e altri classici rimasti pietre miliari nella letteratura fantastica di sempre.

Edward mani di forbice. L’importanza dei sodalizi professionali

Il fatto che Tim Burton sia un genio, un regista d’eccellenza e un creativo di enorme talento è fuori dubbio.

Che i suoi film raccolgano a piene mani un successo più che meritato è decisamente ovvio.

Ma una cosa altrettanto importante per il successo di una pellicola è sicuramente il consolidamento dei giusti sodalizi professionali.

Edward mani di forbice

E in merito a sodalizi professionali Tim Burton ha dato prova di essere un regista fedele.

A dimostrazione di ciò si può citare la ormai lunghissima collaborazione con Johnny Deep.

Un rapporto quello tra i due che ha oltrepassato i limiti professionali.

Tim Burton considera l’attore un po’ come il suo alter ego. 

Quasi questi fosse una sorta di incarnazione delle sue idee e della sua arte.

Senza escludere che Johnny Deep ha dimostrato di avere decisamente il physique du rôle, oltre che l’indiscusso talento, per interpretare questa arte.

Influenzata dal romanticismo, dall’amore per il fantastico e dalle atmosfere gotiche.

L’inizio del rapporto con Johnny Deep, considerato spesso l’attore feticcio del regista, risale proprio alle riprese di Edward mani di forbice nel 1990.

Tim Burton e Caroline Thompson

Ma un’altra collaborazione che è nata con la realizzazione di Edward mani di forbice è degna di nota.

Quella tra Tim Burton e Caroline Thompson che ha firmato la sceneggiatura di Edward mani di forbice.

I due sono stati presentati dalla William Morris Agency.

L’agenzia ha avuto la luminosa idea pensando che il regista e la Thompson avrebbero potuto lavorare insieme.

E non si erano sbagliati. Burton, in quell’occasione, ebbe modo di leggere una breve storia della Thompson intitolata Primogenito.

Storia horror dove un bambino abortito tornava in vita.

Una storia che Burton dichiarò essere perfettamente in linea con le atmosfere che lui stesso avrebbe voluto dare al film.

Burton si rese conto che Caroline Thompson era la professionista più adatta a firmare la sceneggiatura di Edward mani di forbice durante le riprese di Beetlejuice. Spiritello porcello del 1988.

Fu così che decise di pagarla di tasca propria e commissionarle il lavoro. Assicurandosi anche una collaborazione che non si sarebbe limitata a un solo lungometraggio.

Infatti a seguito di questo film ritroviamo la Thompson a firmare altre sceneggiature per Tim Burton.

Tra cui, tre anni più tardi, quella per un altro grande successo del regista, lo stop-motion Nightmare Before Christmas.

Caroline Thompson definì Tim Burton come una delle persone più articolate che avesse mai conosciuto ma incapace di mettere insieme una sola frase.

Edward mani di forbice. Una scenografia al sapore di amarcord

Tim Burton in prima battuta aveva pensato di realizzare il film come musical.

Aveva dichiarato che gli sembrava grande e operistico ma, alla fine, abbandonò l’idea.

In merito alla scenografia di Edward mani di forbice Burton dichiarò che essa rappresentava per lui un ricordo dell’infanzia.

Un richiamo alla periferia dove era cresciuto.

Un posto da lui stesso definito bizzarro. Per il film venne tentato di riprodurre l’aspetto strano ma senza un’eccessiva criticità.

Edward mani di forbice

Il film è stato girato in una comunità in Florida, dove il cast spese dodici settimane per le riprese.

Prima di filmare furono affittate diverse case del quartiere utilizzato.

Su disposizione dello scenografo Bo Welch, le case furono ritinteggiate in colori pastello per dare un’atmosfera banale e per essere in contrasto con l’aspetto dark di Edward.

Delle stesse case furono anche ridotte le dimensioni delle finestre per conferire un aspetto maggiormente paranoico al quartiere.

Nonostante le case erano abitate gli occupanti non opposero alcuna lamentela nel cambiare i colori esterni delle loro case.

Durante le riprese però gli abitanti delle case affittate furono costretti a dormire in albergo (di lusso ma sempre albergo).

La produzione infine lasciò la Florida per trasferirsi a Los Angeles in California e poter girare le scene realizzate nel palazzo.

Edward mani di forbice. La musica e il sodalizio con Danny Elfman

Il compositore Danny Elfman aveva collaborato con Tim Burton in alcune pellicole, tra cui Beetlejuice. Spiritello porcello e Batman, prima di essere ingaggiato dal regista per comporre la musica di Edward mani di forbice.

Film che fu il consolidamento della collaborazione tra i due.

Elfman ha sottolineato con la sua musica i temi che appaiono nel film. Un tema principale, che è quello della narrazione di una storia.

Un tema secondario o emozionale, legato alla figura di Kim nonna che racconta alla nipotina una favola permeata di nostalgia.

E un terzo tema che rappresenta Edward, che creava il cuore del personaggio.

Edward mani di forbice

Il pezzo rimasto nella memoria degli spettatori “Il ballo di ghiaccio” conclude questo ultimo tema ed è il più riconoscibile di tutto il film.

La musica di Elfman sottolinea non solo i passaggi visibili esteriormente del film (cosa accade nelle scene per intenderci) ma anche i passaggi interiori o emozionali.

Basti pensare alla scena in cui Edward taglia i capelli alle vicine di casa, dove Elfman ha intenzionalmente aggiunto un ritmo da tango zigano probabilmente proprio come richiamo alla sensualità che sfocia quasi nella lussuria che permea tutta la scena ed è in netta contrapposizione con la purezza e castità di Edward.

Nonostante avesse composto già musiche per il cinema fu proprio con Edward mani di forbice che Elfman si conquistò il titolo di compositore cinematografico.

Durante la produzione del film Elfman fu anche impegnato sentimentalmente con la sceneggiatrice Caroline Thompson.

E come ultima nota si deve ricordare che tre canzoni che appaiono alla fine del film sono interpretate da un’icona della musica come Tom Jones.

Edward mani di forbice. Pubblico, premi e riconoscimenti

Come già anticipato il film è stato acclamato dalla critica e considerato forse il miglior film di Burton.

Il ritorno economico però fu una vera delusione.

Uscito nelle sale degli States il 7 dicembre del 1990 guadagnò poco più di sei milioni di dollari nella settimana di esordio a fronte di una spesa iniziale di venti milioni di dollari.

Una delusione per la 20th Century Fox che contava su numeri decisamente maggiori.

Con il tempo a livello mondiale il film arrivò a superare ampiamente la spesa iniziale.

Edward mani di forbice

Ma, escludendo il box off, il film divenne il più alto guadagno per la 20th Century Fox per quell’anno ed ebbe un notevole riscontro economico poi dal noleggio del VHS lanciato l’anno successivo.

In fatto di premi e nomination poi, Edward mani di forbice, se ne accaparrò un cospicuo numero.

Partendo dalla nomination per il miglior trucco al Premio Oscar nel 1991, per passare al Golden Globe, il BAFTA, Saturn Awards, Grammy Awards, perfino un Premio Hugo andato a Caroline Thompson e Tim Burton per la miglior rappresentazione drammatica.

Insomma Edward mani di forbice ha collezionato nomination quasi per tutto, migliori costumi, trucco, effetti speciali, migliori attori protagonisti e non protagonisti, miglior composizione, miglior scenografia, miglior film fantasy e miglior film straniero.

Un chiaro e lampante apprezzamento anche della critica.

Edward mani di forbice. Il sequel a fumetti

Dal film è stato realizzato un sequel a fumetti dal titolo Edward Scissorhands.

Scritto da Kate Leth e disegnato da Drew Rausch, il sequel è uscito negli Stati Uniti nell’ottobre del 2014 ed è ambientato diversi anni dopo il racconto che la Kim anziana fa nel film.

Narra la storia di un Edward che viene a scoprire della morte di vecchiaia di Kim.

Con cuore dolorante per la perdita della ragazza di cui è stato innamorato e che non ha mai dimenticato smette di intagliare le sue statue di ghiaccio.

La conseguenza è che sulla cittadina smette di scendere la neve.

Una sera, in preda alla solitudine, Edward rilegge il vecchio libro dell’inventore che lui riteneva suo padre.

Dal libro apprende che, prima di lui, il vecchio inventore aveva realizzato un’altra creatura.

Con l’aspetto di un bambino dal viso di metallo, privo di occhi e dotato di artigli al posto delle mani.

Anch’essa rimasta incompleta.

Edward mani di forbice

Edward decide di risvegliare la creatura ma scopre che questa si comporta in modo molto ostile e non riesce a controllare un violento istinto che sfocia nell’uccidere i ratti che girano per il castello.

Infine la creatura scappa e si dirige verso la cittadina.

Edward sentendosi responsabile e temendo per l’incolumità degli abitanti decide di seguirlo per poterlo fermare.

Una volta ritornato nella cittadina fa la conoscenza dell’adolescente nipote di Kim che, fino a quel momento, lo aveva sempre creduto una fantasia della nonna creata per animare le fiabe che le raccontava da piccola.

Edward mani di forbice, omaggi, citazioni e qualche curiosità

Sculture

  • Le sculture realizzate da Edward nel film sono state inserite in un altro film sempre di Tim Burton, Alice in Wonderland, all’interno del giardino della Regina Rossa.
  • Inoltre alcune di queste sculture si possono ancora ammirare al ristorante Tavern on the Green di New York.

Attori

  • Diversi attori erano stati presi in considerazione per il ruolo di Edward, tra cui Tom Hanks, Tom Cruise, William Hurt, Robert Downey Jr. e perfino Michael Jackson aveva espresso il desiderio di interpretare il ruolo ma alla fine il ruolo andò a Johnny Deep anche se questi non dovette nemmeno sostenere un provino, a Burton e al produttore fu sufficiente vedere alcune fotografie dell’attore per capire che era il personaggio perfetto per la parte.
  • Johnny Deep per prepararsi al ruolo si è ispirato al classicissimo film del 1920 di Robert Wiene Il gabinetto del dottor Caligari.
  • Nella versione originale del film Johnny Deep pronuncia in tutto solamente 169 parole.
  • L’aspetto e i capelli di Edward sono ispirati a Robert Smith, frontman e leader del gruppo musicale The Cure.
  • All’attore furono consegnate delle forbici con notevole anticipo prima dell’inizio delle riprese in modo che potesse rendersi effettivamente conto di cosa significasse quella condizione. A inizio riprese, infatti, Deep si presentò sul set con diverse cicatrici sul viso.
  • Per truccare e vestire Johnny Deep era necessario impiegare un’ora e 45 minuti ogni volta.
  • Durante le riprese Deep vomitò due volte. La prima durante la scena della grigliata di benvenuto quando le vicine di casa dovevano imboccarlo, scena che fu ripetuta per ben 10 volte. La seconda volta fu durante la scena in cui Edward scappa dalla polizia durante la vigilia di Natale, la scena è stata ripetuta per 6 volte ma l’ultima volta Deep non tornò indietro per ovvi motivi.

Love story

  • Ai tempi delle riprese Johnny Deep (Edward) e Winona Ryder (Kim) avevano già iniziato una relazione sentimentale.
  • I due attori sono stati legati anche nella vita privata per moltissimo tempo, un amore che ha lasciato letteralmente il segno in Johnny Deep, il quale, ai tempi, aveva perfino tatuato il nome della collega sulla pelle (Winona forever, trasformato poi in Wino forever dopo la rottura della storia).

A proposito di musica

  • In un fotogramma si vede un bambino correre su un prato verde, quel bambino era Nick Carter, futuro cantante dei Backstreet Boys.
  • E sempre in riferimento al mondo musicale il cantante Francesco Baccini nell’album Baccini and Best Friends il cantante duetta con Angelo Branduardi in una canzone, che fa chiaramente omaggio al film, dal titolo Mani di forbice.

Edward mani di forbice. La trama

Infine, per chi non la conoscesse ancora, è doveroso spendere due parole sulla trama di questo capolavoro.

Peggy Boggs, rappresentante di cosmetici in cerca di clienti, si reca nel sinistro castello in stile gotico situato ai margini del centro residenziale colorato e vivace dove vive.

Qui trova un giovane ragazzo, pallido, spaurito e dall’aspetto sinistro dotato di cesoie al posto delle mani.

La donna non rimane intimidita, al contrario impietosita e si preoccupa del giovane, che dice di chiamarsi Edward, rimasto solo dopo la morte improvvisa del suo inventore che lui chiama padre.

L’uomo ormai molto anziano è morto prima di riuscire a sostituire le cesoie con delle mani che aveva appositamente costruito.

Peggy lo porta nella sua casa, per farlo vivere con lei e la sua famiglia, il marito Bill, il figlio adolescente Kevin, e la giovane Kim.

Un ospite strano, nella piccola comunità ordinaria, desta subito curiosità e attrae morbosamente per la sua diversità tanto che in breve tempo Edward diventa un fenomeno da baraccone nonostante la sua dolcezza e la sua sensibilità si trasformino presto in doti artistiche che gli permettono di realizzare vere e proprie opere d’arte anche da un semplice cespuglio.

Ma quanto può essere accettato dall’ottusa mentalità di provincia un ragazzo tanto diverso anche se speciale?

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Alga Marimo e la sua leggenda. Discover the secrets in the world

(Marimo) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura

Ascolta “Il crogiulo. Puntata 1 – L'Alga Marimo e la sua leggenda” su Spreaker.

La storia che sto per raccontarvi affonda – letteralmente – le sue radici in un lago. Protagonista di questa leggenda è una simpatica alga a forma sferica dall’intenso colore verde scuro, comunemente conosciuta col nome di Marimo.

SOMMARIO

Marimo in lingua giapponese significa biglia (Mari: biglia, Mo: pianta acquatica), appellativo datole intorno al 1820 dal botanico giapponese Tetsuya Kawakami.

Scientificamente appartiene alla famiglia delle Cladophoraceae, il cui nome per inciso è: Cladophora Aegagropila.

Marimo. Alga palla

L’alga palla oltre al suo intenso colore, è formata da sottilissimi e morbidi fusti che assorbono nitrati e nitriti presenti nell’acqua, convertendoli in ossigeno.

Proprio durante il processo di fotosintesi clorofilliana- se osservata alla luce – si possono notare piccole sfere di ossigeno attaccate ai fusti, che vengono emesse dall’alga.

Durante la fotosintesi l’alga palla si lascia fluttuare nell’acqua, come se danzasse. Questo ondeggiare ipnotico prende il nome di “Danza del Marimo”, particolare che la rende ancora più affascinante. 

Ha una crescita lentissima che non supera i 5mm l’anno e la grandezza dei suoi esemplari di solito si aggira tra i 3 e i 10 cm.

È una pianta acquatica davvero longeva, può arrivare a vivere oltre 200 anni!

Marimo. Tesoro Naturale Giapponese

Solo tre laghi al mondo, hanno l’habitat perfetto per ospitare le colonie di questa alga e si trovano in: Giappone, Estonia e Islanda. Vive sui fondali temendo la luce diretta del sole e non paventa le temperature fredde.

Marimo

Fu scoperta intorno alla prima metà del 1800.

Proprio dal botanico che le diede anche il nome – Tetsuya Kawakami – sulle sponde del lago Akan.

Il suo eccezionale rinvenimento, divenne ben presto d’interesse nazionale.

Nel 1921 il Governo Nipponico dichiarò il Marimo Tesoro Naturale Giapponese” e specie protetta.

Inaugurando anche un museo dedicato all’alga palla e alla sua storia.

Troppe persone spinte dalla curiosità e dalla leggenda ad esso legata, si riversarono sulle rive del lago per cercare di appropriarsi (anche in modo non legale) di un esemplare di questa alga.

Procurando di fatto, un grave danno all’ecosistema delle colonie, che vennero colpite duramente anche dalla costruzione di una centrale idroelettrica poco distante dallo specchio d’acqua, sempre in quegli anni dei primi del 900.

Intorno alla metà del secolo scorso invece, proprio gli abitanti del luogo compresero il grave pericolo in cui riversavano le colonie si attivarono per proteggerle e salvaguardarle il più possibile.

Venne così istituto anche il Festival del Marimo.

Famoso e celebrato, ancora oggi (pandemia permettendo).

Marimo. Simbolo di buon auspicio

Da sempre il Marimo oltre alla sua importanza nell’ecosistema dei luoghi dove si sviluppa, è simbolo di buon auspicio e di amore eterno.

Viene donato solo a chi si vuole bene – infatti vista la sua secolarità, le famiglie lo tramandato di generazione in generazione – come se fosse un talismano in grado di favorire la longevità e l’abbondanza.

È considerato un potente portafortuna e sembrerebbe riuscire a esaudire i desideri di chi lo dona e di chi lo riceve.

Marimo

Sopra ogni cosa, a quest’alga è legata una leggenda giapponese bellissima e struggente che voglio raccontarvi e inizia, così:

C’erano una volta due giovani perdutamente innamorati. Le famiglie di entrambi però, osteggiavano il loro rapporto. Un giorno la coppia decise di fuggire lontano, ritrovandosi sulle sponde del Lago Akan. Sulle rive del lago i due ragazzi si giurarono amore eterno e i loro cuori si trasformarono in due Marimo, così da poter vivere uno accanto all’altra per l’eternità…”

La leggenda dei due innamorati ha permesso a questa pianta di diventare il simbolo di chi si ama. 

Il Marimo infatti viene donato solo a chi si vuole veramente bene, perché emblema di un rapporto profondo e duraturo.

marimo

Marimo. Regole per il mantenimeno

Adottare o ricevere in dono un Marimo, comporta il rispetto di semplici e basilari regole:

  • Mantenerlo sempre in un recipiente rigorosamente di vetro e immerso nell’acqua
  • Non esporlo alla luce diretta del sole e ospitarlo in un luogo fresco
  • Cambiare l’acqua ogni due settimane circa, aggiungendo di tanto in tanto dell’acqua frizzante per agevolarne “la danza” e la fotosintesi clorofilliana.
  • Pulire il contenitore con attenzione per rimuovere (eventuali) residui di calcare
  • Rigirare saltuariamente e con delicatezza il contenitore come a simulare il ritmo delle onde.

Le semplici e basilari regole per una buona manutenzione del proprio Marimo, hanno facilitato l’arrivo dell’alga palla in molte case (compresa la mia!).

Certo è che questa pianta acquatica è entrata nell’immaginario collettivo per molteplici fattori, dalla leggenda a cui è legato, alla dolce e ammaliante danza che dona splendore al suo “abbraccio” con l’acqua e al perenne ricordo di un amore immortale.

Offrendo un tocco di originalità che cattura e incanta sia chi lo dona e chi lo riceve…


Fonti:
  • Casa Natura: L’alga degli innamorati
  • Inspirando: Marimo, l’alga palla che arriva dal Giappone
  • Fatti strani: La soffice alga marino si sviluppa…
AMELIA SETTELE

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Famiglie allargate, news from Rinascimento

(famiglie allargate) Articolo scritto da Mos Maiorum per Pillole di Cultura

Molti credono che il concetto di famiglie allargate sia una prerogativa di questi nostri tempi moderni.

La storia ci insegna che in realtà è un concetto assai più antico e radicato di quanto si pensi.

Un esempio da manuale di famiglie allargate che giunge direttamente dalla Milano rinascimentale

È noto e risaputo che durante tutto il Medioevo e anche nel Rinascimento i nobile avessero figli illegittimi.

Figli che a volte legittimavano in seguito.

Soprattutto quando avevano bisogno di un erede perché magari non ce n’era uno legittimo pronto a succedere.

In quel caso i cosiddetti “bastardi” potevano far parte della famiglia a pieno titolo.

In altri casi non era solo un discorso di erede maschio a spingere alla legittimazione dei figli nati fuori dal matrimonio.

Le famiglie allargate come quella di Galezza Maria Sforza

Il caso di Galeazzo Maria Sforza è un tantino singolare anche per il tempo giacché tutti sapevo alla corte di Milano che avesse un’amante fissa, Lucrezia Landriani.

Amante dalla quale aveva avuto quattro figli (tra i quali Caterina Sforza, la Tygre di Forlì), amante che lo stesso Galeazzo Maria aveva fatto sposare a un suo fedelissimo, Gian Piero Landriani.

Il tutto per dare un cognome e un futuro a quei figli che non aveva voluto riconoscere.

Dopo il matrimonio di Galeazzo Maria con Bona di Savoia non solo riconobbe i quattro figli avuti con la Landriani ma anche la stessa Bona di Savoia li adottò e li trattò come figli suoi.

Compresa Caterina che diverrà poi nipote acquisita di Papa Sisto IV.

La modernità del Medioevo

Un esempio di come a volte i pregiudizi siano fuorvianti e quando si senti dire che il Medioevo era un periodo oscuro e repressivo.

famiglie allargate

Forse l’esempio della corte milanese degli Sforza potrebbe far riflettere su come ancora oggi vi siano pregiudizi sulle famiglie allargate.

Pregiudizi che di certo non avevano ragion d’essere in quel XV secolo.

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