25 novembre. Diciamo STOP alla violenza sulle donne

25 novembre. Diciamo STOP alla violenza sulle donne

(25 novembre) a cura di Ileana Aprea e Cecilia S.D. Rossi per Fatti e Società

25 novembre. La piaga del femminicidio sempre più viva

25 novembre. Ascolta la trasmissione completa

Ascolta “SPECIALE 25 novembre. Diciamo STOP alla violenza sulle donne” su Spreaker.

25 novembre. NUMERI E INDIRIZZI UTILI

Rete Nazionale Antiviolenza a sostegno delle donne vittime di violenza

  • Numero verde 1522
  • Carabinieri – 112
  • Polizia di Stato – 113
  • Emergenza sanitaria – 118
25 novembre

25 novembre. Al messaggio lanciato con questa trasmissione si uniscono tutti i collaboratori delle nostre redazioni: Stefano F., Amelia Settele, Cecilia S.D. Rossi, Ileana Aprea, E.T.A. Egeskov e tutti i tecnici che ringraziamo per il preziosissimo aiuto che forniscono per la realizzazione delle trasmissioni radiofoniche e televisive.


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radio C.S.D.R., 25 novembre

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25 novembre
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25 novembre

Messico: acqua potabile razionata, ma c’è sempre la Coca Cola!

(Messico) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e Storie

La città di San Cristobal de las Casas fu fondata nel 1528 e nel periodo coloniale spagnolo divenne capitale del Chiapas. Il Chiapas è uno dei 21 Stati che costituiscono la Repubblica Messicana e attualmente è una delle zone più povere della Nazione. 

A San Cristobal de las Casas in Messico l’acqua potabile è razionata, ma c’è sempre la Coca Cola!

SOMMARIO

Una realtà preannunciata e combattuta dal movimento EZLN

Messico. Una realtà preannunciata e combattuta dal movimento EZLN

San Cristobal spesso viene citato perché luogo dove il 1° Gennaio 1994 durante l’occupazione dei sette comuni, il Sub Comandantemarcos – rivoluzionario, ex portavoce dell’esercito Zapatista di liberazione nazionale (EZLN) movimento armato clandestino di stampo anarchico, indigenista e anticapitalista – lesse la prima dichiarazione della Selva Lacandona, attraverso la quale proclamava i diritti del proprio movimento e dichiarava guerra al Governo Messicano colpevole tra l’altro, di aver firmato il trattato TLC (Tractado de Libre Comercio – Trattato di libero commercio) con il Canada e gli Stati Uniti d’America.

Purtroppo oggi San Cristobal de las Casas risalta agli onori della cronaca per avvenimenti che la coinvolgono e che sotto alcuni aspetti rispecchiano una realtà preannunciata e combattuta dal movimento EZLN, il quale lottava con forza e vigore per la propria libertà e contro ogni forma di colonialismo e sfruttamento.

Messico

Noi siamo il prodotto di 500 anni di lotte: prima contro la schiavitù, poi, durante la Guerra d’Indipendenza contro la Spagna capeggiata dai ribelli, poi per evitare di essere assorbiti dall’espansionismo Nord Americano; poi ancora per promulgare la nostra costituzione ed espellere l’Impero Francese dalla nostra terra; poi la dittatura di Porfirio Diaz ci negò la giusta applicazione delle Leggi di Riforma, il popolo si ribellò e emersero i suoi leader come Villa e Zapata, povera gente proprio come noi, ai quali, come noi, è stata negata la più elementare preparazione; così possono usarci come carne da cannone e saccheggiare le risorse della nostra patria e non importa loro che stiamo morendo di fame e di malattie curabili, e non importa loro che non abbiamo nulla, assolutamente nulla, neppure un tetto degno, ne’ terra, ne’ lavoro, ne’ assistenza sanitaria, ne’ cibo, ne’ istruzione, che neppure abbiamo diritto di eleggere liberamente e democraticamente i nostri rappresentanti politici, ne’ vi è indipendenza dallo straniero, ne’ vi è pace e giustizia per noi e per i nostri figli. Ma oggi noi diciamo BASTA!”

Comando Generale dell’EZNL – Selva Lacandona, Dicembre 1993

Quello che di sicuro sta accadendo agli abitanti della cittadina è preoccupante e indica una forma di “colonialismo” silente e astuta, rendendo i motti del movimento sopracitato solo echi lontani e indistinti perché, nella cittadina esiste e persiste un grande problema, l’acqua potabile – un bene primigenio ed essenziale per la vita sulla terra. 

Della sua indispensabile importanza ne avevo già scritto nel mio articolo: Flint Town e i suoi eterni veleni”, ma purtroppo m’imbatto sempre più spesso in storie in cui questo elemento primordiale ed essenziale per tutti, rischia di venire meno.

Proprio come in questa vicenda che non smette di stupire.

Messico

A seguito di una rapida urbanizzazione, di strutture idriche obsolete e di pericolosi cambiamenti climatici che ormai sono fautori di disastri immediati e a lungo termine, la cittadina di montagna ha visto diminuire vertiginosamente le scorte idriche utili alla vita quotidiana.

L’acqua potabile che confluisce nelle tubature della rete idrica cittadina, dev’essere sistematicamente razionata.

I pozzi non coprono il fabbisogno della popolazione, decretando una crisi che sembra possedere tutti i requisiti per avere un apogeo irreversibile.

Le condizioni che detta questa crisi idrica implicano e coinvolgono aspetti della vita sociale, politica e sanitaria dell’intera comunità di San Cristobal de las Casas tali da non poter essere sottovalutati.

L’acqua viene razionata anche perché gli impianti di depurazione non hanno le caratteristiche utili e conformi per filtrare l’approvvigionamento adeguato alle necessità del popolo.

La situazione è avversa a tal punto che gli abitanti di San Cristobal preferiscono attendere l’arrivo dei camion cisterna per avere un minimo di scorta nel proprio domicilio, mentre per dissetarsi acquistano bottiglie su bottiglie di… Coca Cola!

Messico. Ma non sarebbe più semplice acquistare – ma soprattutto bere – acqua confezionata, invece della Coca Cola?

Ebbene, NO! Perché l’acqua imbottigliata ha un costo maggiore rispetto alla famosa bevanda simbolo del capitalismo mondiale.

Messico

Le ripercussioni che agevolano (almeno all’apparenza) il budget familiare, si ripercuotono però su quello della salute.

Tant’è che le ricerche effettuate sul reale consumo di Coca Cola che dilaga tra gli abitanti di San Cristobal, hanno evidenziato un preoccupante aumento delle malattie metaboliche.

Soprattutto diabete e obesità.

Inoltre è estremamente inquietante il coinvolgimento dei bambini che sin dalla più tenera età compromettono le proprie condizioni fisiche sorseggiando Coca Cola, anziché limpidi e salutari bicchieri d’acqua.

Le stime sull’abuso della bevanda lasciano sgomenti.

La gran parte della popolazione di San Cristobal ingerisce un quantitativo giornaliero pari almeno a 2 lt di Coca Cola al giorno. 

Da uno studio effettuato sulla popolazione si è accertato che tra il 2013 e il 2016 l’aumento di casi di diabete è stato pari al 30%.

La maggior parte delle famiglie hanno al loro interno almeno un consanguineo affetto da questa patologia. Il diabete è la seconda causa di morte nel centro abitato nella zona meridionale del Messico.

È lecito e logico pensare subito: ma se c’è una crisi idrica tale da dover razionare la fornitura d’acqua alla popolazione, da dove arriva l’acqua utilizzata per preparare la Coke?

Messico. La risposta si racchiude in un’unica parola: Femsa.

La FEMSA – Fomento Económico Mexicano, S.A.B. de C.V. – è una multinazionale messicana fondata nel 1890 da cinque imprenditori (Isaac Garza, José Calderón Penilla, José A. Muguerza, Francisco Sada Gómez e Joseph M. Schnaider) che diedero inizio a quest’avventura, aprendo il birrificio “Cuauhtémoc Ice and Beer Factory”, a Monterrey, NL, Messico. 

Da quel momento in poi la FEMSA non si è più fermata. È diventata la multinazionale messicana che su scala mondiale vanta impegni nel settore della ristorazione e delle bevande.

È la seconda maggior azionista della Heinken International ed è la più grande azienda imbottigliatrice di Coca Cola al mondo.

Ora cari lettori, dopo aver compreso e chiarito in grandi linee cos’è l’azienda FEMSA, torniamo a dare il giusto spazio al vero protagonista di questa storia: il popolo assetato.

Un’intera comunità che – anche attraverso la divulgazione di pubblicità ingannevoli – continua a bere Coca Cola come se fosse acqua; mentre l’acqua continua a essere razionata e mal distribuita.

Messico

Ma se l’acqua scarseggia, come riesce la FEMSA ad imbottigliare galloni e galloni di Coca Cola da far arrivare in quantità decisamente importanti a San Cristobal de las Casas, risparmiando a tal punto da far diventare più economico una confezione di Coca Cola, rispetto a una d’acqua?

Semplice, l’impianto locale della Coca Cola – sempre di proprietà della FEMSA – ha autorizzazioni utili per accedere alle riserve d’acqua della zona da poter utilizzare per essere depurate, addolcite e alterate fino a trasformarsi nella bevanda dal leggendario marchio rosso e bianco.

Messico, l’acqua alla multinazionale ma non ai cittadini!

La multinazionale può e ha accesso all’acqua, arrivando a poter utilizzare circa 300.000 litri al giorno da fonti idriche locali. La comunità di San Cristobal no.

I residenti del paesino situato tra le Montagne della Sierra Madre contestano, si lamentano anche e soprattutto quando si parla della salute sempre più compromessa della loro comunità. La FEMSA attraverso i suoi rappresentanti legali nega ogni responsabilità.

Imputabilità che rigetta attraverso dichiarazioni come questa, pubblicate dal New York Times, attribuite a uno dei dirigenti della FEMSA: “ha respinto le critiche che le bevande della compagnia abbiano un impatto negativo sulla salute pubblica. I messicani, ha detto, possono avere una propensione genetica verso il diabete“.

È imperativo che non ometta quanto sia ormai diffuso l’utilizzo delle bevande gassate e zuccherate come la Coca Cola (chiamate refrescos) su tutto il territorio Nazionale Messicano.

Messico, solo la punta dell’iceberg

Sotto certi aspetti, la storia di San Cristobal de Las Casas è solo la punta dell’iceberg perché negli anni il Messico ha scalato in modo celere la triste classifica dei Paesi consumatori di Coca Cola.

È secondo solo agli Stati Uniti d’America.

Resta il fatto che mentre gli abitanti di San Cristobal continuano ad attendere che l’acqua torni a poter essere utilizzata in modo concreto e giusto, la FEMSA continua a imbottigliare e a distribuire la famosa bevanda – frutto di una ricetta ancora oggi segreta – in quantità anche superiori alle reali necessità del luogo, mixando al sapore dolciastro e frizzantino famoso in tutto il mondo, l’amaro retrogusto di un subdolo capitalismo.

Fonti:

  • Ciboserio: “Messico: intera città beve Coca Cola, perché manca l’acqua”
  • Ytali: ”Chiapas, senz’acqua ma con la Coca Cola”
  • L’Indro: “Il governo Messicano ha sete di Coca Cola”
  • Femsa.com
  • SBS News: This small town in Mexico is addicted to Coca-Cola. It also grapples with a deadly disease.
  • Voices: San Cristobal de las Casas, the Mexican town that drank more coke than water
AMELIA SETTELE

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Caregiver as a new Hero. L’anima allo specchio on radio.

(Caregiver) a cura di Ileana Aprea e Cecilia S.D. Rossi per Fatti e Società

In questa prima puntata della rubrica radiofonica L’anima allo specchio la dottoressa Ileana Aprea e Cecilia Simona Domenica Rossi affrontano la tematica del caregiving, una condizione molto diffusa in Italia e destinata ad aumentare nel corso degli prossimi anni.

Caregiver, chi è e cosa comporta questa scelta di vita

Ma chi è esattamente un caregiver? e cosa comporta il carico fisico ed emotivo di tale condizione?
Le due conduttrici analizzando i dati rilevati nel nostro Paese e cercano di approfondire la condizione del caregiver da un punto di vista umano e psicologico.

Caregiver. Ascolta la trasmissione completa

Puntata 1. L’anima allo specchio. Parliamo di Caregiving.

Caregiver. Indirizzi Utili

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Alga Marimo e la sua leggenda. Discover the secrets in the world

(Marimo) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura

Ascolta “Il crogiulo. Puntata 1 – L'Alga Marimo e la sua leggenda” su Spreaker.

La storia che sto per raccontarvi affonda – letteralmente – le sue radici in un lago. Protagonista di questa leggenda è una simpatica alga a forma sferica dall’intenso colore verde scuro, comunemente conosciuta col nome di Marimo.

SOMMARIO

Marimo in lingua giapponese significa biglia (Mari: biglia, Mo: pianta acquatica), appellativo datole intorno al 1820 dal botanico giapponese Tetsuya Kawakami.

Scientificamente appartiene alla famiglia delle Cladophoraceae, il cui nome per inciso è: Cladophora Aegagropila.

Marimo. Alga palla

L’alga palla oltre al suo intenso colore, è formata da sottilissimi e morbidi fusti che assorbono nitrati e nitriti presenti nell’acqua, convertendoli in ossigeno.

Proprio durante il processo di fotosintesi clorofilliana- se osservata alla luce – si possono notare piccole sfere di ossigeno attaccate ai fusti, che vengono emesse dall’alga.

Durante la fotosintesi l’alga palla si lascia fluttuare nell’acqua, come se danzasse. Questo ondeggiare ipnotico prende il nome di “Danza del Marimo”, particolare che la rende ancora più affascinante. 

Ha una crescita lentissima che non supera i 5mm l’anno e la grandezza dei suoi esemplari di solito si aggira tra i 3 e i 10 cm.

È una pianta acquatica davvero longeva, può arrivare a vivere oltre 200 anni!

Marimo. Tesoro Naturale Giapponese

Solo tre laghi al mondo, hanno l’habitat perfetto per ospitare le colonie di questa alga e si trovano in: Giappone, Estonia e Islanda. Vive sui fondali temendo la luce diretta del sole e non paventa le temperature fredde.

Marimo

Fu scoperta intorno alla prima metà del 1800.

Proprio dal botanico che le diede anche il nome – Tetsuya Kawakami – sulle sponde del lago Akan.

Il suo eccezionale rinvenimento, divenne ben presto d’interesse nazionale.

Nel 1921 il Governo Nipponico dichiarò il Marimo Tesoro Naturale Giapponese” e specie protetta.

Inaugurando anche un museo dedicato all’alga palla e alla sua storia.

Troppe persone spinte dalla curiosità e dalla leggenda ad esso legata, si riversarono sulle rive del lago per cercare di appropriarsi (anche in modo non legale) di un esemplare di questa alga.

Procurando di fatto, un grave danno all’ecosistema delle colonie, che vennero colpite duramente anche dalla costruzione di una centrale idroelettrica poco distante dallo specchio d’acqua, sempre in quegli anni dei primi del 900.

Intorno alla metà del secolo scorso invece, proprio gli abitanti del luogo compresero il grave pericolo in cui riversavano le colonie si attivarono per proteggerle e salvaguardarle il più possibile.

Venne così istituto anche il Festival del Marimo.

Famoso e celebrato, ancora oggi (pandemia permettendo).

Marimo. Simbolo di buon auspicio

Da sempre il Marimo oltre alla sua importanza nell’ecosistema dei luoghi dove si sviluppa, è simbolo di buon auspicio e di amore eterno.

Viene donato solo a chi si vuole bene – infatti vista la sua secolarità, le famiglie lo tramandato di generazione in generazione – come se fosse un talismano in grado di favorire la longevità e l’abbondanza.

È considerato un potente portafortuna e sembrerebbe riuscire a esaudire i desideri di chi lo dona e di chi lo riceve.

Marimo

Sopra ogni cosa, a quest’alga è legata una leggenda giapponese bellissima e struggente che voglio raccontarvi e inizia, così:

C’erano una volta due giovani perdutamente innamorati. Le famiglie di entrambi però, osteggiavano il loro rapporto. Un giorno la coppia decise di fuggire lontano, ritrovandosi sulle sponde del Lago Akan. Sulle rive del lago i due ragazzi si giurarono amore eterno e i loro cuori si trasformarono in due Marimo, così da poter vivere uno accanto all’altra per l’eternità…”

La leggenda dei due innamorati ha permesso a questa pianta di diventare il simbolo di chi si ama. 

Il Marimo infatti viene donato solo a chi si vuole veramente bene, perché emblema di un rapporto profondo e duraturo.

marimo

Marimo. Regole per il mantenimeno

Adottare o ricevere in dono un Marimo, comporta il rispetto di semplici e basilari regole:

  • Mantenerlo sempre in un recipiente rigorosamente di vetro e immerso nell’acqua
  • Non esporlo alla luce diretta del sole e ospitarlo in un luogo fresco
  • Cambiare l’acqua ogni due settimane circa, aggiungendo di tanto in tanto dell’acqua frizzante per agevolarne “la danza” e la fotosintesi clorofilliana.
  • Pulire il contenitore con attenzione per rimuovere (eventuali) residui di calcare
  • Rigirare saltuariamente e con delicatezza il contenitore come a simulare il ritmo delle onde.

Le semplici e basilari regole per una buona manutenzione del proprio Marimo, hanno facilitato l’arrivo dell’alga palla in molte case (compresa la mia!).

Certo è che questa pianta acquatica è entrata nell’immaginario collettivo per molteplici fattori, dalla leggenda a cui è legato, alla dolce e ammaliante danza che dona splendore al suo “abbraccio” con l’acqua e al perenne ricordo di un amore immortale.

Offrendo un tocco di originalità che cattura e incanta sia chi lo dona e chi lo riceve…


Fonti:
  • Casa Natura: L’alga degli innamorati
  • Inspirando: Marimo, l’alga palla che arriva dal Giappone
  • Fatti strani: La soffice alga marino si sviluppa…
AMELIA SETTELE

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Settima Arte. Trasforma la tua storia in un film

(Settima Arte) Articolo scritto da Cecilia S.D. Rossi per Pillole di Cultura

Settima Arte. Hai mai pensato che la storia che hai scritto possa trasformarsi in un film? sicuramente sì, chi non ha mai desiderato vedere trasposto il proprio libro sul grande schermo?

Un sogno condiviso che da oggi potrebbe diventare anche una realtà con “Una Storia per il Cinema”, il primo concorso letterario che trasforma la tua storia in un film.

Settima Arte. “Una Storia per il Cinema” un concorso per realizzare un sogno

È partita il 1 novembre la quinta edizione di “Una Storia per il Cinema”, il primo concorso letterario che trasforma la tua storia in un film. Un’opportunità unica per gli autori emergenti che sognano di vedere le proprie parole proiettate sul grande schermo. Si tratta di un’iniziativa promossa da CineHeart, un premio autonomo e indipendente che accoglie sia opere edite che inedite, sceneggiature, soggetti cinematografici e racconti originali in lingua italiana.

Settima Arte. Cosa ci distingue dagli altri concorsi?

Una caratteristica distintiva di questo premio è la sua dedizione a dare visibilità ai finalisti. Le copertine, sinossi, interviste, link per l’acquisto e recensioni delle opere selezionate saranno pubblicate, offrendo una vetrina preziosa per gli autori.

settima arte

Settima Arte. Come si partecipa

Le iscrizioni per la quinta edizione resteranno aperte dal 1 novembre 2023 al 29 febbraio 2024. Tuttavia, il direttivo dell’associazione si riserva il diritto di prorogare la data di chiusura, con adeguata comunicazione sul sito e sui social del concorso.

I finalisti verranno annunciati entro la fine di maggio 2024, mentre i vincitori saranno svelati entro giugno 2024. Maggiori dettagli sulla premiazione saranno disponibili online.

Per partecipare a “Una Storia per il Cinema”, è necessario pagare una quota di iscrizione di €80,00 per la prima opera presentata. Questo importo include anche l’iscrizione all’associazione CineHeart per un anno (del valore di €5). Per ogni ulteriore opera presentata, la quota di partecipazione sarà di €75,00.

Settima Arte. I premi in palio

settima arte

I premi offerti da “Una Storia per il Cinema” sono davvero affascinanti e possono trasformare il destino dei partecipanti:

1. Primo Premio: La produzione di un film o di una serie basata sulla storia vincitrice. Questa è l’opportunità di vedere la propria narrativa prendere vita sul grande schermo.

2. Secondo Premio: La realizzazione di un audiolibro della storia vincitrice. L’audiolibro è una forma narrativa sempre più popolare e accessibile a un vasto pubblico.

3. Terzo Premio: La partecipazione a un corso professionale di sceneggiatura. Un’opportunità di crescita e apprendimento per gli aspiranti sceneggiatori.

Inoltre, l’organizzazione del concorso si riserva la possibilità di stabilire ex aequo e di istituire ulteriori premi, rendendo il concorso ancora più interessante per i partecipanti.

“Una Storia per il Cinema” rappresenta un’opportunità unica per gli autori di veder realizzati i loro sogni cinematografici. Con una giuria competente e premi che trasformano le storie in film, audiolibri e occasioni di apprendimento, questo concorso letterario è un trampolino di lancio per autori aspiranti e talentuosi. Unisciti al concorso, trasforma le tue parole in immagini e inizia il tuo viaggio verso il grande schermo.

settima arte

E non è finita qui! gli autori delle prime 100 opere iscritte potranno partecipare gratuitamente a 2 lezioni del corso di sceneggiatura PAROLE IN IMMAGINI condotto da Valentina Innocenti, vincitrice di 3 David Giovani, per scoprire le fondamenta della “settima arte”.

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Dia de Los Muertos. La festa Messicana che celebra la vita

(Dia de Los Muertos) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 1 – Il Dia de Los Muertos” su Spreaker.

Il Dia de Los Muertos – il Giorno dei Morti – è la festa Messicana che per eccellenza è conosciuta e riconosciuta in tutto il mondo, come una tra le celebrazioni più affascinanti e sentite che accompagnano i giorni a cavallo tra la fine del mese di ottobre e i primi giorni di novembre.

SOMMARIO

Periodo destinato al culto e al ricordo dei defunti, in gran parte del mondo. Il Dia de Los Muertos è la notte delle Anime, le quali attraverso un antico rituale tornano dal mondo dei morti per far visita ai propri cari.

Le famiglie infatti si riuniscono e i cimiteri, le case si adornano con candele, cibo e allegria. Si festeggia la morte che è sacra come la vita.

Ma ora andiamo a conoscere nel dettaglio questa festa millenaria e magnetica, caro lettore, e partiamo subito.

Dia de Los Muertos. È come la festa di Halloween?

Mi preme subito fugare questo dubbio che spesso può sopraggiungere visto il tema che accomuna le due celebrazioni.

A tal proposito è opportuno evidenziare che, a differenza delle atmosfere gotiche e cupe di Halloween ricorrenza tipicamente Americana – anche se ormai la globalizzazione l’ha resa comune a molte altre aeree del mondo lontane dagli Stati Uniti per storia e cultura, divenendo di fatto quasi un fenomeno globale – o della Festa dei Morti tipica della religione Cristiana essenzialmente più spirituale e riservata, il Dia de Los Muertos rappresenta una vera e propria festa che onora la periodicità perfetta e ineluttabile tra due elementi come: l’inesorabile morte e la forza tangibile della vita.

Un rito che si concretizza con del buon cibo, altari adorni di fiori, ceri e tanta musica popolare.

Durante i giorni del Dia de Los Muertos non si celebra la morte nei suoi toni oscuri e macabri, ma la si avvicina ancora di più alla vita stessa; entrambe infatti sono facce della stessa medaglia che contraddistingue l’esistenza di tutti gli esseri umani.

Nelle celebrazioni del Dia de los Muertos, chi festeggia cerca concretamente un modo per permettere alle anime ospiti nel “mondo dei morti” di tornare tra i vivi, almeno per una notte l’anno, per ritrovarsi di nuovo insieme.

Dia de los Muertos. Cosa rappresenta davvero per i Messicani?

Il Dia de Los Muertos nell’America Latina, ma soprattutto in Messico, è un vero e proprio rito che travalica la religione e si mescola alla vita sociale e culturale del Paese, diventandone l’emblema del folklore stesso. 

È la festa che più esprime il sincretismo tra il culto pagano preispanico e la religione Cattolica importata dai Conquistadores. 

La passione con cui il popolo organizza, vive e affronta ogni anno tale ricorrenza ha oltrepassato i confini nazionali fino a diventare un fenomeno agli occhi del mondo, tanto che l’Unesco nel 2008 l’ha dichiarato: “Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità”.

Dia de los Muertos. Da dove nasce questa festività? tra storia e leggenda

Le origini del Dia de los Muertos si perdono nella notte dei tempi.

Elementi storici concreti ci dicono che ancor prima dell’arrivo dei Conquistadores Spagnoli, i popoli: Inca, Maya e Totonaca veneravano il legame imprescindibile che si cela tra la vita e la morte.

E i festeggiamenti organizzati già quei tempi volgevano al desiderio di far sentire i defunti ancora parte integrante della comunità.

Elemento ancora ben tangibile nelle commemorazioni moderne.

Sicuramente l’arrivo dei Colonialisti ha alterato le sfumature di tali riti, amalgamandole con materiale religioso e culturalmente diverso.

Ma a ben vedere, questo mix non ha fatto perdere il fascino al Dia de los Muertos anzi, l’ha spinto e concretizzato a tal punto da riuscire a cavalcare i secoli, permettendo ai Messicani di continuare ancora oggi a festeggiarlo e al resto del mondo di rimanere sempre più ammaliato da tale celebrazione.

Dia de los Muertos. Ma cosa accade?

Durante il Dia de los Muertos non si piange la morte, la si festeggia con rispetto, allegria e colore.

Generalmente i festeggiamenti hanno inizio il 28 Ottobre e terminano il 2 Novembre. Ogni singolo giorno è dedicato a una celebrazione particolare, ad esempio, il 28 Ottobre è la giornata in ricordo di chi è morto suicida o per incidente.

Mentre il 31, nella maggior parte delle comunità vengono onorate le morti dei bambini le cui anime, si crede, volino direttamente in cielo.

I restanti due primi giorni del mese di novembre, vengono consacrati per tutti gli altri defunti. L’attesa è talmente elevata che di solito le preparazioni alle celebrazioni, possono iniziare anche settimane prima.

Dia de los Muertos

Nel corso della notte delle anime i cimiteri “prendono vita”, i sepolcri vengono decorati con fiori dagli intensi profumi e dai colori caldi e decisi. 

I fiori più usati sono quelli della Tagete, pianta erbacea appartenente alle graminacee che nasce e cresce in Messico e in America Centrale. Ai fiori di Tagete – chiamati anche Cempasuchil– dai brillanti petali arancioni e il profumo intenso e vibrante è legata una storia molto significativa, nella quale si sussurra siano proprio questi due elementi visivi e olfattivi talmente forti e impossibili da dimenticare da essere percepiti addirittura dalle anime stesse, le quali li utilizzano per seguire il sentiero tracciato dai vivi per far ritorno a casa.

In ogni abitazione che rispetti e festeggi il Dia de los Muertos, viene allestito un vero e proprio altare dedicato, che prende il nome di Ofrenda.

Dia de los Muertos. Cos’è l’Ofrenda?

L’Ofrenda (che tradotto, significa: Offerta, n.d.a.) è l’elemento cardine del Dia de Los Muertos, perché viene considerata il “portale” che permette al mondo dei vivi d’incontrare quello dei morti. 

Sull’Ofrenda vengono posizionate ed esposte le foto dei defunti che s’intendono commemorare, ed è anche grazie a questo che le anime possono ritrovare la via di casa.

Ad arricchire l’altare ci sono sempre elementi simbolici che racchiudono significati specifici, come:

  • l’incenso e il suo fumo che pervadono le stanze delle case, a simboleggiare le preghiere e la purificazione degli ambienti.
  • le candele, che rappresentano il fuoco e la luce.
  • le caraffe d’acqua per far rifocillare i defunti dopo il lungo viaggio di ritorno dall’aldilà, insieme a cibo prelibato e altre bevande semmai amate in vita, dal defunto.
  • i semi di mais e cacao che interpretano sull’altare, la terra e i suoi frutti.
  • i papel picado – carta velina ritagliata a forma di teschi – prettamente di colore giallo e viola a rappresentare il vento. Le cui tinte rispecchiano la dualità tra la vita e la morte.
  • i fiori di Tagete.

In molte abitazioni oltre all’allestimento dell’Ofrenda, viene lasciata anche libera e pulita una camera da letto – nella maggior parte dei casi, quella padronale- dove le anime dei defunti possono riposare e riprendersi dalle fatiche del viaggio intrapreso.

I cibi e le bevande tipiche che si possono gustare sulle tavole imbandite sono:

i tradizionali Pan de los muertos” -Pane dei Morti- e i “Calaveras” – Teschi di zucchero, dolci tipici che portano anche incisi i nomi dei defunti che si vogliono commemorare.

Inoltre tra i piatti serviti si possono anche assaggiare le famose empanaditas – fagottini di sottile pasta farcita solitamente con la zucca e aromatizzata all’anice, e i tamales – involtini di foglie di mais ripieni di carne macinata – già apprezzati ai tempi dei Maya e degli Atzechi.

Si può sorseggiare cioccolata calda, caffè e amaranto, degustare tequila e la famosa bevanda Mezcal meno conosciuta a livello internazionale della tequila, ma sicuramente più apprezzata e utilizzata dai messicani.

Quest’ultimi l’amano a tal punto da definirla, così: “el mezcal no te emborracha, te embruja”, ovvero: “il mezcal non ti ubriaca, ma ti strega”. Per secoli definita la “bevanda dei poveri”, è uno dei liquori più utilizzati durante le celebrazioni.

Anche la carismatica e iconica pittrice messicana Frida Kahlo si narra fosse molto amante del Mezcal, come della ricorrenza del giorno dei morti, tanto da celebrarla in modo solenne ogni anno.

Dia de los Muertos. Le città si vestono a festa

Le strade e i cimiteri delle grandi metropoli, come dei piccoli paesini, si popolano di colori, abiti eleganti e cappelli fantasiosi.

Copricapi che adornano i volti dei partecipanti spesso dipinti ad arte come se fossero delle “Calaca“(teschi), tornati a festeggiare.

Le Calacas inoltre sono figure da sempre presenti nella cultura Messicana, ce ne sono traccia già nelle incisioni dei Maya.

I Teschi vengono ritenuti simboli spirituali molto forti, messaggeri gioiosi e non funerei che testimoniano con il loro “sorriso” la pace e la serenità delle anime dopo il trapasso.

Un’altra figura a cui va tutta la nostra attenzione è la Calavera Catrina – la donna scheletro, Signora dei Morti- icona ufficiale del Dia de los Muertos.

Dia de los Muertos. La Catrina

Il personaggio della Calavera Catrina prende ispirazione dalla Signora dei Morti Atzeca. La sua creazione si deve al vignettista e illustratore messicano Jose Guadalupe Posada che, nel 1913, ne tratteggiò le iconiche sembianze per inserirla come soggetto nelle litografie di stampo satirico e politico.

La Calvera Catrina è rappresentata come un teschio ghignante e agghindato con un grande cappello appoggiato sul cranio e abiti sfarzosi in stile francese.

L’ispirazione da cui nasce questo personaggio ormai folkloristico, porta con sé un messaggio profondo e concreto, di stampo sociale e politico perché la Catrina inizialmente era stata disegnata come caricatura di una donna messicana dei primi dell’900 che rifiuta le sue origini native per cercare di omologarsi allo sfarzo e alle abitudini dell’aristocrazia europea.

Diventando di fatto una vera e propria provocazione satirica nei confronti di tutti quei Messicani che tentavano di imitare gli Europei.

C’è stato anche un altro messaggio che l’artista Jose G. Posada s’impegnò a promuovere attraverso la Calavera Catrina ovvero che: dinnanzi alla morte siamo tutti uguali e “Siamo tutti Teschi” (Cit.).

Dopo di lui anche il grande pittore Diego Rivera – marito di Frida Kahlo – dipinse in primo piano la Catrina. La inserì proprio tra lui e Frida, su uno dei murales più famosi di sempre: Sueño de una tarde dominical en la Alameda Central (sogno di una domenica pomeriggio nel parco di Alameda – 1948)

“La morte è democratica, perché alla fine, la madre, la bruna, i ricchi o i poveri, tutte le persone finiscono per essere teschi”

José Guadalupe Posada

Attualmente la Calavera Catrina risulta essere la maschera più amata e utilizzata dalle donne messicane durante i festeggiamenti.

Al Dia de Los Muertos sono legate anche bellissime ballate e poesie spensierate che vengono insegnate ai bambini sin dalla più tenera età.

Aiutandoli così sin da piccoli a comprendere che la morte non va temuta, ma rispettata e amata tanto quanto la vita.

Quello che contraddistingue il Dia de los Muertos dalle altre celebrazioni simili o similari è il coinvolgimento umano e sociale volto alla condivisione più pura di un messaggio che sconfigge il tempo e rende immortale l’amore e la morte con la stessa entità e potenza.

Permettendoci di non dimenticare che dinnanzi al trapasso siamo tutti uguali, come diventiamo unici e indimenticabili agli occhi di chi ci ha amato davvero sia in vita che dopo la morte.


Fonti:

  • Pimp my trip: “10 curiosità sulla festa dei morti in Messico”
  • Mi prendo e mi porto via: ”Dia de los Muertos: storia e significato di una bellissima tradizione messicana”
  • Esquire.com: ”Il Dia de los Muertos è molto più di un Halloween messicano”
  • Wikipedia: ”Il giorno dei morti (America)”
  • Stories.weroad: ”Dia de los Muertos: 8 curiosità sul giorno dei morti in Messico e dove festeggiarlo”
  • Mame – estetica metropolitana: ”Il Dia de los Muertos, un momento di gioia e colori ricorda la meraviglia di essere vivi”
  • Il Giornale del cibo: ”Mezcal ancestrale distillato messicano: origini, riti e differenze con la tequila”
  • Il Giardino del tempo: ”Tagate: storia, simbologia e tradizioni popolari”
  • Dubitinsider.com: ”La Catrina è il simbolo della Morte”
  • SpazioFeu: ”Calavera Catrina volto del Dia de Los Muertos, Simposio morte e rinascita”
AMELIA SETTELE, Bolivia

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Vampiro di Londra. La leggenda del Cimitero di Highgate

(Vampiro di Londra) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Il Vampiro è da tempo immemore una delle figure più affascinanti del panorama letterario e cinematografico. Complici romanzi come “Dracula” di Bram Stoker o il film omonimo del libro appena citato- diretto dal regista Francis Ford Coppola – il Vampiro è anche protagonista di leggende altrettanto funeste e immortali che meritano di essere ricordate.

SOMMARIO

Il Vampiro è da tempo immemore una delle figure più affascinanti del panorama letterario e cinematografico. Complici romanzi come “Dracula” di Bram Stoker o il film omonimo del libro appena citato- diretto dal regista Francis Ford Coppola – il Vampiro è anche protagonista di leggende altrettanto funeste e immortali che meritano di essere ricordate.

Una su tutte è quella del Vampiro di Londra”, la cui fola misteriosa e lusinghiera è la figura di spicco del mio racconto:

Londra, sobborgo di Highgate – Nord della capitale. La necropoli prende il nome proprio dal quartiere dove è ubicata. È divisa in due parti: una occidentale e una orientale.

Vampiro di Londra

È un luogo di sepoltura vasto che “ospita” più di 150.000 defunti per un totale di 53.000 sepolcri.

Inoltre è censito dall’English Heritage – organismo pubblico che gestisce il patrimonio culturale dell’Inghilterra – come sito di primo grado nel registro dei Parchi e Giardini d’interesse Storico Inglese, ed è considerato una vera e propria riserva naturale.

Molti i “nomi noti” tumulati al suo interno: dal cantante George Michael , al filosofo Karl Marx, a Claudia Jones combattente comunista per i diritti sociali.

Vampiro di Londra. Highgate per seppellire l’Upper Class Vittoriana

Il cimitero viene aperto il 20 Maggio 1839 e costruito nel rispetto del progetto “Magnificent Seven” al quale apparteneva e che prevedeva la realizzazione di sette zone da dedicare alle sepolture, fuori dal centro cittadino. 

Purtroppo Londra, dopo le diverse epidemie di colera che la colpirono, non era più in grado di tumulare i propri defunti all’interno dei cimiteri che sorgevano vicino alle Chiese nella capitale inglese.

Quello di Highgate – complice anche la rigogliosa e suggestiva natura che padroneggiava tra i viali del luogo- diviene sin da subito dedicato alle sepolture dei personaggi dell’Upper Class Vittoriana, perché signorile e dispendioso.

Durante la seconda guerra mondiale il cimitero subisce pesanti bombardamenti e molti loculi vengono distrutti. Il degrado e l’abbandono iniziano a impadronirsi della necropoli.

Con il passare degli anni, il cimitero di Highgate cade in rovina.

Vampiro di Londra. Strane presenze e misteriose apparizioni

Negli anni ’60 si trasforma in rifugio per tossicodipendenti, reietti e delinquenti. Della sua aurea elegante e sobria, restano solo gli echi di un lontano passato.

È in questo stesso periodo, quando l’incuria e l’abbandono governano il cimitero, che iniziano a circolare voci sempre più insistenti di strane presenze e misteriose apparizioni.

Una su tutte, quella di un uomo: signorile, etereo, alto quasi due metri, con un elegante cilindro per cappello, completamente avvolto da un pesante mantello, che compare tra i viali più antichi del cimitero mentre passeggia tra pietre tombali vetuste e cappelle rovinate per poi sparire come nebbia al sole, senza lasciare traccia alcuna di sé e della sua presenza.

Donando comunque intense e vibranti sensazioni di disagio in chi lo incontra. Insieme al ritrovamento di piccole carcasse di animali dissanguati, si va a concretizzare un’unica ipotesi…

È nata la leggenda del Vampiro di Londra.

Vampiro di Londra. Arrivano i “cacciatori di vampiri”

Alla fine degli anni ’70, queste testimonianze attirano molti appassionati di occultismo che iniziano a frequentare il cimitero. Spiccano tra gli altri, due ragazzi David Farrant Sean Manchester che si precipitano a visitare il sito.

Sono curiosi di scoprire cosa , ma sopratutto chi, si celi dietro a questi episodi. Due nomi conosciuti nel mondo del paranormale, sopratutto Sean che ne diverrà un nome di spicco avendo anche presieduto la British Occult Society e fondato la Società di Ricerca del Vampiro.

David, invece, fonda la British Psychic & Occult Society, dedicandosi sempre alla religione Wicca e al culto della natura.

Farrant e Manchester entrano al cimitero di Highgate definendosi dei veri e propri cacciatori di Vampiri, pronti a scoprire la verità.

Il 21 Dicembre 1969, l’intrepido David Farrant decide di trascorrere la notte all’interno del camposanto, riuscendo addirittura ad incontrare… Il Vampiro!

Sfortunatamente dopo aver incrociato lo sguardo tetro e magnetico del Principe delle Tenebre, la paura prevale e David fugge a gambe levate!

Nei giorni successivi, viene pubblicato un suo articolo sul giornale locale Hampstead & Highgate Express, dove racconta la sua spaventosa avventura, ma chiede anche ad eventuali altri testimoni di palesarsi e rivelare gli incontri col Re dei non Morti.

L’articolo riscuote molto successo e le rivelazioni che arrivano in redazione, esaltano il Vampiro di Londra e la sua leggenda.

Vampiro di Londra. Caccia al vampiro

Sopraggiungono clamore e curiosità sia sul Nosferatu che dimora nella necropoli che su Farrant e Manchester che ne hanno palesato la presenza. Infatti nel Marzo del 1970 i due, organizzano una vera e propria “Caccia al vampiro” all’interno del cimitero. 

Viene scelta una data significativa anche per i meno superstizioni: Venerdì 13.

Quella notte David e Sean sono sicuri di riuscire a distruggere l’entità malefica, ritrovandosi circondati da telecamere, microfoni e molti curiosi.

Ma al calare dell’oscurità il Vampiro di Londra non si palesa, eludendo qualsiasi incontro tra i viali spettrali del cimitero. Pertanto non viene saziato il desiderio delle telecamere e dei partecipanti alla caccia, venendo anche umiliato l’ego dei Cacciatori.

Il fallimento clamoroso dell’evento, suscita non poco malumore soprattutto tra Sean e David che sospettando di essere presto additati come buffoni disonesti, cominciano ad accusarsi reciprocamente di essere degli imbroglioni.

Per molto tempo continuano entrambi le ricerche del Vampiro al cimitero, proseguendo a screditarsi vicendevolmente. Arriveranno addirittura a sfidarsi in un duello tra maghi che – per fortuna – non avverrà mai.

Vampiro di Londra. Amici del Cimitero

Ma tutto questo interesse per il Vampiro ha avuto un risvolto positivo per il Cimitero stesso, infatti nel 1975 viene fondata l’associazione “Amici del Cimitero. Organizzazione che ancora oggi si occupa della manutenzione e della conservazione del luogo.

Lo scorrere del tempo ha migliorato le condizioni del sito e ha attenuato la curiosità sul Vampiro, cristallizzando questa leggenda tra la foschia che si alza leggera tra le lapide e le tombe, incorniciando quei viali silenziosi che resteranno per sempre pronti ad accogliere i visitatori umani e…non!

Fonti:
  • Londra.italiani.it: “La Leggenda del Vampiro del cimitero di Highgate”
  • Vanilla Magazine: “Il Cimitero di Highgate e la maledizione del Vampiro della Necropoli di Londra”
  • Il Giornale dei Vampiri: “Il Cimitero di Highgate: Vampiri a Londra”
AMELIA SETTELE, Bolivia

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Gli stupri fantasma in Bolivia

(Bolivia) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e Storie

Bolivia. La storia di cui narro in questo mio articolo si tinge di parole inequivocabilmente difficili, come: abuso sessuale, violenza e ingiustizia.

Bolivia. Sventurate protagoniste di questo caso sono più di 130 donne – ma il numero in realtà, potrebbe essere stato molto più alto – della comunità Mennonita di Manitoba in Bolivia, vittime di ripetuti e brutali stupri all’interno della loro confraternita religiosa, tra il 2005 e il 2009.

Bolivia. Chi sono i Mennoniti

Bolivia. I Mennoniti rappresentano tra le Chiese Anabattiste quella più numerosa. L’anabattismo – deriva dalla parola greca ἀνα (di nuovo) +βαπτίζω (battezzare) ovvero ribattezzatori, in tedesco Wiedertäufer – è un movimento religioso di formazione cristiana che nasce in Europa durante il XVI secolo, in seguito alla rivolta di Munster. Nello specifico i Mennoniti devono il nome al loro fondatore, l’Olandese Menno Simmons (1496 – 1561), figura di spicco tra gli anabattisti, considerato altresì un eretico dai Cattolici.

I Mennoniti fondamentalmente auspicano per un ritorno della Chiesa alle proprie origini, privata dal vero verbo lasciato da Cristo, perché “contaminata” da lotte intestine per il potere e la troppa teologia. Rifiutano il battesimo (soprattutto sui neonati) e per comprendere appieno la loro quotidianità dobbiamo immaginarci fermi al ‘500, infatti rifiutano: il progresso, l’elettricità e ogni forma di modernità.

Sono isolati il più possibile dal resto del mondo, ma l’approccio che riservano a chi non fa parte delle loro comunità è sostanzialmente molto pacifico. È loro scopo creare una collettività dove si viva rispettando criteri di sobrietà e carità, seguendo rigide regole comportamentali.

La musica come i giochi sono preclusi e non esistono passatempi. Non possono guidare auto o avere internet. Sono vietati alcool e contraccettivi. I pilastri della comunità si concentrano nel culto, nel lavoro e nell’accudire la propria famiglia.

La (triste) vicenda che ho deciso di narrare ha il proprio epicentro in Sud America, qui i Mennoniti – secondo un censimento del 2013 – sono più di 70.000 e in Paesi come la Bolivia appunto, ma anche in Paraguay e in Messico si sono insediate le più fiorenti, dogmatiche e conservatrici congregazioni di tutta l’America del Sud.

Principalmente discendono da Mennoniti Russi di origini fiamminga, tedesca e frisona. La lingua parlata è il plautdietsch – definita anche basso tedesco mennonita – è un groviglio tra Olandese, Tedesco e Frisone ed è classificata come una delle lingue minacciate di estinzione. All’interno delle Comunità tutti si esprimono solo in plautdietsch, inoltre molto spesso le donne mennonite conoscono solo questo lessico.

Bolivia. La comunità Mennonita e i suoi Demoni

Bolivia. Per molto tempo le vittime degli stupri hanno taciuto sulle aggressioni per pudore e paura. Ma il susseguirsi delle violenze carnali ha fatto sì che iniziassero a serpeggiare all’interno di Manitoba, inquietanti storie su potenti Demoni capaci di rapire e aggredire brutalmente le donne, nel cuore della notte.

Soprattutto quando le stesse perseguitate compresero di non essere le sole a vivere queste atroci esperienze, infatti condividendo i loro tormenti molte scoprirono che anche le proprie sorelle, madri e addirittura figlie celavano racconti agghiaccianti che non potevano più essere taciuti.

Le violenze carnali si svolgevano dopo il calar delle tenebre, quando il sole lasciava il posto all’oscurità che, grazie alla totale assenza di elettricità, si posava come un pesante manto nero e oscuro sulle abitazioni, permettendo ai Demoni di sopraggiungere e colpire come meglio volevano e quanto potevano, all’interno della Comunità.

Gli unici indizi che testimoniavano quanto accaduto si palesavano al risveglio. Le donne erano totalmente prive di validi ricordi, ma con segni tangibili e orrendi della notte appena trascorsa. Il loro corpo era l’unico messaggero che testimoniava in maniera inequivocabile quanto avveniva durante il sonno, privo di sogni.

C’è chi si risvegliava coperta di ematomi e nuda -pur essendosi coricata vestita- chi, invece, aveva sperma e sangue sul fisico e tra le lenzuola, come indizi che qualcosa, o qualcuno, le aveva profanate nel modo più vile e crudele. In alcuni casi, le vittime ricordavano di aver avuto incubi nei quali alcuni uomini le possedevano con forza in un campo buio per poi al mattino, ritrovarsi fili d’erba tra i capelli arruffati.

Molte di loro oltre alla completa assenza di memoria, si ridestavano con cefalee persistenti e dolori articolari, segni di legature sulle giunture e un intorpidimento pesante da smaltire, che le lasciava confuse per ore. Le vittime accertate sono state molte e variavano da giovani ragazze a donne più mature, e persino bambine.

Il corpo abusato più giovane in assoluto è stato quello di una bambina di appena 3 anni, a cui hanno rotto l’imene con un dito.

Gli stupri fantasma nella comunità hanno ferito l’anima e il fisico di molte donne, senza distinzione di età o aspetto. I Demoni che colpivano lo facevano per il gusto maledetto di profanare e abusare delle proprie vittime, senza rispetto alcuno e nella più completa libertà di sentirsi talmente tanto al sicuro da esser certi di non poter mai essere scoperti.

Bolivia. Chi ha violentato le donne?

Bolivia. Se la storia degli stupri fantasma iniziò ad avere voce con dei sussurri appena percettibili, l’insistenza con la quale i tragici eventi continuavano a susseguirsi costrinse molte famiglie delle vittime a chiedere aiuto al Consiglio Ecclesiastico della Comunità, formato da un gruppo di uomini che vigila sulla congregazione.

Purtroppo neppure questo gesto fu un significativo strumento che mise fine alle violenze o aiutò a far luce sulla verità, perché esaustive dichiarazioni come questa rilasciate dall’allora capo laico della Comunità Mennonita:

Sapevamo solo che di notte succedevano cose strane…Non sapevamo chi fossero. Come potevamo fermarli?” Abraham Wall Enns

lasciano poco spazio a dubbi su cosa e quanto si sia fatto per portare alla luce la verità e interrompere le aggressioni. È facile dedurre quindi che nessuno fece assolutamente nulla. Addirittura per giustificare questi assurdi fatti, si arrivò a ipotizzare che i Demoni colpissero per esempio chi non rispettava le austere regole all’interno della comunità. In alcuni casi si arrivò a pensare che la vittima avesse inventato tutto per coprire semmai una relazione clandestina; oppure ritennero più semplice additare le donne stuprate come soggetti con una “selvaggia immaginazione femminile”.

Nel Giugno 2009 venne finalmente scoperta l’identità dei Demoni di Manitoba. In realtà non avevano nulla di innaturale e mefistofelico! Erano due uomini della comunità colti in flagrante mentre tentavano d’introdursi in un’abitazione per compiere l’ennesima violenza carnale.

Durante l’interrogatorio iniziarono a confessare e anche grazie alle loro testimonianze, vennero arrestati altri nove uomini della comunità mennonita, di età compresa dai 19 ai 43 anni, che si dichiararono facenti parte del gruppo di stupratori seriali che dal 2005 colpiva nella comunità.

Durante le prime confessioni – che verranno in seguito ritrattate – raccontarono anche il modus operandi attraverso il quale riuscivano costantemente a rendere le vittime inermi e stordite a tal punto da non essere in grado di ricordare o di essere abbastanza attendibili da rilasciare valide testimonianze utili a una loro eventuale cattura, permettendogli di continuare a colpire indisturbati e a farla franca per così tanto tempo.

Il segreto era racchiuso in uno spray narcotizzante inventato da un veterinario di una comunità mennonita a loro vicina, prodotto per essere utilizzato sulle mucche, che gli aggressori usavano prima di colpire.

Dopo aver atteso che il buio calasse sulle abitazioni, entravano in azione spruzzando il composto chimico nelle finestre delle camere da letto dove dormivano la vittima prescelta e la sua famiglia. Attendevano che il potente rimedio facesse effetto per poi intrufolarsi nelle case e iniziare la mattanza. Potevano agire in gruppo o da soli, sempre col favore dell’oscurità.

La verità concreta e precisa venne palesata solo due anni dopo, nel 2011, quando ebbe inizio il processo che vedeva imputati questi uomini vili e meschini che diedero forma agli incubi peggiori, raccontando le nefandezze di cui si erano macchiati in tutti quegli anni.

Le deposizioni rilasciate furono orrende e dipinsero un quadro di violenze brutali. Anche se in via solamente ufficiosa, alcuni abitanti della colonia mennonita affermarono che a subire violenza carnale non furono solo le donne, ma anche uomini e ragazzi.

Gli imputati vennero ritenuti colpevoli e condannati a 25 anni di reclusione ciascuno, mentre il veterinario che li riforniva di spray anestetizzante fu condannato a 12 anni di prigione.

Come affermavo all’inizio del racconto, ufficialmente le vittime accertate sono state 130, ma si è sempre pensato che i numeri fossero più corposi e che la verità su cosa si celi dietro quest’inquietante storia non sia mai stata veramente svelata, visti i modi e i tempi di gestione della Comunità stessa, nei riguardi delle donne abusate.

Nessun supporto psicologico è stato offerto alle vittime, alle quali invece è stato imposto un impietoso silenzio disceso su tutta la comunità mennonita a seguito del verdetto di colpevolezza dei condannati:

Ci siamo lasciati tutto alle spalle… Preferiamo dimenticare, piuttosto che continuare ad averlo stampato in testa.”  Dichiarazione di Wall – leader civile della Colonia ai tempi dei processi.

Sono passati molti anni dagli eventi narrati eppure nell’incedere perenne del tempo, la storia ha più volte deciso di ricordare quest’angosciante vicenda, donando alle vittime degli stupri fantasma un vera e propria voce che inizialmente ha preso vita tra le pagine del bellissimo romanzo pubblicato nel 2018: “Donne che parlano”, di Miriam Toews – talentuosa scrittrice, nata in Canada in una comunità mennonita da cui fugge appena 18enne – nel quale l’autrice romanza la vicenda degli stupri fantasma nella setta mennonita boliviana; ispirando anni dopo il film: “Women Talking – il diritto di scegliere” candidato all’Oscar e già acclamato dalla critica e dal pubblico americano che esce nelle sale cinematografiche italiane, l’ 8 Marzo 2023.

Posso sinceramente suggerirvi di leggere il romanzo di Miriam Toews come di andare a vedere il lungometraggio ispirato dal libro, l’importante è non dimenticarsi di tutte le donne vittime degli stupri fantasma nella setta mennonita in Bolivia.

Il ricordo e l’attenzione permetteranno a questa storia di non ritornare ad essere solo sussurrata, perché è stata dannatamente reale tanto da non risultare così impossibile immaginare che quei Demoni siano ancora in mezzo a loro…

Siamo donne senza voce, afferma Ona, pacata.
Siamo donne fuori dal tempo e dallo spazio,
non parliamo nemmeno la lingua del paese in cui viviamo.
Siamo mennonite senza una patria.
Non abbiamo niente a cui tornare,
a Molotschna perfino le bestie sono più tutelate di noi.
Tutto quello che abbiamo sono i nostri sogni – per forza che siamo sognatrici”.

(Donne che parlano – Miriam Toews)

Fonti:

  • The Universal: “Come vivono i Mennoniti, la comunità religiosa che rifiuta l’elettricità”
  • Vice: “Gli stupri fantasma della Bolivia”
  • Wikipedia: “I Mennoniti della Bolivia”
  • Wikipedia: “I Mennoniti”
  • Marcos Y Marcos: “Donne che parlano” di Miriam Toews
  • La Repubblica: “Le figlie di Manitoba”
AMELIA SETTELE, Bolivia

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Spagna: quando i bambini venivano venduti in nome di Dio

(Spagna) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e Storie

Spagna, quando i bambini venivano venduti in nome di Dio. La storia del “commercio” segreto dei neonati che ha coinvolto Suore e Personale Sanitario nel Paese Spagnolo.

SI SOSPECHAS QUE PUEDES HABER SIDO VÍCTIMA DEL ROBO DE RECIÉN NACIDOS CONTACTA CON NOSOTROS. Por cualquier mínima sospecha que tengas, ya sea como padres que perdieron a su bebé, o hijos que ha sido dados en adopción, puedes ser víctima del robo de recién nacidos que ha tenido lugar en toda España.

SE SOSPETTI DI ESSERE STATO VITTIMA DI UN FURTO NEONATALE, CONTATTACI. Per ogni minimo sospetto che hai, sia come genitori che hanno perso il loro bambino, o bambini che sono stati dati in adozione, puoi essere vittima del furto di neonati che ha avuto luogo in tutta la Spagna.

Spagna. Non lascia spazio a dubbi l’annuncio che accoglie il visitatore sulla pagina ufficiale del sito: sosbebesrobadosmadrid.com – finestra digitale gestita dall’Associazione omonima (SOS bambini rubati Madrid), senza scopo di lucro, fondata come luogo d’incontro e di ricerca tra persone che hanno avuto problemi inerenti a decessi neonatali dubbi e adozioni irregolari avvenuti negli ospedali e in alcune cliniche Spagnole, a partire dal periodo Franchista fino agli anni ‘90.

Ho citato solo una tra le associazioni più famose che continuano a cercare la verità, ma la lista è lunga come lo è purtroppo il numero degli sfortunati protagonisti di questa vicenda per la quale, ancora oggi, molte persone tentano di rintracciare e abbracciare il proprio figlio, fratello, o genitore da cui è stato forzatamente separato.

A tutti gli effetti questa è una storia che sembrerebbe la trama perfetta di un romanzo dai toni inquietanti e angosciosi. Invece è tutto insopportabilmente vero e ci trascina tra le pieghe profonde e viscose della triste compravendita di neonati avvenuta in Spagna a opera di una rete corrotta e ben consolidata tra Suore, Medici specialisti e personale infermieristico. Una vera e propria organizzazione in grado di guadagnare cifre da capogiro attraverso il rapimento e la vendita di neonati.

Secondo una stima approssimativa circa 300.000 bambini appena venuti al mondo, sono stati strappati in modo subdolo e meschino dalle braccia delle proprie madri, per essere donati – solo successivamente, il lucro divenne parte integrante di questo ignobile mercato- a famiglie ritenute idonee, consenzienti ed elargenti.

Spagna. Ma come e soprattutto perché, nasce questo vergognoso traffico di esseri umani?

Spagna. Tutto ha inizio durante la Dittatura Militare Franchista (1939-1975) instaurata dal Generale Francisco Franco (Ferrol, 4 Dicembre 1892 – Madrid, 20 Novembre 1975) che guidò la Spagna sotto un regime dittatoriale di stampo fascista che prese il nome di Franchismo.

Il Generale Franco diede al suo governo un modello: autoritario, tradizionalista e clericale. Ripristinò anche la Monarchia, per la quale si autoproclamò:

Reggente – per reggenza s’intende la sovranità esercitata da una persona diversa dal Monarca – e Caudillo – parola spagnola il cui significato è: Capo Militare che assume poteri assoluti. Termine divenuto nel tempo oltre che sinonimo del Generale Franco anche appellativo conforme a Fuhrer e Duce conducendo il Paese in una spirale di terrore e totalitarismo.

Ad avviare la tratta di neonati fu proprio il Generale Franco che autorizzò un tale abominio, sfruttandolo come vera e propria forma di repressione politica.

Subivano infatti questa crudeltà solo le madri sospettate di avere ideologie Comuniste, Anarchiche, Repubblicane o comunque lontane da quelle del regime. Anche le donne la cui appartenenza a nuclei familiari considerati “oppositori” al Generale, venivano colpite in questo modo bieco e disumano. 

Il neonato sottratto veniva affidato a genitori “idonei” a crescerlo, essendo conformi e fedeli al regime Franchista, sotto tutti i suoi aspetti: politico, sociale e religioso.

Il Dittatore era anche supportato dalla “Tesi del Morbo Rosso” formulata e divulgata da uno dei suoi consiglieri più fidati, lo psichiatra Antonio Vallejo-Najera (1889-1960).

Lo psichiatra, dopo aver soggiornato in Germania, entrando in contatto con ambienti dove già si discuteva di pulizia etnica e di superiorità tra le razze, aveva pensato bene di formulare la bislacca teoria “del Morbo Rosso” nella quale farneticava di valenze scientifiche che comprovavano una trasmissione di virus, come di una malformazione cerebrale, che colpiva solo e soltanto le persone dissidenti e/o Comuniste (Los Rojos – I Rossi).

Un virus per cui non esistevano cure e da cui se si veniva contagiati, non si poteva guarire. Un morbo da cui i bambini dovevano essere allontanati e protetti per evitare il “contagio della Ribellione”.

Il 17 Ottobre 1941 il Dittatore Franco modifica la legge sulle adozioni: i figli dei dissidenti incarcerati devono essere trasferiti negli orfanotrofi gestiti dalla Chiesa, dove viene accertata la loro “adottabilità” per le famiglie dichiaratamente conformi al regime, ovvero: cattoliche praticanti, eterosessuali e politicamente fedeli al sistema.

Ha così inizio il coinvolgimento della Chiesa in questa pagina nera della storia spagnola.

L’organizzazione funziona bene e la collaborazione tra alcuni organi di Stato e le strutture religiose ospitanti, continua anche dopo la caduta del Regime Dittatoriale avvenuta nel 1975. Quella che era nata come una mostruosa e terrificante macchina di propaganda franchista, si trasforma in un vero e proprio affare sempre più redditizio.

Spagna. Perché donarli, quando si possono vendere e guadagnarci?

Spagna. Avendo la possibilità di lavorare sia negli Ospedali che negli Orfanotrofi, le Suore acquisiscono un ruolo di assoluta rilevanza all’interno del sistema vizioso in quanto ricoprono incarichi di notevole spicco in quest’ingranaggio diabolico, che le vede in grado sia di riuscire a falsificare i certificati di nascita e morte dei bambini rapiti, sia di ottenere la fiducia delle vittime più facili da irretire per avere neonati da vendere.

Le ragazze madri per esempio, rappresentano l’offerta migliore in quanto nella maggior parte dei casi sono fortemente indigenti e (spesso) profondamente credenti. Un connubio perfetto verso il quale porgere una mano nel momento più delicato.

Molte volte le giovani non hanno un’istruzione adeguata e sono completamente sole; le famiglie le allontanano per la vergogna di vederle generare un figlio fuori dal matrimonio. Ma anche quando accanto alla donna incinta non manca una figura maschile pronta a diventare padre, è sempre la bassa estrazione sociale a spingere le religiose a selezionarli per il proprio abominevole scopo.

È come se la penuria li rendesse prede più facili da colpire e gestire. Altresì i Medici specialisti sono coloro che spesso attirano alcune tipologie di coppie – soprattutto quelle dichiarate sterili- ad avvalersi del loro aiuto per poter avere un bambino da crescere e amare (ovviamente dopo aver elargito un lauto compenso).

La rete d’illusione e bugie – creata e supportata da medici e figure religiose corrotte e senza scrupoli- riescono a convincere le partorienti prescelte a recarsi nei centri ospedalieri da loro gestiti, dove poi poter sottrarre il bambino appena nato in tutta tranquillità, semmai fingendo un travaglio iniziato bene ma finito in tragedia per rivenderlo subito dopo alla coppia pagante che rimaneva in attesa di avere il piccolo tra le proprie braccia. 

Molte volte le partorienti venivano sedate per impedire loro di avere ricordi utili da sfruttare per comprendere cosa fosse accaduto realmente negli attimi concitati successivi alla nascita del figlio.

Subito dopo si dava alla giovane madre l’infausta notizia, ostentando un certificato di morte completamente falso e mostrato (qualora la partoriente riuscisse ad avere la forza di vederlo) il corpo di un neonato sì deceduto, ma nella realtà non suo.

Durante lo scandalo e le inchieste molte tombe di bambini di cui si sospettava una dichiarazione di morte falsa, vennero fatte riesumare. In molti casi i sepolcri hanno restituito bare vuote, oppure con dei resti umani che non erano del bambino seppellito lì ufficialmente. Addirittura furono rinvenuti mucchi di pietre al posto dei corpi e persino l’arto inferiore di un soggetto adulto!!

magazine, spagna, ninos rubados

Spagna. Le voci “mute” delle madri dei “ninjos rubados”.

Spagna. Per molto tempo le voci delle madri dei “ninjos robados” (bambini rubati) hanno cercato di farsi sentire. Con forza, caparbietà e lungimiranza queste donne hanno provato a capire cosa fosse davvero successo subito dopo il parto, ma hanno sempre trovato un muro di silenzio e omertà. 

Non dimentichiamo che la Dittatura Franchista anche dopo la sua caduta lasciò impresse dietro di sé per molto tempo, l’eco della paura e del silenzio agevolando di fatto, situazioni abominevoli come questa.

Complice anche la “Ley de Amnistia” (Legge dell’Amnistia) approvata nel 1977, il commercio dei ninjos robados non trova forze giuridiche utili, per riuscire a essere fermato e condannato.

Intanto il tempo passa, altri bambini spariscono dalle culle per essere adagiati tra le braccia di sconosciuti che li hanno comprati.

C’è inoltre da sottolineare che attraverso alcune testimonianze dei genitori adottivi, si è scoperto che di frequente quest’ultimi venivano convinti che il bambino affidato loro, era stato dato in adozione perché la madre era una prostituta o entrambi i genitori erano tossici ed eroinomani; e che la quota versata era da ritenersi una “semplice” donazione. Sotto certi aspetti, sia i genitori adottivi che quelli biologici hanno subìto lo stesso trattamento fondato su falsità e puro profitto.

Di tutta la fitta rete di personaggi angoscianti che popolano questa triste vicenda risaltano tra gli altri, due nomi chiave che si sono fatti strada tra le oscure trame che avvolgono la vendita dei bambini in Spagna, e sono: il medico Eduardo Vela e Suor Maria Gomez Valbuena.

Il dottor Eduardo Vela, medico ed ex ginecologo della Clinica San Ramon di Madrid.

Durante la dittatura franchista diventa miliardario non lavorando solo in campo sanitario, ma facendo affari e fondando società vicinissime al regime.

Il suo nome campeggia tra gli altri perché – ancora oggi – rimane l’unico medico ad essere finito davanti a un Tribunale con l’accusa di sottrazione di minore. Quando nel 1982 partono le prime inchieste, Vela intesta tutto alla moglie che risulta essere milionaria mentre lui diventa nullatenente, autorizzando anche il cambio di nome alle società a lui intestate.

Nel 2010 inconsapevolmente, dichiara a dei giornalisti de ElmundoTV che si sono finti bambini adottati, di aver distrutto gli archivi nei quali venivano conservati i nomi delle madri biologiche e di quelli dei genitori adottivi. Eliminando di fatto, una delle possibilità più concrete per dare volti e abbracci alle vittime di questa tratta. Solo nel 2018, ormai 85enne, è stato accusato da Ines Madrigal – 49enne, dipendente delle ferrovie – di averla strappata dalle braccia della madre biologica, falsificando il suo atto di nascita.

Accuse inoltre supportate dalla testimonianza sconvolgente della madre adottiva della Madrigal, Ines Perez (ormai scomparsa). Quest’ultima dichiarò che: dopo aver scoperto di non poter avere figli naturali seguì il suggerimento del Dott.re Vela, il quale le propose d’inscenare una gravidanza nell’attesa di poter abbracciare un neonato che le avrebbe fornito lui stesso, con tanto di certificazione di nascita adeguata e conforme alla legge.

In sede processuale Vela depose dicendo di non ricordare molto dell’accaduto, visto che i fatti risalirebbero al 1969 e di non riconoscere neppure la sua firma sul certificato di nascita della Madrigal. 

“Non è la mia firma, non ricordo” poche parole che di nuovo spingono prepotentemente la verità verso recessi troppo oscuri da illuminare per rendere giustizia non solo alla storia di Ines Madrigal, ma anche a quella di tutti gli altri bambini passati tra le mani del ginecologo in questione che ha anteposto il suo giuramento, alla cupidigia del vile denaro.

Suor Maria Gomez Valbuena, definita il braccio destro di Vela.

Arrestata nel 2012 e ritenuta un elemento cardine nell’organizzazione che orchestrava i furti dei neonati, non ha mai contribuito alle indagini perché si è costantemente avvalsa della facoltà di non rispondere. Le Figlie della Carità di San Vincenzo Paolo II dichiarano che Suor Maria Valbuena – 87enne e già gravemente malata – muore il 22 Gennaio 2013.

Il certificato di morte della religiosa viene firmato dal Dott.re Enrique Berrocal Valencia, ma arriva in Tribunale con anomalie significative e inspiegabili ritardi. Le irregolarità di stesura e convalida del certificato di morte fanno insospettire molte persone sul reale decesso della Suora.

In finale sarebbe l’ennesimo certificato alterato e falsificato che condurrebbe al suo nome. Nonostante i sospetti e le reali incongruenze sulle certificazioni presentate, il processo contro Suor Maria viene chiuso e archiviato, lasciando però lo spiraglio di una riapertura qualora nuovi indizi conducessero all’acquisizione di prove e di indagati.

Quello che rimane impresso accanto ai nomi del dottor Vela e di Suor Maria è che la compromissione di tutta questa narrazione non macchia solo la sfera religiosa, ma anche quella etica e morale.

Spagna. La storia non si ferma e travalica i confini spagnoli

Spagna. Nel 2011 lo sconvolgente documentario targato BBC conduce la storia a un’altra verità agghiacciante: molti neonati sono stati ceduti a coppie residenti all’estero, portando di fatto la storia ad allargarsi a macchia d’olio, anche fuori dai confini del Paese Spagnolo.

La legge sulle adozioni:
Solo nel 1987 con la Legge sull’adozione viene garantita ai bambini la giusta e doverosa protezione dello Stato e della Pubblica Amministrazione, durante tutto l’iter utile al processo d’adozione. Inoltre nel 1996 una legge che attua una protezione giuridica del minore decreta il diritto del bambino adottato, di poter conoscere i propri genitori biologici. Autorizzando di fatto tutte quelle persone che, nel dubbio, vogliono provare a scoprire se sono stati sottratti alle proprie famiglie biologiche o meno.

Sotto molti aspetti il silenzio continua ad aleggiare su questa storia infame. A tutt’oggi la Conferenza Episcopale Spagnola non rilascia alle autorità preposte le agende personali di Suor Maria, dove sarebbe facilmente possibile ricollegare ai nomi dei genitori biologici e adottivi quella dei bambini rubati, così da poter finalmente districare molta di questa matassa, ponendo fine alla crudeltà dell’opera perpetrata anche in nome di Dio.

Dopo aver narrato il genocidio culturale attuato nelle Residential Schools in Canada (articolo qui), speravo fosse difficile incontrare di nuovo nella narrazione di avvenimenti storici di tale complessità e portata queste figure religiose. Mi sbagliavo…

Tra i sinonimi della parola Madre c’è quello di Mamma, ma anche quello di Sorella – come appellativo evocativo che si premette ai nomi delle Suore.

L’accostamento in questo caso, mette i brividi. Non si può pensare di commettere crimini simili, accostandoli al nome di Dio.


Fonti:

  • The Vision: “La storia segreta di come le suore abbiano nascosto la vendita di migliaia di bambini in Spagna”
  • El Diario Vasco: ”El certificado de defunción de sor María levanta sospechas sobre su muerte”
  • La Stampa: ”Spagna, inchiesta BBC: migliaia di neonati rubati durante il franchismo”
  • Prealpina: ”Spagna, al via primo processo sui “neonati rubati” del franchismo”
  • L’indro: “ Spagna: il business dei bambini rubati”
  • Il Giornale.it: “Il medico che rapiva i bambini, così la Spagna processa i fantasmi del suo regime”
AMELIA SETTELE

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Uluru, la montagna sacra degli aborigeni australiani

(Uluru) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Australia terra selvaggia, impervia, atavica e primitiva è la custode del monolite più famoso al mondo: Uluru -noto anche come Ayers Rock. Il massiccio dall’intenso colore rosso che incute rispetto e ammalia chi lo osserva, imperiale e mastodontico domina il paesaggio del Parco Nazionale di Uluru-Kata Tjuta, nel Territorio del Nord dell’Australia (Oceania).

È il monolite più grande al mondo, alto 348 metri con una circonferenza di 9.4 km, è una vera e propria icona naturale australiana. Uluru sembra immensa, ma nella realtà è solo la parte di una formazione rocciosa monolitica emersa, la cui grandezza si estende in gran parte nel sottosuolo.

Uluru. Un monolite “strano” già nel nome

Ha sempre attirato migliaia di visitatori ed è da sempre (e per sempre) un luogo sacro agli aborigeni.

Il suo caratteristico colore può mutare e variare dal blu, al viola, dall’ocra, al bronzo in base alla stagione e all’ora in cui il sole colpisce le sue pareti.

Ad esempio al mattino, la montagna si tinge di un rosso intenso e fiammeggiante, quando il sole torna a sorgere e a colpire la sua terra magnetica.

Se la si osserva da lontano, la sua superficie sembra liscia e perfetta, ma più ci si avvicina e più risaltano agli occhi pozzi, caverne, sorgenti e antichi dipinti.

Molti elementi del sito sono segreti ai piranypa -i non-aborigeni- e custoditi stoicamente dagli indigeni.

Il nome Uluru deriva probabilmente dal nome aborigeno “ulerenye” che significa “strano”, nella lingua Arrernte.

Aleggiano sulla montagna sacra pagine di storia come di leggende. Si narra che chiunque si avvicini ad Uluru, ne osservi la bellezza e magnificenza, percependone il potere mistico, non sarà mai più lo stesso.

Uluru

Le leggende più note degli aborigeni ci narrano che da Uluru tutto ebbe inizio, che le donne siano legate indissolubilmente a questo luogo magico e ancestrale.

Al suo interno si troverebbero le così dette “grotte della fertilità” dove è facile notare alcuni elementi chiaramente riconducibili ai genitali umani.

Uluru. La neonata scomparsa

Nel 1980 Uluru fu teatro di una scomparsa improvvisa quanto drammatica, di una neonata di nome Azaria Chamberlain. 

La piccola di appena 2 mesi, svanì nel nulla proprio nelle vicinanze del monolite dove i genitori campeggiavano insieme a lei e ai suoi altri due fratelli, Aidan e Reagan.

La madre Lindy dichiarò subito che la figlia era stata rapita da un dingo (un mammifero canide, molto simile ad un lupo).

Lo sconcerto e la pressione che ne scaturì sull’opinione pubblica riguardo la sparizione della piccola, diede inizio al processo più celebre di tutta la storia australiana.

Dopo le indagini e il procedimento penale, la madre di Azaria venne dichiarata colpevole di infanticidio e condannata all’ergastolo, mentre il padre Michael venne condannato per favoreggiamento.

Solo nel 2012, la giustizia australiana ribaltò la sentenza dichiarando che Lindy aveva detto la verità: Azaria era stata rapita da un dingo e morta proprio a causa dell’attacco dell’animale.

uluru

Uluru. La restituzione agli aborigeni

Uluru per decenni fu sottratta agli aborigeni e sfruttata dai colonizzatori, che non rispettarono mai il sito come sacro agli indigeni.

Solo nel 1985 il governo australiano riconsegnò formalmente l’area naturale agli aborigeni.

Dal 26 ottobre 2019 le autorità aborigene degli Anangu decretarono il divieto di scalare il massiccio roccioso, delimitandone i sentieri percorribili e le zone da visitare. 

Per gli Anangu è importante che il sito venga visitato anche da chi non crede nel potere di questo monolite e nelle energie che esso celerebbe, perché Uluru sembrerebbe in grado d’influenzare chiunque lo veda.

Ma anche un fatto di sicurezza ha spinto gli aborigeni a questa decisione, visto che dal 1940 al giorno del divieto di scalare il massiccio, sono circa 40 le persone morte nel tentativo di arrivare alla sua sommità.

Il magnetismo, come l’enigma che sembra celarsi dietro il fascino che sprigiona il monolite, sono da sempre fonti di discussioni e confronti tra chi vorrebbe imporre la razionalità, al puro misticismo che scaturisce da questo luogo.

L’unico elemento che non si può di certo escludere è che Uluru sia un monumento naturale non comune ad altri e che celi una forza incisiva ed intensa che lascia il segno.

AMELIA SETTELE, Bolivia

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