Hei Zhy Gou, la foresta del non ritorno

Hei Zhy Gou, la foresta del non ritorno

(Hei Zhy Gou) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

In Cina, nella regione del Sichuan, si trova uno dei luoghi più misteriosi e inquietanti del pianeta. È la foresta di Hei Zhy Gou, soprannominata anche: “Foresta del non ritorno”.

SOMMARIO

Gli abitanti delle zone limitrofe la chiamano “La terrificante valle della morte”.

Se tradotto, il suo significato dovrebbe essere: “La gola del Bambù nero”.

Hei Zhy Gou. La foresta del non ritorno

Immersa in una gola profonda, avvolta quasi perennemente da fitti banchi di nebbia la foresta del non ritorno”, è affascinante ma nefasta.

Sembra sospesa nel tempo, lontana dalla realtà e sprofondata in un mondo parallelo.

Da anni si narra che nessun essere umano sia capace di esplorarla e … di tornare indietro sano e salvo!

Numerose sparizioni infatti, accompagnano la storia di questo labirinto di bambù.

Si ritiene che la “foresta del non ritorno” sia letteralmente in grado d’inghiottire uomini e veicoli.

Coraggiosi esploratori e persino alcuni aerei che sorvolavano la zona sono svaniti nel nulla, appena entrati in contatto con la foresta.

Sembra proprio che sia maledetta e non permetta a niente e nessuno di trovare la via del ritorno e di poter quindi, raccontare cosa (o chi) si celi al suo interno.

Hei Zhy Gou. La foresta non restituisce neppure i cadaveri

Quando il fitto fogliame viene inondato dal calore del sole, la foresta appare nei suoi ancestrali colori vivi ed intensi.

I profumi della natura rendono l’area un vero e proprio polmone verde, fulcro e culla di pace, spennellato di bruma e sinistro incanto.

Ma di notte tutto cambia.

Hei Zhy Gou

Il buio padroneggia nelle sue tinte più cupe e impenetrabili, donando al luogo un’aurea spaventosa.

Antiche leggende e angoscianti storie hanno come protagonista proprio la foresta.

Hei Zhy Gou si trasforma infatti in un antro intricato e pericoloso.

Da anni, chi si addentra tra i suoi sentieri non fa più ritorno.

Hei Zhy Gou. Abitata da un enorme drago a due teste

La sua impenetrabilità non ha mai reso concrete e sicure le notizie inerenti la sua formazione e storia.

Alcune leggende locali giustificano i misteri che aleggiano sulla foresta raccontando che, sia abitata dal Grande Uccello”.

Uno spaventoso mostro mitologico descritto come un enorme drago a due teste.

Certo è che – essendo il Drago un importante simbolo della cultura cinese, protagonista da millenni di storie e miti – nessuno ha mai cercato di scoprire cosa dominerebbe davvero “la foresta del non ritorno”, anteponendo a qualsiasi spiegazione logica, il rispetto della forza della natura e delle antiche tradizioni che hanno reso questo lembo di terra, uno dei luoghi più sventurati e maledetti che l’uomo conosca.

Fonti:
  • Travelglobe: La foresta di Hei Zhy Gou, tra bambù e misteri
  • Urban Post: Cina: Foresta di Hei Zhy Gou, la valle dei bambù dalla quale nessuno torna
  • Curiosando708090.altervista: Luoghi misteriosi: Foresta di Hei Zhy Gou (Cina)
AMELIA SETTELE

Leggi tutti gli articoli di Amelia Settele QUI

Scopri il profilo di Amelia Settele QUI

25 novembre SPECIALE. Giulia, come le Altre

(25 novembre) Articolo scritto da Amelia Settele per Fatti e Società

ASCOLTA L’AUDIO LETTURA

25 novembre. In collaborazione per la rubrica La Forza di Indignarsi Ancora Radio C.S.D.R. trasmette l’audio lettura di questo articolo dal titolo Giulia, come le Altre, pezzo dedicato a tutte le donne vittime di femminicidio.

SOMMARIO

25 novembre. Giulia, un’altra vita spezzata che ingrossa le file dei femminicidi

Vigonovo, provincia di Padova: Giulia Cecchettin è una Dottoressa, laureata in ingegneria Biomedica. Lei, suo padre e i suoi fratelli – Elena e Davide – sono una famiglia molto unita, costretta a vivere anche nel dolore nato dalla prematura scomparsa della madre. Giulia ha un ex fidanzato, Filippo Turutta.

Roma: l’avvocata Martina Scialdone ha 35 anni, professa il suo lavoro con passione ed è specializzata in diritto di famiglia. Ha un rapporto solido e forte con i suoi familiari. Ha da poco interrotto una relazione sentimentale con Costantino Bonaiuti.

Cerreto d’Esi, provincia di Ancona: Concetta Marruocco è un’infermiera di 53 anni da tutti chiamata Titti. Originaria di Torre del Greco (Napoli) continua a vivere nell’appartamento nel centro cittadino anche dopo la separazione dal suo compagno, Franco Panariello.

25 novembre. Chi sono queste donne così apparentemente diverse tra loro? E perché fanno parte di questa storia?

L’unico triste denominatore che le accomuna – come molte altre donne che riempiono ogni giorno una lista sempre più lunga – è quella di essere state vittime di femminicidio da parte dei loro rispettivi ex compagni. Ad armare le mani di chi ha strappato loro le vite, i sogni, gli affetti sono sempre questi uomini (o pseudo tali) che con maligna determinazione irrompono un’ultima sanguinosa volta nelle loro esistenze, per cercare di estorcere attenzione e possesso, fino a stringerle nel loro ultimo respiro.

So bene di averle descritte utilizzando un tempo presente, come se le loro vite fossero cristallizzate in un flash temporale in cui neppure la ferocia dei loro assassini, può alterarne il destino che avrebbero avuto il diritto di vivere. Ma c’ho non toglie che la verità è un’altra, che ci conduce verso una sola triste realtà che purtroppo conosciamo tutti: il femminicidio.

25 novembre. Cos’è il Femminicidio?

Il Femminicidio è la forma più estrema di violenza di genere contro le donne. Pertanto tutti gli omicidi dolosi o preterintenzionali in cui una donna viene assassinata da un uomo per motivi basati sul genere, devono essere identificati come tali. Per forma di genere, invece, s’intende qualsiasi forma di violenza contro una persona solo per il fatto di appartenere al genere femminile.

25 novembre. Il Femminicidio in Italia fa sempre più vittime

Secondo i dati rilasciati dal Viminale solo nel 2023 nel nostro paese sono stati commessi ben 286 omicidi di cui 103 sono donne. 54 di loro sono state ammazzate da chi diceva di amarle, dai loro compagni o ex.

Una lista lunghissima che si alimenta di donne e del loro sangue, della loro fiducia verso chi, invece, voleva solo possederle fino alla morte.

Con un ritmo di quasi 1 femminicidio ogni 3 giorni, questi omicidi continuano ad appesantire gli occhi di lacrime e la coscienza di tutti noi, allungando una lista di vite spezzate che non dovremmo mai dimenticare.

La recente tragedia di Giulia Cecchettin ha riacceso il dibattito su questa vera e propria piaga sociale che delinea uno scenario per le donne, sempre più difficile da vivere e affrontare.

Mentre l’indignazione e il cordoglio si uniscono ancor di più in questo giorno di novembre, dedicato proprio alle vittime di femminicidio, nessuna donna è al sicuro. Spetta a noi tutti ricordarle non solo adesso, ma sempre. Giulia come tutte le Altre sono lo specchio di un disastro mimetizzato in una relazione sentimentale tossica e malata, tale da condurle alla morte. In memoria di queste madri, figlie, sorelle, nipoti dobbiamo trovare tutti noi la giusta dose di forza per aiutarle a fuggire e a denunciare chi finge di amarle mentre impugna un’arma sempre più affilata che distrugge i loro sogni, la loro dignità e il loro futuro. Per ogni femminicidio, la nostra società perde filamenti di luce e umanità.

Le donne hanno una voce e troppo spesso, invece, sono costrette a gridare in silenzio. Spezziamo questa catena in nome di Giulia come delle Altre.

“Se domani sono io, se domani non torno, mamma distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.” (Cristina Torres Caceres. Perù, 2011)

Fonti:

  • Femminicidioitalia.info
  • Notizie.it: Femminicidi
  • Rainews: Omicidio Giulia Cecchettin

25 novembre. NUMERI E INDIRIZZI UTILI

Rete Nazionale Antiviolenza a sostegno delle donne vittime di violenza

  • Numero verde 1522
  • Carabinieri – 112
  • Polizia di Stato – 113
  • Emergenza sanitaria – 118
25 novembre
AMELIA SETTELE, 25 novembre

Leggi tutti gli articoli di Amelia Settele QUI

Scopri il profilo di Amelia Settele QUI

Mangia Peccati, una figura storica tra leggenda e oblio

(Mangia Peccati) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Chi tra di voi è senza peccato scagli la pietra per primo.” Vangelo secondo Giovanni: 8.3

Tra il XVIII e il XIX secolo si concretizzò la figura simil-religiosa del Mangia Peccati – Sin Eater – che aveva il compito di assorbire le colpe del defunto, attraverso l’assunzione di cibo sul letto del moribondo.

SOMMARIO

Irrimediabilmente quando si narra del Mangia Peccati si è costretti a pensare agli ultimi istanti di vita di una persona.

Perché per chi crede, i peccati commessi devono essere redenti prima di esalare l’ultimo respiro, così da permettere alla propria anima un sicuro viaggio per l’aldilà. 

Mangia Peccati. Le origini

Per molto tempo, in alcune parti del mondo il Mangia Peccati ne ha rappresentato un valido aiuto.

Figura emblematica e ormai dai contorni poco nitidi, ha preso principalmente piede nell’entroterra Inglese e in alcune zone del Galles e della Scozia.

Soprattutto nei luoghi più isolati e remoti.

Sulle origini del Mangia Peccati ci sono poche notizie, ma quelle più concrete datano la sua nascita nel periodo del basso medioevo.

Anche se alcune fonti sono portate a dichiarare che nasca insieme al Cristianesimo stesso.

Certo è che se la storia lo ha oramai relegato solo nelle nicchie dei ricordi.

In alcune zone del pianeta (come l’Alabama) rappresenta ancora oggi il protagonista di cupe storie folkloristiche.

Mangia Peccati. Chi era?

Il Mangia Peccati – o Sin Eater, in Inglese – la maggior parte delle volte, era un uomo che veniva chiamato dalla famiglia del moribondo sul letto di morte per praticare questo rito.

Rito nel quale le pietanze offerte al Sin Eater rappresentavano i peccati commessi dal defunto.

Mangia Peccati

Il Mangia Peccati assumeva quelle pietanze e l’anima del defunto si alleggeriva, permettendo un trapasso sereno.

Un rito e una figura quella del Sin Eater che incarnano in modo chiaro e tangibile l’importanza per gli uomini, di affrancarsi l’anima dai peccati, restando altresì coscienti di gravare su quella di un altro.

Sicuramente non era un lavoro ambito da molti. 

Nella maggior parte dei casi, erano uomini poveri ai margini della società che – davvero per fame – intraprendevano questo mestiere.

Mangia Peccati. Se non era possibile la confessione o l’estrema unzione

Quando l’estrema unzione o l’ultima confessione non erano possibili, ci si rivolgeva al Sin Eater.

Sicuramente nelle zone rurali era più facile usufruire dei servigi di un Mangia Peccati, rispetto alle grandi città dove, invece, era più facile reperire un sacerdote per una “classica” estrema unzione o ultima confessione.

La maggior parte delle volte il Sin Eater – veniva contattato dalla famiglia del morente – e sotto un minimo compenso raggiungeva l’uomo in fin di vita al suo capezzale, per ascoltare le ultime confessioni.

In quel lasso di tempo veniva anche preparato il pasto frugale, che il Mangia Peccati ingeriva o sul letto del defunto o addirittura sul suo petto. 

Ascoltando e mangiando, permetteva all’anima del morente di lasciare le spoglie terrene, alleggerita dalle colpe commesse e dichiarate e di trovare pace in eterno.

Il defunto aveva l’anima redenta, ma il Mangia peccati allo stesso tempo appesantiva la sua, aggravandola di oscure e impenetrabili memorie.

Qualora fosse arrivato troppo tardi, ad accoglierlo sul letto ci sarebbe stato solo il pasto simbolico e il silenzio.

Nella maggior parte dei casi, il pasto era composto dal pane in quanto simbolicamente associato all’anima dei defunti.

Anche se al Sin Eater si poteva offrire anche del sale e un piatto di stufato o minestra.

Mangia Peccati. Un reietto con l’anima pesante

La confessione come il parco convivio erano fasi di un vero e proprio rituale, intervallato da preghiere sussurrate e arcaiche formule:

The ease and rest of the soul are gone” (La facilità e il riposo dell’anima se ne sono andati) Brand’s popular Antiquities of Great Britain

Un cerimoniale che ha i toni ancestrali, che si perdono nella notte dei tempi…

Intorno alla figura del Mangia Peccati, aleggia la costante comprensione di quanto sia stata dura ricoprire questo ruolo.

Solitamente era un uomo senza famiglia che per pochi penny (di solito non più di 4) e un tozzo di pagnotta, non esitava a venire a patti con i peccati degli altri, per poter avere lo stomaco pieno.

Era considerato un vero professionista, ma allo stesso tempo messo agli angoli dalla società del tempo. 

Un reietto con l’anima pesante e la solitudine come compagna.

Infatti il tempo e le superstizioni, avvicinarono la figura del Sin Eater alla stregoneria e al satanismo.

Un alone di mistero e maledizione aggravato anche dalla convinzione popolare che il Sin Eater fosse l’unico in grado d’impedire ai morti viventi di risorgere!!

Una figura storica e religiosa che è stata presente sino agli inizi del XX secolo.

Mangia Peccati. Richard Munslow l’ultimo

L’ultimo Mangia Peccati che la storia ci riporti è Richard Munslow (1838 – 1906) che onorò il suo compito nella Contea di Shropshire sino agli inizi del ‘900.

Il suo menù, contrariamente alla tradizione, prevedeva: torta alla ricotta, fondi di carciofi e trippa… senza mai dimenticare i sei pence previsti per la prestazione.

Al contrario di molti suoi colleghi e predecessori, ad avvicinare Munslow alla professione di Mangia Peccati, non fu l’indigenza o la fame, ma il lutto per la perdita di quattro suoi figli.

Di cui tre, nella stessa settimana.

Profondamente turbato da questa drammatica esperienza, scelse di diventare un Sin Eater per vivere questa professione, come forma di lutto.

Della figura enigmatica del Mangia Peccati restano poche concrete testimonianze.

Il silenzio e la solitudine che ne hanno rappresentato gli elementi più concreti, ci permettono di immaginarlo come un triste compagno che segue la Morte nelle sue peregrinazioni, tra un’anima e l’altra.

Capace ancora di accogliere il mistero degli ultimi istanti di vita dell’essere umano, tra sussurri e briciole di pane.

Fonti:

  • Blog. Necrologi: “Sin Eater: colui che mangia i peccati”
  • Altroevo: “Il Mangia Peccati, la storia e la leggenda del mangiatore di peccati”
  • The Weird Side: “Il Mangia Peccati e l’Accabador”
AMELIA SETTELE

Leggi tutti gli articoli di Amelia Settele QUI

Scopri il profilo di Amelia Settele QUI

Messico: acqua potabile razionata, ma c’è sempre la Coca Cola!

(Messico) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e Storie

La città di San Cristobal de las Casas fu fondata nel 1528 e nel periodo coloniale spagnolo divenne capitale del Chiapas. Il Chiapas è uno dei 21 Stati che costituiscono la Repubblica Messicana e attualmente è una delle zone più povere della Nazione. 

A San Cristobal de las Casas in Messico l’acqua potabile è razionata, ma c’è sempre la Coca Cola!

SOMMARIO

Una realtà preannunciata e combattuta dal movimento EZLN

Messico. Una realtà preannunciata e combattuta dal movimento EZLN

San Cristobal spesso viene citato perché luogo dove il 1° Gennaio 1994 durante l’occupazione dei sette comuni, il Sub Comandantemarcos – rivoluzionario, ex portavoce dell’esercito Zapatista di liberazione nazionale (EZLN) movimento armato clandestino di stampo anarchico, indigenista e anticapitalista – lesse la prima dichiarazione della Selva Lacandona, attraverso la quale proclamava i diritti del proprio movimento e dichiarava guerra al Governo Messicano colpevole tra l’altro, di aver firmato il trattato TLC (Tractado de Libre Comercio – Trattato di libero commercio) con il Canada e gli Stati Uniti d’America.

Purtroppo oggi San Cristobal de las Casas risalta agli onori della cronaca per avvenimenti che la coinvolgono e che sotto alcuni aspetti rispecchiano una realtà preannunciata e combattuta dal movimento EZLN, il quale lottava con forza e vigore per la propria libertà e contro ogni forma di colonialismo e sfruttamento.

Messico

Noi siamo il prodotto di 500 anni di lotte: prima contro la schiavitù, poi, durante la Guerra d’Indipendenza contro la Spagna capeggiata dai ribelli, poi per evitare di essere assorbiti dall’espansionismo Nord Americano; poi ancora per promulgare la nostra costituzione ed espellere l’Impero Francese dalla nostra terra; poi la dittatura di Porfirio Diaz ci negò la giusta applicazione delle Leggi di Riforma, il popolo si ribellò e emersero i suoi leader come Villa e Zapata, povera gente proprio come noi, ai quali, come noi, è stata negata la più elementare preparazione; così possono usarci come carne da cannone e saccheggiare le risorse della nostra patria e non importa loro che stiamo morendo di fame e di malattie curabili, e non importa loro che non abbiamo nulla, assolutamente nulla, neppure un tetto degno, ne’ terra, ne’ lavoro, ne’ assistenza sanitaria, ne’ cibo, ne’ istruzione, che neppure abbiamo diritto di eleggere liberamente e democraticamente i nostri rappresentanti politici, ne’ vi è indipendenza dallo straniero, ne’ vi è pace e giustizia per noi e per i nostri figli. Ma oggi noi diciamo BASTA!”

Comando Generale dell’EZNL – Selva Lacandona, Dicembre 1993

Quello che di sicuro sta accadendo agli abitanti della cittadina è preoccupante e indica una forma di “colonialismo” silente e astuta, rendendo i motti del movimento sopracitato solo echi lontani e indistinti perché, nella cittadina esiste e persiste un grande problema, l’acqua potabile – un bene primigenio ed essenziale per la vita sulla terra. 

Della sua indispensabile importanza ne avevo già scritto nel mio articolo: Flint Town e i suoi eterni veleni”, ma purtroppo m’imbatto sempre più spesso in storie in cui questo elemento primordiale ed essenziale per tutti, rischia di venire meno.

Proprio come in questa vicenda che non smette di stupire.

Messico

A seguito di una rapida urbanizzazione, di strutture idriche obsolete e di pericolosi cambiamenti climatici che ormai sono fautori di disastri immediati e a lungo termine, la cittadina di montagna ha visto diminuire vertiginosamente le scorte idriche utili alla vita quotidiana.

L’acqua potabile che confluisce nelle tubature della rete idrica cittadina, dev’essere sistematicamente razionata.

I pozzi non coprono il fabbisogno della popolazione, decretando una crisi che sembra possedere tutti i requisiti per avere un apogeo irreversibile.

Le condizioni che detta questa crisi idrica implicano e coinvolgono aspetti della vita sociale, politica e sanitaria dell’intera comunità di San Cristobal de las Casas tali da non poter essere sottovalutati.

L’acqua viene razionata anche perché gli impianti di depurazione non hanno le caratteristiche utili e conformi per filtrare l’approvvigionamento adeguato alle necessità del popolo.

La situazione è avversa a tal punto che gli abitanti di San Cristobal preferiscono attendere l’arrivo dei camion cisterna per avere un minimo di scorta nel proprio domicilio, mentre per dissetarsi acquistano bottiglie su bottiglie di… Coca Cola!

Messico. Ma non sarebbe più semplice acquistare – ma soprattutto bere – acqua confezionata, invece della Coca Cola?

Ebbene, NO! Perché l’acqua imbottigliata ha un costo maggiore rispetto alla famosa bevanda simbolo del capitalismo mondiale.

Messico

Le ripercussioni che agevolano (almeno all’apparenza) il budget familiare, si ripercuotono però su quello della salute.

Tant’è che le ricerche effettuate sul reale consumo di Coca Cola che dilaga tra gli abitanti di San Cristobal, hanno evidenziato un preoccupante aumento delle malattie metaboliche.

Soprattutto diabete e obesità.

Inoltre è estremamente inquietante il coinvolgimento dei bambini che sin dalla più tenera età compromettono le proprie condizioni fisiche sorseggiando Coca Cola, anziché limpidi e salutari bicchieri d’acqua.

Le stime sull’abuso della bevanda lasciano sgomenti.

La gran parte della popolazione di San Cristobal ingerisce un quantitativo giornaliero pari almeno a 2 lt di Coca Cola al giorno. 

Da uno studio effettuato sulla popolazione si è accertato che tra il 2013 e il 2016 l’aumento di casi di diabete è stato pari al 30%.

La maggior parte delle famiglie hanno al loro interno almeno un consanguineo affetto da questa patologia. Il diabete è la seconda causa di morte nel centro abitato nella zona meridionale del Messico.

È lecito e logico pensare subito: ma se c’è una crisi idrica tale da dover razionare la fornitura d’acqua alla popolazione, da dove arriva l’acqua utilizzata per preparare la Coke?

Messico. La risposta si racchiude in un’unica parola: Femsa.

La FEMSA – Fomento Económico Mexicano, S.A.B. de C.V. – è una multinazionale messicana fondata nel 1890 da cinque imprenditori (Isaac Garza, José Calderón Penilla, José A. Muguerza, Francisco Sada Gómez e Joseph M. Schnaider) che diedero inizio a quest’avventura, aprendo il birrificio “Cuauhtémoc Ice and Beer Factory”, a Monterrey, NL, Messico. 

Da quel momento in poi la FEMSA non si è più fermata. È diventata la multinazionale messicana che su scala mondiale vanta impegni nel settore della ristorazione e delle bevande.

È la seconda maggior azionista della Heinken International ed è la più grande azienda imbottigliatrice di Coca Cola al mondo.

Ora cari lettori, dopo aver compreso e chiarito in grandi linee cos’è l’azienda FEMSA, torniamo a dare il giusto spazio al vero protagonista di questa storia: il popolo assetato.

Un’intera comunità che – anche attraverso la divulgazione di pubblicità ingannevoli – continua a bere Coca Cola come se fosse acqua; mentre l’acqua continua a essere razionata e mal distribuita.

Messico

Ma se l’acqua scarseggia, come riesce la FEMSA ad imbottigliare galloni e galloni di Coca Cola da far arrivare in quantità decisamente importanti a San Cristobal de las Casas, risparmiando a tal punto da far diventare più economico una confezione di Coca Cola, rispetto a una d’acqua?

Semplice, l’impianto locale della Coca Cola – sempre di proprietà della FEMSA – ha autorizzazioni utili per accedere alle riserve d’acqua della zona da poter utilizzare per essere depurate, addolcite e alterate fino a trasformarsi nella bevanda dal leggendario marchio rosso e bianco.

Messico, l’acqua alla multinazionale ma non ai cittadini!

La multinazionale può e ha accesso all’acqua, arrivando a poter utilizzare circa 300.000 litri al giorno da fonti idriche locali. La comunità di San Cristobal no.

I residenti del paesino situato tra le Montagne della Sierra Madre contestano, si lamentano anche e soprattutto quando si parla della salute sempre più compromessa della loro comunità. La FEMSA attraverso i suoi rappresentanti legali nega ogni responsabilità.

Imputabilità che rigetta attraverso dichiarazioni come questa, pubblicate dal New York Times, attribuite a uno dei dirigenti della FEMSA: “ha respinto le critiche che le bevande della compagnia abbiano un impatto negativo sulla salute pubblica. I messicani, ha detto, possono avere una propensione genetica verso il diabete“.

È imperativo che non ometta quanto sia ormai diffuso l’utilizzo delle bevande gassate e zuccherate come la Coca Cola (chiamate refrescos) su tutto il territorio Nazionale Messicano.

Messico, solo la punta dell’iceberg

Sotto certi aspetti, la storia di San Cristobal de Las Casas è solo la punta dell’iceberg perché negli anni il Messico ha scalato in modo celere la triste classifica dei Paesi consumatori di Coca Cola.

È secondo solo agli Stati Uniti d’America.

Resta il fatto che mentre gli abitanti di San Cristobal continuano ad attendere che l’acqua torni a poter essere utilizzata in modo concreto e giusto, la FEMSA continua a imbottigliare e a distribuire la famosa bevanda – frutto di una ricetta ancora oggi segreta – in quantità anche superiori alle reali necessità del luogo, mixando al sapore dolciastro e frizzantino famoso in tutto il mondo, l’amaro retrogusto di un subdolo capitalismo.

Fonti:

  • Ciboserio: “Messico: intera città beve Coca Cola, perché manca l’acqua”
  • Ytali: ”Chiapas, senz’acqua ma con la Coca Cola”
  • L’Indro: “Il governo Messicano ha sete di Coca Cola”
  • Femsa.com
  • SBS News: This small town in Mexico is addicted to Coca-Cola. It also grapples with a deadly disease.
  • Voices: San Cristobal de las Casas, the Mexican town that drank more coke than water
AMELIA SETTELE

Leggi tutti gli articoli di Amelia Settele QUI

Scopri il profilo di Amelia Settele QUI

Debra A. Haaland, donna simbolo del riscatto degli Indiani d’America

(Haaland) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e Storie

Debra Anne Haaland è la prima donna nativa americana ad essere scelta dal Presidente Biden come Segretario al Dicastero dell’Interno.

SOMMARIO

Dal 17 Dicembre 2020 – giorno dell’Inauguration Day – gestisce le risorse naturali, le riserve, i parchi e il patrimonio forestale. Ma soprattutto è a capo del ministero che ha il compito di tutelare le minoranze etniche e i programmi ad esse collegate. Sarà quindi la voce più consona al sostegno del 1.9 milione di nativi americani che vivono attualmente negli Stati Uniti, come anche per gli altri gruppi allogeni. Sotto la sua responsabilità passeranno anche le decisioni per cercare soluzioni concrete alla crisi climatica in atto, spesso trascurata nelle amministrazioni antecedenti.

Haaland. Emblema dei nativi americani

Eletta al Congresso degli Stati Uniti nel 2018, è l’emblema della rivincita delle tribù ed etnie native Americane. Joe Biden, anche attraverso la sua nomina, impronta la politica del nuovo governo verso un radicale cambiamento, volto all’integrazione e alla coesione di culture e razze diverse.

Debra Haaland è colei che dichiarò pubblicamente:

Un ex segretario del Dipartimento, che da oggi guiderò io, una volta proclamò “civilizzare o sterminarli”. Io sono la testimonianza vivente del fallimento di quell’orribile ideologia.”

Le sue parole ci riportano anche alla tremenda storia delle Residential Schools Canadesi, di cui mi ero occupata in precedenza (articolo qui), e del loro completo e profondo fallimento nella gestione e nell’integrazione tra i nativi americani e i colonizzatori.

Haaland. Le sue radici in Arizona

Debra infatti, nella sua vita ha sempre dovuto lottare per farsi valere come donna e come nativa.

Crescere nel villaggio di mia madre mi ha reso agguerrita. Sarò agguerrita per tutti noi, per il nostro pianeta, per le terre protette. Sono onorata e pronta a servire.”

Haaland

Nata in Arizona, i suoi genitori erano entrambi militari. La madre apparteneva alla tribù dei Laguna Pueblo- popolo che abitava i territori del New Mexico e dell’Arizona – mentre il padre di origini Norvegesi, era ufficiale dei Marines insignito della medaglia al valore per il suo contributo durante la guerra in Vietnam. Insieme ai suoi tre fratelli, ha sempre viaggiato molto a causa del lavoro dei genitori, ma le radici indiane hanno continuamente influenzato la sua vita. Madre single di una ragazza che ha cresciuto completamente sola, è riuscita a diplomarsi e poi laurearsi in Giurisprudenza alternando gli studi con il lavoro di vendita di prodotti alimentari.

Haaland. Nessuna voce come la sua

Donna forte e concreta, entrata in politica quasi per caso dopo non essere riuscita a superare l’esame d’avvocato. Incide con voce chiara e schietta la sua posizione e la sua volontà di portare le minoranze ad essere veramente ascoltate.

Sono Deb Haaland e il Congresso non l’ha mai sentita una voce come la mia…”

La sua nomina concretizza la sua posizione, divenendo essa stessa, strumento di propaganda per una nazione libera e capace di portare avanti un progetto d’uguaglianza e aggregazione. Come mai visto, finora.

Il Congresso, come il resto del mondo, non avevano mai ascoltato la sua voce. Ora è arrivato il momento di prestarle attenzione, per trarne ispirazione e stimolo.

Fonti:
  • Congresswoman Deb Haaland
  • Elle: chi è Debra Haaland, la prima nativa americana nominata da Joe Biden
  • IO Donna: chi è Debra Haaland, la prima nativa americana nominata in un governo Usa
  • Vanity Fair: Deb Haaland, la prima nativa americana nel governo degli Usa
AMELIA SETTELE

Leggi tutti gli articoli di Amelia Settele QUI

Scopri il profilo di Amelia Settele QUI

Alga Marimo e la sua leggenda. Discover the secrets in the world

(Marimo) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura

Ascolta “Il crogiulo. Puntata 1 – L'Alga Marimo e la sua leggenda” su Spreaker.

La storia che sto per raccontarvi affonda – letteralmente – le sue radici in un lago. Protagonista di questa leggenda è una simpatica alga a forma sferica dall’intenso colore verde scuro, comunemente conosciuta col nome di Marimo.

SOMMARIO

Marimo in lingua giapponese significa biglia (Mari: biglia, Mo: pianta acquatica), appellativo datole intorno al 1820 dal botanico giapponese Tetsuya Kawakami.

Scientificamente appartiene alla famiglia delle Cladophoraceae, il cui nome per inciso è: Cladophora Aegagropila.

Marimo. Alga palla

L’alga palla oltre al suo intenso colore, è formata da sottilissimi e morbidi fusti che assorbono nitrati e nitriti presenti nell’acqua, convertendoli in ossigeno.

Proprio durante il processo di fotosintesi clorofilliana- se osservata alla luce – si possono notare piccole sfere di ossigeno attaccate ai fusti, che vengono emesse dall’alga.

Durante la fotosintesi l’alga palla si lascia fluttuare nell’acqua, come se danzasse. Questo ondeggiare ipnotico prende il nome di “Danza del Marimo”, particolare che la rende ancora più affascinante. 

Ha una crescita lentissima che non supera i 5mm l’anno e la grandezza dei suoi esemplari di solito si aggira tra i 3 e i 10 cm.

È una pianta acquatica davvero longeva, può arrivare a vivere oltre 200 anni!

Marimo. Tesoro Naturale Giapponese

Solo tre laghi al mondo, hanno l’habitat perfetto per ospitare le colonie di questa alga e si trovano in: Giappone, Estonia e Islanda. Vive sui fondali temendo la luce diretta del sole e non paventa le temperature fredde.

Marimo

Fu scoperta intorno alla prima metà del 1800.

Proprio dal botanico che le diede anche il nome – Tetsuya Kawakami – sulle sponde del lago Akan.

Il suo eccezionale rinvenimento, divenne ben presto d’interesse nazionale.

Nel 1921 il Governo Nipponico dichiarò il Marimo Tesoro Naturale Giapponese” e specie protetta.

Inaugurando anche un museo dedicato all’alga palla e alla sua storia.

Troppe persone spinte dalla curiosità e dalla leggenda ad esso legata, si riversarono sulle rive del lago per cercare di appropriarsi (anche in modo non legale) di un esemplare di questa alga.

Procurando di fatto, un grave danno all’ecosistema delle colonie, che vennero colpite duramente anche dalla costruzione di una centrale idroelettrica poco distante dallo specchio d’acqua, sempre in quegli anni dei primi del 900.

Intorno alla metà del secolo scorso invece, proprio gli abitanti del luogo compresero il grave pericolo in cui riversavano le colonie si attivarono per proteggerle e salvaguardarle il più possibile.

Venne così istituto anche il Festival del Marimo.

Famoso e celebrato, ancora oggi (pandemia permettendo).

Marimo. Simbolo di buon auspicio

Da sempre il Marimo oltre alla sua importanza nell’ecosistema dei luoghi dove si sviluppa, è simbolo di buon auspicio e di amore eterno.

Viene donato solo a chi si vuole bene – infatti vista la sua secolarità, le famiglie lo tramandato di generazione in generazione – come se fosse un talismano in grado di favorire la longevità e l’abbondanza.

È considerato un potente portafortuna e sembrerebbe riuscire a esaudire i desideri di chi lo dona e di chi lo riceve.

Marimo

Sopra ogni cosa, a quest’alga è legata una leggenda giapponese bellissima e struggente che voglio raccontarvi e inizia, così:

C’erano una volta due giovani perdutamente innamorati. Le famiglie di entrambi però, osteggiavano il loro rapporto. Un giorno la coppia decise di fuggire lontano, ritrovandosi sulle sponde del Lago Akan. Sulle rive del lago i due ragazzi si giurarono amore eterno e i loro cuori si trasformarono in due Marimo, così da poter vivere uno accanto all’altra per l’eternità…”

La leggenda dei due innamorati ha permesso a questa pianta di diventare il simbolo di chi si ama. 

Il Marimo infatti viene donato solo a chi si vuole veramente bene, perché emblema di un rapporto profondo e duraturo.

marimo

Marimo. Regole per il mantenimeno

Adottare o ricevere in dono un Marimo, comporta il rispetto di semplici e basilari regole:

  • Mantenerlo sempre in un recipiente rigorosamente di vetro e immerso nell’acqua
  • Non esporlo alla luce diretta del sole e ospitarlo in un luogo fresco
  • Cambiare l’acqua ogni due settimane circa, aggiungendo di tanto in tanto dell’acqua frizzante per agevolarne “la danza” e la fotosintesi clorofilliana.
  • Pulire il contenitore con attenzione per rimuovere (eventuali) residui di calcare
  • Rigirare saltuariamente e con delicatezza il contenitore come a simulare il ritmo delle onde.

Le semplici e basilari regole per una buona manutenzione del proprio Marimo, hanno facilitato l’arrivo dell’alga palla in molte case (compresa la mia!).

Certo è che questa pianta acquatica è entrata nell’immaginario collettivo per molteplici fattori, dalla leggenda a cui è legato, alla dolce e ammaliante danza che dona splendore al suo “abbraccio” con l’acqua e al perenne ricordo di un amore immortale.

Offrendo un tocco di originalità che cattura e incanta sia chi lo dona e chi lo riceve…


Fonti:
  • Casa Natura: L’alga degli innamorati
  • Inspirando: Marimo, l’alga palla che arriva dal Giappone
  • Fatti strani: La soffice alga marino si sviluppa…
AMELIA SETTELE

Leggi tutti gli articoli di Amelia Settele QUI

Scopri il profilo di Amelia Settele QUI

Roopkund, il lago degli scheletri

(Roopkund) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Per narrarvi i misteri di questa storia dovete accompagnarmi sull’Himalaya e più precisamente nello Stato Indiano di Uttarakhand. Qui si trova il Lago Roopkund, denominato anche il lago degli scheletri e dei misteri.

SOMMARIO

Situato nel ventre del massiccio di Trishul, è di origini glaciale e si trova a circa 5020 metri di altitudine.

Pur essendo stato classificato come lago, per la capienza e la profondità (che non supera i 3 metri) ha le caratteristiche più vicine a quelle di uno stagno. 

La zona è completamente disabitata e impervia, la natura domina il sito tra ghiaccio, rocce e … scheletri.

La particolarità del Lago è nell’essere custode di centinaia di ossa umane e arcani enigmi.

Quando il ghiaccio si scioglie, il Lago riporta alla luce centinaia di ossa.

È in questa capsula di ghiaccio, quasi perennemente abbracciata dalla neve, che riposano decine e decine di antichi resti umani.

Roopkund. La scoperta

Sebbene si abbiano notizie sullo Skeleton Lake – il lago degli scheletri – già dal IX secolo, l’ufficialità della scoperta viene datata nel 1942 quando il ranger Hari Kishan Madhwal scoprì i resti ossei che fluttuavano sul pelo dell’acqua.

Con il passar dei giorni e con il maggiore scioglimento del ghiaccio, il lago continuò a restituire altri resti umani, insieme a schegge di lance, manufatti in legno e anelli, brandelli di tessuto umano e capelli, vestiti e pantofole di cuoio.

Le autorità Britanniche – visto il periodo storico – inizialmente ipotizzarono che fossero cadaveri di soldati Giapponesi morti durante il tentativo di valicare i confini Indiani, per cercare di attuare una vera e propria invasione.

Terrorizzato da tale supposizione, il Governo Inglese avviò un’indagine inviando degli esperti sul luogo della scoperta.

Quest’ultimi decretarono che le ossa erano molto antiche e non potevano appartenere ai soldati nipponici.

Da quel momento il lago divenne il fulcro di misteriose storie, scarse prove concrete e la certezza della sua unicità.

Un cimitero tra i ghiacci che per circa 300 persone – senza un motivo apparentemente sensato – fu luogo di morte tra gelo e pietre.

Roopkund

Perché si erano recate in questo posto così proibitivo e pericoloso?

Come erano decedute?

Dal 1950 ai giorni nostri sono state diverse le spedizioni organizzate da team di studiosi sul lago Roopkund.

Esplorazioni volte ad analizzare i resti, per trovare risposte realistiche così da poter dissipare l’alone di mistero e folklore che aleggia su questo sito, così unico e particolare.

Roopkund. Le diverse supposizioni

All’inizio si ipotizzò che tutti i cadaveri rinvenuti fossero morti nello stesso momento e per la stessa causa. 

Poi si suppose che il lago Roopkund era stato per millenni una fossa comune, che aveva dato eterno riposo alle vittime di un’ipotetica epidemia, o di un suicidio collettivo.

Altri invece sostenevano che il Lago fosse un luogo sacro, utilizzato per sacrifici religiosi.

Le vittime di tali riti venivano condotte sin lassù per immolarsi durante le cerimonie.

Altre tesi spingono a credere che il Lago sia invece solo un luogo di passaggio per arrivare a compiere il pellegrinaggio al Nanda Devi – considerata una delle montagne più sacre dell’India.

Sin dalla notte dei tempi, a questa montagna sono legate storie demologiche e potenti energie, in grado di richiamare molti pellegrini per visitarla. 

L’atmosfera che aleggia sul Nanda Devi (in italiano: Dea dispensatrice di Beatitudine- Dea della Gioia) sembrerebbe donare concentrazione e vigore utili per la meditazione.

Il Governo Indiano non ha mai rilasciato facilmente autorizzazioni per scalarla e/o per compiere il pellegrinaggio alla montagna, a causa dei rapporti tesi con la Cina.

È necessario ricordare che questa barriera Himalayana è considerata un territorio molto delicato, perché confina a Nord con l’altopiano del Tibet e a Sud con la pianura del Gange.

Roopkund. Cosa scoprirono gli studiosi

Certo è che per i circa 300 resti umani ritrovati, poche erano le certezze e troppe le supposizioni. Utili e concreti sarebbero stati solo e soltanto gli studi e le ricerche sui reperti.

Purtroppo c’è da dire che oltre i ricercatori- in tutti questi anni – spesso si sono succeduti anche curiosi poco attenti che, per toccare i resti che l’acqua ha restituito alla storia, hanno alterato di fatto la zona dei ritrovamenti. 

Inoltre diversi scheletri sono stati utilizzati per creare delle inquietanti composizioni ossee (ancora visibili accanto alle sponde del lago) e altri, depredati. 

Queste alterazioni portate avanti da mani inesperte non solo hanno concretamente influenzato lo scenario originale del lago, ma anche influenzato negativamente il risultato su alcuni esami effettuati.

Roopkund

Analisi che sono emerse alterate proprio a causa di queste manipolazioni avvenute sulle spoglie.

Tanto da compromettere la conservazione naturale del sito stesso.

Dopo questa doverosa precisazione posso tornare a rivelarvi cosa gli studiosi sono riusciti a scoprire sugli scheletri.

Si è rinvenuto che in realtà nel lago riposavano due gruppi etnici distinti. Separati non solo per razza, ma anche per periodo storico, infatti:

  • sul primo gruppo di scheletri analizzati, gli studi hanno affermato che provenivano dall’Asia Meridionale (India, Bangladesh, Nepal) e incontrarono la morte nei pressi del Roopkund tra il VII e il X secolo. (Solo uno scheletro venne identificato come appartenente alla zona più Orientale dell’Asia – Giappone, Cina, Indonesia)
  • Mentre il secondo gruppo proveniente dal Mediterraneo (Grecia, Iran e Creta) sopraggiunse nei pressi del lago per incontrare il proprio triste destino, tra il XVI e il XIX secolo.

In entrambe le compagnie erano presenti sia donne che uomini.

Sono tutti morti nello stesso luogo, ma con uno “scarto temporale” di circa 1000 anni gli uni dagli altri.

Le analisi hanno rilevato anche l’assenza di agenti patogeni utili per confermare un’epidemia.

Quello che invece è sopraggiunto all’attenzione dei ricercatori sul “gruppo Asiatico” sono state delle lesioni riportate solo sul cranio e sulle spalle degli scheletri.

Compatibili con dei colpi “tondeggianti” sferrati dall’alto.

Una tesi che si è andata concretizzando nel tempo e ipotizza che la causa del decesso sia attribuibile a una violenta grandinata.

In pratica sulle teste di questi uomini, sarebbero letteralmente piovute dal cielo delle schegge di ghiaccio. 

Un profluvio di proporzioni impressionanti tanto fulmineo e veloce, da riuscire a ferirli fino a ucciderli.

Una tempesta di grandine che li avrebbe investiti e portati a una morte lenta e dolorosa.

Anche perché impossibilitati a trovare un rifugio utile per aver salva la vita.

Roopkund. La leggenda himalayana

A impreziosire questa teoria c’è un’antica leggenda tramandata tra le donne dell’Himalaya.

Leggenda che narra della furia di una Dea (Nanda Devi) che decise di castigare alcuni estranei che stavano profanando il suo Santuario.

Sussurrò l’anatema maledetto: “Farò piovere la morte su di loro”.

Scatenando così un temporale funesto con chicchi di pioggia duri come frammenti di ferro.

Casualità o strane coincidenze?

Quello che accomuna la leggenda con la tesi dichiarata dagli scienziati, non fa che rendere questo luogo ancora più enigmatico e oscuro.

Luogo dove il ghiaccio, il silenzio e il mistero custodiscono gli scheletri e le loro verità…


Fonti:

  • Storie Notturne Insieme: “Roopkund, il lago degli scheletri”
  • Fatti strani: “Il Lago Roopkund, l’inquietante specchio d’acqua colmo di scheletri…”
  • Focus: “I misteri di Roopkund”
  • Krishnadas: “Il Santuario del Nanda Devi”
  • Montagna.tv:” Roopkund. Il misterioso lago degli scheletri che non…”
AMELIA SETTELE

Leggi tutti gli articoli di Amelia Settele QUI

Scopri il profilo di Amelia Settele QUI

Centralia: la vera Silent Hill brucia da 60 anni

(Centralia) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 4 – Centralia: la vera Silent Hill brucia da 60 anni” su Spreaker.

Tra gli amanti dei videogiochi a tema horror survival, Silent Hill rappresenta uno delle serie videoludiche più apprezzate di sempre.

Il prodotto immesso sul mercato nel 1999 è riconosciuto come un vero e proprio Cult e viene ritenuto anche il perfetto antagonista di un altro classico del genere: Resident Evil, un ulteriore successo nel settore dei videogiochi.

Nel corso degli anni entrambi i titoli, hanno avuto trasposizioni cinematografiche di successo, l’ultima in ordine di tempo è il reboot di “Resident Evil” uscito al cinema nel 2021.

Mentre dal videogioco di Silent Hill sono stati prodotti e commercializzati oltre ai film anche: fumetti, libri e romanzi. Insomma, un vero e proprio multimedia franchise.

Centralia. Ma cosa ha decretato il successo di Silent Hill?

Prodotto da Konami, è una delle poche serie in cui il protagonista è una “persona qualunque”.

Il giocatore ne prende il dominio, facendolo muovere tra le strade, le morti e le maledizioni della nefasta cittadina di Silent Hill.

Il gameplay di Silent Hill è molto semplice.

Si deve cercare di sopravvivere in questa ambientazione profondamente horror-gotica, provando a risolvere enigmi mentre si lotta per non farsi uccidere dalle forze del male che albergano tra gli edifici di questo lugubre centro urbano.

Uno degli elementi fondamentali che hanno decretato il successo della serie è, senza ombra di dubbio, la scenografia.

Centralia

L’ambientazione infatti regala al giocatore (come allo spettatore del lungometraggio) uno scenario degno dei peggiori incubi.

Una tipica cittadina americana abbandonata e costantemente avviluppata nella nebbia più fitta che cela mistero, morte, segreti ed esecrazioni.

Centralia. E se Silent Hill esistesse davvero?

Ebbene sì cari lettori, Silent Hill non è solo frutto della fantasia degli ideatori del videogame! Si trova nello stato della Pennsylvania – più precisamente nella Contea di Columbia – e porta il nome di Centralia.

Ha una particolarità che l’ha resa spettrale e unica allo stesso tempo, Centralia è avviluppata nelle spire di un incendio che divampa e la consuma da 60 anni.

Centralia. La storia di Centralia

Centralia venne fondata intorno al 1750 da un gruppo di coloni, con il nome di Centerville. Essendo già presente nella zona un villaggio omonimo si decise – anche per ovviare a problemi di natura burocratica – di modificare il nome della cittadina in Centralia.

Durante la sua costruzione, i giacimenti minerari furono subito rilevati, ma le miniere iniziarono a essere aperte e sfruttate solo intorno al 1850.

È in questo periodo, infatti, che Centralia inizia a crescere e a fiorire a livello economico e demografico.

La capienza dei giacimenti minerari è molto estesa e importante tanto da autorizzare la costruzione di ben due linee ferroviarie per il trasporto del carbone estratto.

Nel corso dei decenni la città cresce, sino ad arrivare al 1960 con un conteggio demografico di circa 2000 abitanti.

Si poteva usufruire di un servizio postale, almeno due istituti bancari avevano le rispettive sedi in città.

Molti anche i negozi e gli Enti scolastici utili per la crescita e la formazione dei giovani -ad eccezione dell’Università.

Tre cimiteri, Chiese di culti diversi e ben due teatri.

Si sviluppa un centro cittadino di tutto rispetto che – grazie alle miniere – garantisce lavoro e prosperità.

Centralia

Di pari passo all’accrescimento sociale e urbano di Centralia, si estende anche il suo sottosuolo. Epicentro del vero tesoro che la contraddistingue.

Si fa sempre più consolidata e ben collegata la rete di tunnel in grado di unire i diversi giacimenti aperti, per l’estrazione del carbone.

Centralia rappresenta la tipica cittadina americana degli anni 60 che assicura occupazione, servizi e tranquillità.

Sino al 1962, quando divampa un incendio in una delle miniere ormai in disuso che comprometterà per sempre la storia di questo luogo.

Centralia. L’incendio

Dell’incidente che modificò e compromise ineluttabilmente le sorti di questa cittadina, si conosce solo la datazione: 1962.

La storia narra che, su autorizzazione del comitato cittadino, un gruppo di volontari dei vigili del fuoco gettò dell’immondizia all’interno di una miniera chiusa e desueta, appiccando un incendio per poter smaltire il materiale.

Quello che non venne valutato fu che la portata delle fiamme all’interno di una miniera in disuso sì – ma comunque collegata alle altre – poteva alimentare senza sforzo un imponente incendio nel sottosuolo, adibito all’estrazione del carbone e ai tunnel di collegamento per il trasporto in superficie del minerale.

Una combustione che inizialmente sembrò essere domata dai pompieri cittadini, ma che in realtà continuò a fiammeggiare, arrivando anche nelle altre gallerie e nelle altre miniere.

Tutto il sottosuolo di Centralia fu investito dal calore alimentato dal suo stesso tesoro minerario.

Il terreno inizialmente coinvolto dalle fiamme raggiunse le zone adiacenti, ricche di antracite.

L’antracite è un carbone puro, con una presenza minima di acqua, zolfo, ossigeno e azoto.

Ha un elevato stadio di carbonizzazione, con una cospicua presenza di carbonio al suo interno).

                          …Una conflagrazione che aprirà voragini alle fiamme dell’Averno

Le strade iniziarono ad aprirsi con crepe e baratri, eruttando fumo e calore.

Vennero inghiottite nel sottosuolo case private, edifici pubblici e auto. La vegetazione iniziò a seccarsi e morire, rendendo il paesaggio della cittadina sempre più tetro.

Molti abitanti fuggirono da quello che sembrava essere uno scenario spettrale. Centralia ardeva dalle sue fondamenta, modificando per sempre il suo aspetto e la sua storia.

Centralia. Due tentativi per spegnare l’incendio

Tentarono in diversi modi e in molte occasioni di spegnere l’incendio, ma non ci riuscirono in nessun modo. 

Non tutti i cittadini decisero di lasciare subito le proprie abitazioni.

Alcuni resistettero fino a quando anche i fumi esalati dalla terra violata e sconquassata dall’incendio sottostante, non divennero tossici e pericolosi per i pochi abitanti rimasti. 

Ma due vicende distinte e separate portarono alla fuga degli ultimi abitanti rimasti:

  • La prima, nel 1979 quando: il proprietario di una pompa di benzina, avvertì un significativo aumento del calore del carburante dentro una delle cisterne di conservazione sotterranee. Misurandolo, arrivò a costatare che la temperatura del liquido sfiorava i 77°!!!
  • La seconda, nel 1981 quando: il dodicenne Todd Tomboski, residente a Centralia, sprofondò dentro una voragine apertasi proprio sotto i suoi piedi. Fortunatamente le sue grida vennero ascoltate da un passante che riuscì a tirarlo fuori, giusto in tempo. Se Todd fosse rimasto ancora per pochi minuti incastrato in quel gorgo, sarebbe sicuramente deceduto per le esalazioni tossiche e l’estremo calore sprigionato dal terreno.

Queste due particolari cronache riportate nella storia della città, ci annunciano che di lì a poco, la cittadina rimase praticamente deserta.

Le autorità imposero l’evacuazione rendendo a tutti gli effetti Centralia inesistente. 

Gli ultimi abitanti rimasti non superano la decina e nel corso degli anni, hanno avuto un permesso speciale per continuare a vivere lì; con l’obbligo di non poter lasciare in eredità a niente e nessuno, né la propria abitazione né la propria terra.

Centralia. La morte della città

Centralia è destinata a morire, ammantata tra i fumi densi e nocivi. Le voragini sul terreno hanno continuato a proliferare come ferite aperte in un paesaggio che è sempre più desolato e spaventoso. 

Gli studi effettuati hanno dichiarato che l’incendio si protrae su 1600 mq di terreno e potrebbe continuare a rimanere vivo per oltre 250 anni!

Centralia

C’è un’unica strada accessibile – che funge da entrata e uscita- la “Graffiti Highway” (denominata così per i disegni e le incisioni colorate lasciate dai turisti a ricordo del loro passaggio) che continua a condurre avventurieri e curiosi a visitare una delle città fantasma più famose d’America.

Tutte le altre vie di comunicazioni sono state chiuse e gli altri percorsi serrati con cumoli di terra.

Oltre alle poche abitazioni ancora in piedi, sopravvive alla tempra del calore una Chiesa, utilizzata tutt’oggi per le funzioni religiose. 

Dal 2002 Centralia non ha più un proprio codice d’assegnazione postale, in pratica NON ESISTE!

Centralia. Misteriose presenze

Aleggiano su Centralia non solo i fumi di un incendio perennemente vivo, ma anche molte storie che la vedono protagonista di inquietanti vicende come quella narrata nel 1998 da Ruth Edderson, il quale dichiarò di aver visitato la città insieme ad alcuni suoi amici e di aver avvistato due bizzarri individui vestiti da minatori, apparire e svanire dinnanzi ai loro occhi, avvolti in un fumo denso e pesante.

Altri ancora affermano con sicurezza di aver avvertito presenze inquietanti durante il loro passaggio a Centralia, riportando sensazioni di turbamento e smarrimento.

Quel che è certo, è che la storia di questa cittadina opprime e ammalia nello stesso tempo. E mentre risuona l’eco del fuoco che brucia e del silenzio che aleggia, posso solo sussurrare:

Benvenuti a Centralia…Benvenuti a Silent Hill…

Fonti:

  • Paesi Fantasma: Centralia, la vera Silent Hill
  • GreenMe: Centralia, la città di Silent Hill esiste davvero
  • Travel 365: L’incendio perenne di Centralia: la vera Silent Hill
  • Orgoglio Nerd: La città di Silent Hill esiste davvero in Pennsylvania
  • La scimmia pensa: La vera Silent Hill che brucia perennemente da 60 anni
  • Wikipedia: Centralia
AMELIA SETTELE

Leggi tutti gli articoli di Amelia Settele QUI

Scopri il profilo di Amelia Settele QUI

Dia de Los Muertos. La festa Messicana che celebra la vita

(Dia de Los Muertos) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 1 – Il Dia de Los Muertos” su Spreaker.

Il Dia de Los Muertos – il Giorno dei Morti – è la festa Messicana che per eccellenza è conosciuta e riconosciuta in tutto il mondo, come una tra le celebrazioni più affascinanti e sentite che accompagnano i giorni a cavallo tra la fine del mese di ottobre e i primi giorni di novembre.

SOMMARIO

Periodo destinato al culto e al ricordo dei defunti, in gran parte del mondo. Il Dia de Los Muertos è la notte delle Anime, le quali attraverso un antico rituale tornano dal mondo dei morti per far visita ai propri cari.

Le famiglie infatti si riuniscono e i cimiteri, le case si adornano con candele, cibo e allegria. Si festeggia la morte che è sacra come la vita.

Ma ora andiamo a conoscere nel dettaglio questa festa millenaria e magnetica, caro lettore, e partiamo subito.

Dia de Los Muertos. È come la festa di Halloween?

Mi preme subito fugare questo dubbio che spesso può sopraggiungere visto il tema che accomuna le due celebrazioni.

A tal proposito è opportuno evidenziare che, a differenza delle atmosfere gotiche e cupe di Halloween ricorrenza tipicamente Americana – anche se ormai la globalizzazione l’ha resa comune a molte altre aeree del mondo lontane dagli Stati Uniti per storia e cultura, divenendo di fatto quasi un fenomeno globale – o della Festa dei Morti tipica della religione Cristiana essenzialmente più spirituale e riservata, il Dia de Los Muertos rappresenta una vera e propria festa che onora la periodicità perfetta e ineluttabile tra due elementi come: l’inesorabile morte e la forza tangibile della vita.

Un rito che si concretizza con del buon cibo, altari adorni di fiori, ceri e tanta musica popolare.

Durante i giorni del Dia de Los Muertos non si celebra la morte nei suoi toni oscuri e macabri, ma la si avvicina ancora di più alla vita stessa; entrambe infatti sono facce della stessa medaglia che contraddistingue l’esistenza di tutti gli esseri umani.

Nelle celebrazioni del Dia de los Muertos, chi festeggia cerca concretamente un modo per permettere alle anime ospiti nel “mondo dei morti” di tornare tra i vivi, almeno per una notte l’anno, per ritrovarsi di nuovo insieme.

Dia de los Muertos. Cosa rappresenta davvero per i Messicani?

Il Dia de Los Muertos nell’America Latina, ma soprattutto in Messico, è un vero e proprio rito che travalica la religione e si mescola alla vita sociale e culturale del Paese, diventandone l’emblema del folklore stesso. 

È la festa che più esprime il sincretismo tra il culto pagano preispanico e la religione Cattolica importata dai Conquistadores. 

La passione con cui il popolo organizza, vive e affronta ogni anno tale ricorrenza ha oltrepassato i confini nazionali fino a diventare un fenomeno agli occhi del mondo, tanto che l’Unesco nel 2008 l’ha dichiarato: “Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità”.

Dia de los Muertos. Da dove nasce questa festività? tra storia e leggenda

Le origini del Dia de los Muertos si perdono nella notte dei tempi.

Elementi storici concreti ci dicono che ancor prima dell’arrivo dei Conquistadores Spagnoli, i popoli: Inca, Maya e Totonaca veneravano il legame imprescindibile che si cela tra la vita e la morte.

E i festeggiamenti organizzati già quei tempi volgevano al desiderio di far sentire i defunti ancora parte integrante della comunità.

Elemento ancora ben tangibile nelle commemorazioni moderne.

Sicuramente l’arrivo dei Colonialisti ha alterato le sfumature di tali riti, amalgamandole con materiale religioso e culturalmente diverso.

Ma a ben vedere, questo mix non ha fatto perdere il fascino al Dia de los Muertos anzi, l’ha spinto e concretizzato a tal punto da riuscire a cavalcare i secoli, permettendo ai Messicani di continuare ancora oggi a festeggiarlo e al resto del mondo di rimanere sempre più ammaliato da tale celebrazione.

Dia de los Muertos. Ma cosa accade?

Durante il Dia de los Muertos non si piange la morte, la si festeggia con rispetto, allegria e colore.

Generalmente i festeggiamenti hanno inizio il 28 Ottobre e terminano il 2 Novembre. Ogni singolo giorno è dedicato a una celebrazione particolare, ad esempio, il 28 Ottobre è la giornata in ricordo di chi è morto suicida o per incidente.

Mentre il 31, nella maggior parte delle comunità vengono onorate le morti dei bambini le cui anime, si crede, volino direttamente in cielo.

I restanti due primi giorni del mese di novembre, vengono consacrati per tutti gli altri defunti. L’attesa è talmente elevata che di solito le preparazioni alle celebrazioni, possono iniziare anche settimane prima.

Dia de los Muertos

Nel corso della notte delle anime i cimiteri “prendono vita”, i sepolcri vengono decorati con fiori dagli intensi profumi e dai colori caldi e decisi. 

I fiori più usati sono quelli della Tagete, pianta erbacea appartenente alle graminacee che nasce e cresce in Messico e in America Centrale. Ai fiori di Tagete – chiamati anche Cempasuchil– dai brillanti petali arancioni e il profumo intenso e vibrante è legata una storia molto significativa, nella quale si sussurra siano proprio questi due elementi visivi e olfattivi talmente forti e impossibili da dimenticare da essere percepiti addirittura dalle anime stesse, le quali li utilizzano per seguire il sentiero tracciato dai vivi per far ritorno a casa.

In ogni abitazione che rispetti e festeggi il Dia de los Muertos, viene allestito un vero e proprio altare dedicato, che prende il nome di Ofrenda.

Dia de los Muertos. Cos’è l’Ofrenda?

L’Ofrenda (che tradotto, significa: Offerta, n.d.a.) è l’elemento cardine del Dia de Los Muertos, perché viene considerata il “portale” che permette al mondo dei vivi d’incontrare quello dei morti. 

Sull’Ofrenda vengono posizionate ed esposte le foto dei defunti che s’intendono commemorare, ed è anche grazie a questo che le anime possono ritrovare la via di casa.

Ad arricchire l’altare ci sono sempre elementi simbolici che racchiudono significati specifici, come:

  • l’incenso e il suo fumo che pervadono le stanze delle case, a simboleggiare le preghiere e la purificazione degli ambienti.
  • le candele, che rappresentano il fuoco e la luce.
  • le caraffe d’acqua per far rifocillare i defunti dopo il lungo viaggio di ritorno dall’aldilà, insieme a cibo prelibato e altre bevande semmai amate in vita, dal defunto.
  • i semi di mais e cacao che interpretano sull’altare, la terra e i suoi frutti.
  • i papel picado – carta velina ritagliata a forma di teschi – prettamente di colore giallo e viola a rappresentare il vento. Le cui tinte rispecchiano la dualità tra la vita e la morte.
  • i fiori di Tagete.

In molte abitazioni oltre all’allestimento dell’Ofrenda, viene lasciata anche libera e pulita una camera da letto – nella maggior parte dei casi, quella padronale- dove le anime dei defunti possono riposare e riprendersi dalle fatiche del viaggio intrapreso.

I cibi e le bevande tipiche che si possono gustare sulle tavole imbandite sono:

i tradizionali Pan de los muertos” -Pane dei Morti- e i “Calaveras” – Teschi di zucchero, dolci tipici che portano anche incisi i nomi dei defunti che si vogliono commemorare.

Inoltre tra i piatti serviti si possono anche assaggiare le famose empanaditas – fagottini di sottile pasta farcita solitamente con la zucca e aromatizzata all’anice, e i tamales – involtini di foglie di mais ripieni di carne macinata – già apprezzati ai tempi dei Maya e degli Atzechi.

Si può sorseggiare cioccolata calda, caffè e amaranto, degustare tequila e la famosa bevanda Mezcal meno conosciuta a livello internazionale della tequila, ma sicuramente più apprezzata e utilizzata dai messicani.

Quest’ultimi l’amano a tal punto da definirla, così: “el mezcal no te emborracha, te embruja”, ovvero: “il mezcal non ti ubriaca, ma ti strega”. Per secoli definita la “bevanda dei poveri”, è uno dei liquori più utilizzati durante le celebrazioni.

Anche la carismatica e iconica pittrice messicana Frida Kahlo si narra fosse molto amante del Mezcal, come della ricorrenza del giorno dei morti, tanto da celebrarla in modo solenne ogni anno.

Dia de los Muertos. Le città si vestono a festa

Le strade e i cimiteri delle grandi metropoli, come dei piccoli paesini, si popolano di colori, abiti eleganti e cappelli fantasiosi.

Copricapi che adornano i volti dei partecipanti spesso dipinti ad arte come se fossero delle “Calaca“(teschi), tornati a festeggiare.

Le Calacas inoltre sono figure da sempre presenti nella cultura Messicana, ce ne sono traccia già nelle incisioni dei Maya.

I Teschi vengono ritenuti simboli spirituali molto forti, messaggeri gioiosi e non funerei che testimoniano con il loro “sorriso” la pace e la serenità delle anime dopo il trapasso.

Un’altra figura a cui va tutta la nostra attenzione è la Calavera Catrina – la donna scheletro, Signora dei Morti- icona ufficiale del Dia de los Muertos.

Dia de los Muertos. La Catrina

Il personaggio della Calavera Catrina prende ispirazione dalla Signora dei Morti Atzeca. La sua creazione si deve al vignettista e illustratore messicano Jose Guadalupe Posada che, nel 1913, ne tratteggiò le iconiche sembianze per inserirla come soggetto nelle litografie di stampo satirico e politico.

La Calvera Catrina è rappresentata come un teschio ghignante e agghindato con un grande cappello appoggiato sul cranio e abiti sfarzosi in stile francese.

L’ispirazione da cui nasce questo personaggio ormai folkloristico, porta con sé un messaggio profondo e concreto, di stampo sociale e politico perché la Catrina inizialmente era stata disegnata come caricatura di una donna messicana dei primi dell’900 che rifiuta le sue origini native per cercare di omologarsi allo sfarzo e alle abitudini dell’aristocrazia europea.

Diventando di fatto una vera e propria provocazione satirica nei confronti di tutti quei Messicani che tentavano di imitare gli Europei.

C’è stato anche un altro messaggio che l’artista Jose G. Posada s’impegnò a promuovere attraverso la Calavera Catrina ovvero che: dinnanzi alla morte siamo tutti uguali e “Siamo tutti Teschi” (Cit.).

Dopo di lui anche il grande pittore Diego Rivera – marito di Frida Kahlo – dipinse in primo piano la Catrina. La inserì proprio tra lui e Frida, su uno dei murales più famosi di sempre: Sueño de una tarde dominical en la Alameda Central (sogno di una domenica pomeriggio nel parco di Alameda – 1948)

“La morte è democratica, perché alla fine, la madre, la bruna, i ricchi o i poveri, tutte le persone finiscono per essere teschi”

José Guadalupe Posada

Attualmente la Calavera Catrina risulta essere la maschera più amata e utilizzata dalle donne messicane durante i festeggiamenti.

Al Dia de Los Muertos sono legate anche bellissime ballate e poesie spensierate che vengono insegnate ai bambini sin dalla più tenera età.

Aiutandoli così sin da piccoli a comprendere che la morte non va temuta, ma rispettata e amata tanto quanto la vita.

Quello che contraddistingue il Dia de los Muertos dalle altre celebrazioni simili o similari è il coinvolgimento umano e sociale volto alla condivisione più pura di un messaggio che sconfigge il tempo e rende immortale l’amore e la morte con la stessa entità e potenza.

Permettendoci di non dimenticare che dinnanzi al trapasso siamo tutti uguali, come diventiamo unici e indimenticabili agli occhi di chi ci ha amato davvero sia in vita che dopo la morte.


Fonti:

  • Pimp my trip: “10 curiosità sulla festa dei morti in Messico”
  • Mi prendo e mi porto via: ”Dia de los Muertos: storia e significato di una bellissima tradizione messicana”
  • Esquire.com: ”Il Dia de los Muertos è molto più di un Halloween messicano”
  • Wikipedia: ”Il giorno dei morti (America)”
  • Stories.weroad: ”Dia de los Muertos: 8 curiosità sul giorno dei morti in Messico e dove festeggiarlo”
  • Mame – estetica metropolitana: ”Il Dia de los Muertos, un momento di gioia e colori ricorda la meraviglia di essere vivi”
  • Il Giornale del cibo: ”Mezcal ancestrale distillato messicano: origini, riti e differenze con la tequila”
  • Il Giardino del tempo: ”Tagate: storia, simbologia e tradizioni popolari”
  • Dubitinsider.com: ”La Catrina è il simbolo della Morte”
  • SpazioFeu: ”Calavera Catrina volto del Dia de Los Muertos, Simposio morte e rinascita”
AMELIA SETTELE, Bolivia

Leggi tutti gli articoli di Amelia Settele QUI

Scopri il profilo di Amelia Settele QUI

Vampiro di Londra. La leggenda del Cimitero di Highgate

(Vampiro di Londra) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Il Vampiro è da tempo immemore una delle figure più affascinanti del panorama letterario e cinematografico. Complici romanzi come “Dracula” di Bram Stoker o il film omonimo del libro appena citato- diretto dal regista Francis Ford Coppola – il Vampiro è anche protagonista di leggende altrettanto funeste e immortali che meritano di essere ricordate.

SOMMARIO

Il Vampiro è da tempo immemore una delle figure più affascinanti del panorama letterario e cinematografico. Complici romanzi come “Dracula” di Bram Stoker o il film omonimo del libro appena citato- diretto dal regista Francis Ford Coppola – il Vampiro è anche protagonista di leggende altrettanto funeste e immortali che meritano di essere ricordate.

Una su tutte è quella del Vampiro di Londra”, la cui fola misteriosa e lusinghiera è la figura di spicco del mio racconto:

Londra, sobborgo di Highgate – Nord della capitale. La necropoli prende il nome proprio dal quartiere dove è ubicata. È divisa in due parti: una occidentale e una orientale.

Vampiro di Londra

È un luogo di sepoltura vasto che “ospita” più di 150.000 defunti per un totale di 53.000 sepolcri.

Inoltre è censito dall’English Heritage – organismo pubblico che gestisce il patrimonio culturale dell’Inghilterra – come sito di primo grado nel registro dei Parchi e Giardini d’interesse Storico Inglese, ed è considerato una vera e propria riserva naturale.

Molti i “nomi noti” tumulati al suo interno: dal cantante George Michael , al filosofo Karl Marx, a Claudia Jones combattente comunista per i diritti sociali.

Vampiro di Londra. Highgate per seppellire l’Upper Class Vittoriana

Il cimitero viene aperto il 20 Maggio 1839 e costruito nel rispetto del progetto “Magnificent Seven” al quale apparteneva e che prevedeva la realizzazione di sette zone da dedicare alle sepolture, fuori dal centro cittadino. 

Purtroppo Londra, dopo le diverse epidemie di colera che la colpirono, non era più in grado di tumulare i propri defunti all’interno dei cimiteri che sorgevano vicino alle Chiese nella capitale inglese.

Quello di Highgate – complice anche la rigogliosa e suggestiva natura che padroneggiava tra i viali del luogo- diviene sin da subito dedicato alle sepolture dei personaggi dell’Upper Class Vittoriana, perché signorile e dispendioso.

Durante la seconda guerra mondiale il cimitero subisce pesanti bombardamenti e molti loculi vengono distrutti. Il degrado e l’abbandono iniziano a impadronirsi della necropoli.

Con il passare degli anni, il cimitero di Highgate cade in rovina.

Vampiro di Londra. Strane presenze e misteriose apparizioni

Negli anni ’60 si trasforma in rifugio per tossicodipendenti, reietti e delinquenti. Della sua aurea elegante e sobria, restano solo gli echi di un lontano passato.

È in questo stesso periodo, quando l’incuria e l’abbandono governano il cimitero, che iniziano a circolare voci sempre più insistenti di strane presenze e misteriose apparizioni.

Una su tutte, quella di un uomo: signorile, etereo, alto quasi due metri, con un elegante cilindro per cappello, completamente avvolto da un pesante mantello, che compare tra i viali più antichi del cimitero mentre passeggia tra pietre tombali vetuste e cappelle rovinate per poi sparire come nebbia al sole, senza lasciare traccia alcuna di sé e della sua presenza.

Donando comunque intense e vibranti sensazioni di disagio in chi lo incontra. Insieme al ritrovamento di piccole carcasse di animali dissanguati, si va a concretizzare un’unica ipotesi…

È nata la leggenda del Vampiro di Londra.

Vampiro di Londra. Arrivano i “cacciatori di vampiri”

Alla fine degli anni ’70, queste testimonianze attirano molti appassionati di occultismo che iniziano a frequentare il cimitero. Spiccano tra gli altri, due ragazzi David Farrant Sean Manchester che si precipitano a visitare il sito.

Sono curiosi di scoprire cosa , ma sopratutto chi, si celi dietro a questi episodi. Due nomi conosciuti nel mondo del paranormale, sopratutto Sean che ne diverrà un nome di spicco avendo anche presieduto la British Occult Society e fondato la Società di Ricerca del Vampiro.

David, invece, fonda la British Psychic & Occult Society, dedicandosi sempre alla religione Wicca e al culto della natura.

Farrant e Manchester entrano al cimitero di Highgate definendosi dei veri e propri cacciatori di Vampiri, pronti a scoprire la verità.

Il 21 Dicembre 1969, l’intrepido David Farrant decide di trascorrere la notte all’interno del camposanto, riuscendo addirittura ad incontrare… Il Vampiro!

Sfortunatamente dopo aver incrociato lo sguardo tetro e magnetico del Principe delle Tenebre, la paura prevale e David fugge a gambe levate!

Nei giorni successivi, viene pubblicato un suo articolo sul giornale locale Hampstead & Highgate Express, dove racconta la sua spaventosa avventura, ma chiede anche ad eventuali altri testimoni di palesarsi e rivelare gli incontri col Re dei non Morti.

L’articolo riscuote molto successo e le rivelazioni che arrivano in redazione, esaltano il Vampiro di Londra e la sua leggenda.

Vampiro di Londra. Caccia al vampiro

Sopraggiungono clamore e curiosità sia sul Nosferatu che dimora nella necropoli che su Farrant e Manchester che ne hanno palesato la presenza. Infatti nel Marzo del 1970 i due, organizzano una vera e propria “Caccia al vampiro” all’interno del cimitero. 

Viene scelta una data significativa anche per i meno superstizioni: Venerdì 13.

Quella notte David e Sean sono sicuri di riuscire a distruggere l’entità malefica, ritrovandosi circondati da telecamere, microfoni e molti curiosi.

Ma al calare dell’oscurità il Vampiro di Londra non si palesa, eludendo qualsiasi incontro tra i viali spettrali del cimitero. Pertanto non viene saziato il desiderio delle telecamere e dei partecipanti alla caccia, venendo anche umiliato l’ego dei Cacciatori.

Il fallimento clamoroso dell’evento, suscita non poco malumore soprattutto tra Sean e David che sospettando di essere presto additati come buffoni disonesti, cominciano ad accusarsi reciprocamente di essere degli imbroglioni.

Per molto tempo continuano entrambi le ricerche del Vampiro al cimitero, proseguendo a screditarsi vicendevolmente. Arriveranno addirittura a sfidarsi in un duello tra maghi che – per fortuna – non avverrà mai.

Vampiro di Londra. Amici del Cimitero

Ma tutto questo interesse per il Vampiro ha avuto un risvolto positivo per il Cimitero stesso, infatti nel 1975 viene fondata l’associazione “Amici del Cimitero. Organizzazione che ancora oggi si occupa della manutenzione e della conservazione del luogo.

Lo scorrere del tempo ha migliorato le condizioni del sito e ha attenuato la curiosità sul Vampiro, cristallizzando questa leggenda tra la foschia che si alza leggera tra le lapide e le tombe, incorniciando quei viali silenziosi che resteranno per sempre pronti ad accogliere i visitatori umani e…non!

Fonti:
  • Londra.italiani.it: “La Leggenda del Vampiro del cimitero di Highgate”
  • Vanilla Magazine: “Il Cimitero di Highgate e la maledizione del Vampiro della Necropoli di Londra”
  • Il Giornale dei Vampiri: “Il Cimitero di Highgate: Vampiri a Londra”
AMELIA SETTELE, Bolivia

Leggi tutti gli articoli di Amelia Settele QUI

Scopri il profilo di Amelia Settele QUI

This website uses cookies. By continuing to use this site, you accept our use of cookies.